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Malasanità e morti evitabili in Ospedale: un male endemico talvolta dimenticato

Morti Evitabili & Malasanità

Con l’assistenza dell’Avv. Gabriele Chiarini, i familiari di una paziente deceduta in Ospedale per una vicenda di malpractice medica, hanno potuto ricevere un risarcimento di complessivi euro 520.000,00 all’esito di una complessa e delicata trattativa, che ha infine condotto alla definizione transattiva del sinistro (in calce è scaricabile il relativo atto).

Delineiamo sommariamente, in questo approfondimento, le peculiarità del caso di malasanità risolto dallo Studio, cogliendo altresì l’occasione per effettuare alcune riflessioni sul fenomeno delle morti evitabili in Ospedale e sulle azioni che dovrebbero essere messe in campo per ridurne il numero ed arginare gli effetti di un fenomeno grave che, spesso, non riceve la giusta attenzione dalle Istituzioni.


§ 1. Il caso di “malasanità” risolto

La vicenda clinica da cui prendiamo le mosse in questo articolo è piuttosto comune e rappresenta una fattispecie archetipica di molti dei casi di malasanità che ci troviamo ad affrontare nella nostra pratica professionale quotidiana.

In estrema sintesi: una paziente entra in ospedale per un problema medico, anche importante; viene (adeguatamente) trattata e sembra avviarsi verso la guarigione, quando la situazione inzia a peggiorare, progressivamente quanto inesorabilmente.

Benché la patologia di base sia stata correttamente affrontata, si è verificata -purtroppo- una tra le più temibili complicanze dell’assistenza sanitaria: la paziente ha contratto una polmonite nosocomiale da Pseudomonas aeruginosa e Staphylococcus aureus resistente alla meticillina. E questa infezione ospedaliera (rectius: I.C.A. – Infezione Correlata all’Assistenza), complice il periodo festivo e la concomitante carenza di personale sanitario, è stata tardivamente diagnosticata.

Perciò le terapie antimicrobiche -purtroppo attuate con colpevole ritardo, quando ormai la situazione della paziente risultava compromessa- non riescono a scongiurarne la morte.

§ 2. I numeri delle morti evitabili in Ospedale

Una morte come questa deve essere considerata “evitabile“, nel senso che si tratta di un decesso ( comunque prematuro, ad onta dell’età non giovanissima della paziente) che non si sarebbe verificato se l’assistenza sanitaria fosse stata adeguata e se l’approccio diagnostico della “complicanza” fosse stato tempestivo.

In termini scientifici, pertanto, piuttosto che di “mortalità evitabile” (concetto che include anche le scelte personali, come lo stile di vita, l’alimentazione, ecc.), risulta più appropriato discorrere di “mortalità trattabile”, ovvero di “mortalità riconducibile ai servizi sanitari” (cd. amenable mortality).

Non è un tema da sottovalutare, perché nella sola Unione Europea 65 persone ogni ora perdono la vita per cause dipendenti dalla qualità -inadeguata- dei servizi sanitari: dunque, muore per “malasanità” più di una persona al minuto (gli ultimi studi disponibili documentano, infatti, 571.000 decessi per ragioni “riconducibili ai servizi sanitari”, nell’accezione di cui sopra).

L’Italia sembrerebbe fare meglio del resto d’Europa: pur con rilevanti sperequazioni tra le diverse Regioni, il tasso di “mortalità trattabile” si attesta su un valore medio nazionale di circa 70 casi su 100.000 abitanti (dato che, rapportato su una popolazione che ammonta a poco più di 60 milioni di abitanti, racconta comunque di 42.000 morti all’anno per “malasanità”, vale a dire quasi 5 all’ora!).

§ 3. L’incidenza statistica delle I.C.A.

Non meno inquietanti sono i dati sulle infezioni ospedaliere, tecnicamente dette Infezioni Correlate all’Assistenza (sanitaria), che sono alla base di frequenti prolungamenti della durata di degenza ospedaliera, di disabilità anche a lungo termine, e soprattutto -come nel caso di cui abbiamo parlato all’inizio- di una significativa mortalità evitabile.

Le stime più prudenti parlano di almeno 6.000 decessi all’anno per infezione ospedaliera. Questo ci fa capire che in Italia più di 16 persone al giorno muoiono per questa ragione, vale a dire una persona ogni ora e mezza perde la vita per una I.C.A.!

Si tratta di un problema serio e degno di preoccupazione, anche perché sappiamo bene che è piuttosto fuorviante l’affermazione secondo cui “il rischio zero non esiste. Le infezioni sono un fenomeno che le Strutture devono e possono circoscrivere, prevenire ed evitare, come dimostra -per esempio- le recente azione messa in campo dall’A.O.U. di Modena, che ha permesso di ottenere una drastica riduzione dell’incidenza di I.C.A. e della resistenza dei batteri agli antibiotici, conseguendo per inciso un risparmio finanziario di oltre un milione di euro all’anno.

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§ 4. I numeri a confronto: “mortalità trattabile” vs “COVID-19”

Pertanto, mentre l’attenzione pubblica è (giustamente) richiamata su un fenomeno di rilevante allarme sociale, giova comunque ristabilire alcune proporzioni.

In particolare, pur non essendo evidentemente questa la sede per un approfondimento scientifico sul nuovo Coronavirus (cd. “SARS-CoV-2”), vale la pena di segnalare che il tasso di mortalità della malattia che esso provoca (denominata “COVID-19“) sembra attestarsi tra il 2% e il 4%, che di per sé è un dato molto inferiore a quello -per esempio- del “MERS-CoV” scoperto nel 2012 (34,5%), o del virus Ebola “EVD” che affligge l’Africa occidentale dal 2013 (oltre 40%!).

Dunque, lasciamo naturalmente agli esperti di epidemiologia ogni riflessione e/o indicazione in merito alle dinamiche di diffusione del virus in questione e alle modalità di prevenzione utili a contrastare questa minaccia per la salute pubblica.
Ci limitiamo, però, a segnalare come gli eventi avversi in sanità, che determinano annualmente la perdita di 64 milioni di anni di vita per invalidità o morte (lo ha messo in luce un recente report dell’O.M.S.), rappresentino un problema di estrema rilevanza e attualità.

§ 5. Riflessioni conclusive

La cd. “malasanità” è un tema delicato e complesso, che non può essere affrontato in maniera disinvolta o, peggio, sensazionalistica, ma impone un approccio prudente e scrupoloso, perché il paziente non può pretendere -sempre e comunque- di essere guarito.
Infatti, nonostante i rilevanti progressi fatti dalla scienza, vi sono (e vi saranno sempre) processi patologici che neppure la migliore ars medica potrà mai contrastare.
E’ anche vero, tuttavia, che l’attività sanitaria non può sfuggire alla responsabilità che ogni azione umana comporta.

Alla responsabilità (civile) si assegnano tradizionalmente due funzioni: da una parte, la compensazione (dei danni sofferti); dall’altra parte, la deterrenza (dal compimento di ulteriori azioni dannose).

Quanto alla funzione compensativa, è doveroso il risarcimento dei danni da malasanità, come nel caso che ha costituito spunto per questo approfondimento, in cui il risarcimento erogato (di 520.000,00 €) servirà a lenire la sofferenza dei congiunti che hanno perso ingiustamente il proprio caro.

Quanto alla funzione deterrente, è indispensabile mettere in campo le migliori risorse per contenere il rischio di errori medici: in primis formazione del personale e sostegno alla ricerca, nella direzione indicata anche dalle recenti mozioni approvate -da maggioranza e minoranza- sul tema della lotta al fenomeno dell’antibioticoresistenza (che è una fra le più importanti cause di diffusione delle I.C.A.), al fine di dare finalmente piena e concreta attuazione al “Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza” (PNCAR) 2017-2020 (scaricabile qui).

Ma debbono trovare attuazione concreta anche i percorsi di monitoraggio e controllo degli errori, perché solo attraverso la segnalazione delle criticità e l’analisi dei processi interni si può perseguire la sicurezza delle cure e la salute del paziente, come auspicato anche dalla recente riforma della responsabilità sanitaria messa in atto dalla legge Gelli-Bianco.

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