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Prescrizione indennizzo vaccino le indicazioni della Consulta

Prescrizione indennizzo vaccino: le indicazioni della Consulta

Analisi della sentenza n. 35/2023: come la Corte Costituzionale ha ridefinito i termini di prescrizione per l’indennizzo dei danni da vaccino

Ognuno di noi, nel corso della propria vita, si è sottoposto a dei vaccini (obbligatori o fortemente consigliati) e, come solitamente accade, nessuno ha avuto problemi.

Vi sono, tuttavia, dei rari casi in cui il vaccino provoca in colui che lo ha effettuato dei veri e propri danni alla salute e, in tal caso, lo Stato prevede che il soggetto possa essere indennizzato.

I requisiti per proporre la relativa domanda di indennizzo sono tre, ovverosia:

  1. che il danno si sia manifestato,
  2. che il medesimo sia una conseguenza del vaccino (nesso causale) e, infine,
  3. che vi sia la possibilità di agire in giudizio per richiederlo.

Questo è ciò che ha riaffermato la Corte Costituzionale nella sentenza n. 35/2023 del 6 marzo 2023, con la quale la medesima ha, per l’appunto, stabilito che, per poter rendere effettivo il diritto all’indennizzo, il termine per la richiesta del medesimo inizia a decorrere dal momento in cui l’interessato ha avuto conoscenza non solo del danno (esteriorizzazione del danno), ma anche della sua indennizzabilità, in quanto, prima di tale momento, il diritto all’indennizzo non è concretamente esercitabile.

Con tale pronuncia viene quindi fatta concreta applicazione del principio “contra non valentem agere non currit praescriptio“, vale a dire che la prescrizione non decorre contro chi non può agire.


INDICE SOMMARIO


§ 1. Prescrizione indennizzo vaccino: analisi della vicenda legale di una bambina con danni da vaccino non obbligatorio

La statuizione indicata in premessa deriva dal caso di una bambina che a seguito del vaccino contro il morbillo aveva riportato danni irreversibili alla propria salute.

All’epoca dei fatti tale tipo di vaccino non era obbligatorio, ma solo raccomandato e, come tale, non poteva essere indennizzato, in quanto l’indennizzo del medesimo è stato riconosciuto e previsto dalla legge solo nel 2012 quando la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 107 del 27 aprile 2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge n. 210/1992 (indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati infetti) nella parte in cui non prevedeva il diritto ad un indennizzo nei confronti di coloro che avessero subito le medesime conseguenze di cui al suddetto articolo a seguito di vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia.

I genitori della bambina avevano formulato la richiesta di indennizzo oltre il termine triennale previsto dalla legge per la relativa domanda (termine che decorre da quando si manifesta il danno), ma comunque prima che il danno stesso venisse dichiarato indennizzabile dalla sentenza della Corte Costituzionale suddetta e, pertanto, sia il giudice di primo grado sia quello di appello avevano entrambi riconosciuto l’indennizzo limitandolo, tuttavia, alle mensilità successive al triennio (criterio della decadenza mobile, in base al quale la causa estintiva del diritto indennitario non opera in maniera assoluta, ma limitatamente ai ratei interni al triennio).

La sentenza di appello veniva impugnata in Cassazione dal Ministero della Salute, secondo il quale il criterio della decadenza “mobile”, stabilito per i trattamenti pensionistici, non poteva essere esteso in via interpretativa all’indennizzo del danno vaccinale, atteso che l’art. 3, comma 1, della suddetta legge n. 210 del 1992 non fa alcun cenno ad un effetto decadenziale limitato a singole parti della prestazione economica oggetto del diritto e, pertanto, i genitori della bambina avrebbero dovuto essere dichiarati decaduti dal diritto ad ottenere l’indennizzo nella sua interezza e non alle sole mensilità maturate prima del triennio.

La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Cassazione

La Corte di Cassazione investita della decisione ha ritenuto di rimettere alla Corte Costituzionale, in riferimento agli articoli 2 (tutela diritti inviolabili dell’uomo), 3 (principio di uguaglianza tra tutti i cittadini), 32 (tutela della salute) e 38 (tutela dell’assistenza e della previdenza sociale) della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale del suddetto art. 3 della Legge n. 210/1992 nella parte in cui non prevedeva che l’effetto di decadenza conseguente alla presentazione della domanda oltre il triennio (decorrente dal momento in cui l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno) fosse limitato ai ratei relativi al periodo antecedente al medesimo.

La Suprema Corte di Cassazione, infatti, ha ritenuto che il criterio della decadenza “mobile”, stabilito per i trattamenti pensionistici, non avrebbe potuto essere esteso in via interpretativa all’indennizzo del danno vaccinale atteso che l’art. 3 della L. n. 210/1992 non menziona alcun effetto decadenziale limitato e, pertanto, la medesima avrebbe dovuto ritenere la parte istante decaduta dal diritto ad ottenere l’indennizzo nella sua interezza; tuttavia, la Corte ha, altresì, rilevato che sia il diritto alle prestazioni pensionistiche previdenziali che quello all’indennizzo da vaccino sono prestazioni fondate sugli obblighi di solidarietà sociale fissati dalla Costituzione e, pertanto l’effetto decadenziale unitario avrebbe comportato la piena frustrazione dello scopo indennitario nonché una disparità di trattamento tra i soggetti destinatari di tale misura ed i pensionati.

La decisione della Corte Costituzionale

La questione è stata, quindi, rimessa al vaglio della Corte Costituzionale che, pertanto, è stata chiamata a decidere non solo sul profilo dell’estensione della decadenza “mobile” alla materia dei vaccini, ma altresì su quello, necessariamente antecedente, della decorrenza del termine triennale nel caso in cui il diritto all’indennizzo non fosse previsto dalla legge al momento della conoscenza del danno, ma sia sorto solo successivamente (sentenza n. 107 del 2012).

Il termine triennale per la domanda di indennizzo fissato dall’art. 3 della L. n. 210/1990 è un termine perentorio dal quale discenderebbe l’estinzione della pretesa indennitaria; tuttavia, la Corte con la sentenza n. 35/2023 ha osservato che l’effettività del diritto all’indennizzo impone di far decorrere il suddetto termine dal momento in cui l’interessato ha avuto conoscenza non solo del danno, ma anche della sua indennizzabilità: prima di tale momento, infatti, l’interessato non avrebbe alcun titolo per poter concretamente richiedere l’indennizzo. Del resto, anche il nostro codice civile all’art. 2935, in tema di decorrenza della prescrizione, stabilisce che: “La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere“.

La Corte ha quindi dichiarato incostituzionale la norma che fa decorrere il termine triennale di decadenza per la richiesta di indennizzo del danno vaccinale da quando l’avente diritto ha avuto conoscenza del danno e non da quando ha saputo anche della sua indennizzabilità. Secondo la Corte, infatti, una soluzione differente vanificherebbe il diritto medesimo che, viceversa, è garantito dai principi costituzionali di solidarietà sociale e tutela della salute, essendo il danno vaccinale un pregiudizio individuale sofferto nell’interesse della collettività, la quale deve pertanto farsene carico.

La declaratoria di illegittimità costituzionale dei presupposti per la decorrenza del termine triennale ha escluso la conseguente preclusione e, con essa, la necessità del ricorso al criterio della decadenza “mobile”.

§ 2. Legge n. 210/1992 e prescrizione indennizzo vaccino: princìpi e applicazioni

La Legge n. 210 del 1992, sopra menzionata, ha riconosciuto un indennizzo in favore di tutti i soggetti danneggiati in modo irreversibile da vaccinazioni, trasfusioni e somministrazione di emoderivati infetti. Legittimati a chiedere l’indennizzo sono, infatti, tutti coloro che, in maniera diretta o da contagio, abbiano riportato lesioni o infermità, dalle quali sia loro derivata una menomazione permanente dell’integrità psicofisica.

Tale normativa trae origine dalla sentenza n. 307 del 1990 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della Legge n. 51 del 1966 (che sanciva l’obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica) nella parte in cui non prevedeva, a carico dello Stato, di corrispondere un’indennità per il danno derivante, al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 2043 c.c., da contagio o da altra apprezzabile malattia causalmente riconducibile alla vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica riportato dal bambino vaccinato o da altro soggetto a causa dell’assistenza personale diretta prestata al primo.

Con tale sentenza la Corte ha, quindi, enunciato il principio secondo il quale non è lecito richiedere che il singolo cittadino esponga a rischio la propria salute per un interesse collettivo senza che la collettività stessa sia disposta a condividere il peso delle eventuali conseguenze negative: l’indennizzo viene posto a carico dello Stato per motivi di solidarietà sociale, nonché per testimoniare l’interesse alla tutela della salute e, come tale, prescinde e si discosta dall’eventuale risarcimento del danno sofferto in conseguenza del contagio.

Il diritto all’indennizzo non ha, quindi, natura risarcitoria bensì assistenziale ed è riconducibile agli art. 2 e 32 della Costituzione ed alle prestazioni poste a carico dello Stato in ragione del dovere di solidarietà sociale, configurandosi come misura economica di sostegno collegata ad una situazione obiettiva di menomazione dello stato di salute derivante da una prestazione sanitaria volta alla salvaguardia della salute stessa.

La Legge n. 210 del 1992, prevede che i termini per la presentazione della domanda di indennizzo sono di 3 anni per i casi di vaccinazioni o di epatiti post-trasfusionali e di 10 anni per i casi di infezione HIV, e decorrono dal momento un cui l’avente diritto risulta aver avuto conoscenza del danno irreversibile: quindi, non dal momento della scoperta della semplice infezione, ma da quello in cui la patologia si è conclamata pervenendo ad uno stadio cronico. Decorso tale termine, non sarà più possibile agire in giudizio.

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§ 3. Il risarcimento del danno per fatto illecito in ambito sanitario

In ambito di responsabilità sanitaria, il risarcimento al soggetto danneggiato viene in essere solo quando il danno riportato dal paziente deriva causalmente da fatto illecito ovvero, quando è conseguenza (nesso causale) di comportamenti colposi di coloro che lo ebbero in cura. Tali comportamenti sono detti colposi in quanto caratterizzati dall’elemento soggettivo della colpa, che viene in essere quando colui che agisce, pur non avendo la volontà di nuocere (dolo), tiene un comportamento dannoso dovuto a negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi, regolamenti, discipline, prassi/protocolli sanitari, linee guida.

Per potersi ravvisare un’ipotesi di responsabilità sanitaria è quindi necessario che l’interessato abbia avuto conoscenza del danno (il danno deve essersi manifestato), nonché del fatto che il medesimo sia una diretta conseguenza del comportamento colposo tenuto dai sanitari.

Anche il diritto al risarcimento tuttavia, al pari del diritto all’indennizzo da vaccini, è soggetto a prescrizione, in quanto deve essere esercitato entro un determinato lasso di tempo, che è diverso a seconda che si tratti di responsabilità contrattuale o extracontrattuale. La cd. legge Gelli Bianco (Legge n. 24/2017) ha infatti previsto un doppio binario di responsabilità, stabilendo che nei confronti del paziente la struttura e i singoli medici rispondono in maniera differente e precisamente:

  • la struttura sanitaria risponde sempre a titolo di responsabilità contrattuale e, come tale, la relativa domanda deve essere promossa entro 10 anni;
  • il singolo medico, salvo ipotesi particolari, risponde, invece, a titolo di responsabilità extracontrattuale e, pertanto, l’azione nei confronti del medesimo dovrà essere intrapresa nel termine più stretto di 5 anni.

La domanda di risarcimento danni derivante da errore medico può essere promossa sia dal paziente che, in caso di morte, dagli eredi del medesimo; tuttavia, in quest’ultimo caso è necessario fare un’ulteriore precisazione sul termine di prescrizione in quanto:

  • la richiesta avanzata dai congiunti (eredi) al fine di ottenere i danni patiti dalla vittima e trasmissibili agli eredi (iure hereditatis) si prescrive in 10 anni a partire dal decesso;
  • la richiesta avanzata dai congiunti al fine di ottenere i danni patiti dai medesimi in proprio (iure proprio) per la perdita del rapporto parentale, secondo un certo orientamento, si prescrive in 5 anni a partire dal decesso.

§ 4. Domanda di indennizzo e di risarcimento: termini di prescrizione e decorrenza dei medesimi

Come abbiamo visto sopra, sia l’indennizzo di cui alla Legge n. 210/1990 che il risarcimento in tema di responsabilità professionale medica sono entrambi sottoposti a dei termini di prescrizione, intendendo come tale quel mezzo con cui l’ordinamento giuridico opera l’estinzione del diritto in capo al soggetto quando il medesimo non lo esercita entro il termine previsto dalla legge (art. 2934 c.c.). Essa va tenuta distinta dall’istituto della decadenza nella quale, invece, il decorso del tempo impedisce l’acquisto di un diritto.

Sintetizzando brevemente i termini di prescrizione sopra indicati e la decorrenza dei medesimi, vediamo che:

  • Il diritto all’indennizzo di cui alla Legge n. 210/1990, si prescrive se la relativa domanda non viene promossa entro:
    • 3 anni nei casi di vaccinazioni o di epatiti post-trasfusionali, ovvero
    • 10 anni nei casi di infezione HIV  

e tali termini decorrono da quando l’avente diritto ha avuto non solo la conoscenza del danno, ma ha altresì saputo della sua indennizzabilità.

  • Il diritto al risarcimento del danno derivante da errore medico, invece, si prescrive se la relativa domanda non viene promossa entro:
    • 10 anni nei casi di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. (Struttura Sanitaria, pubblica o privata, sia essa parte del S.S.N. o una impresa privata non convenzionata);
    • 5 anni nei casi di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. (il singolo medico che opera all’interno della struttura sanitaria, salvo che il medesimo abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente, nel qual caso risponderà a titolo contrattuale).

e tali termini decorrono da quando l’avente diritto (il paziente o i suoi eredi) ha avuto conoscenza del danno (il danno si è manifestato) nonché del fatto che il medesimo sia causalmente riconducibile all’operato colposo dei sanitari che lo ebbero in cura. Nel caso in cui ad agire siano gli eredi, il diritto al risarcimento del danno patito dalla vittima e trasmissibile ai medesimi si prescrive in 10 anni dal decesso; invece, il danno in proprio degli eredi per la perdita del rapporto parentale si prescrive, secondo taluni, in 5 anni dal decesso.

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§ 5. Riflessioni conclusive sul tema della prescrizione indennizzo vaccino

La sentenza n. 35/2023 della Corte Costituzionale ha segnato una significativa tappa nella comprensione e nell’applicazione della legge che prevede l’indennizzo per danni da vaccino in Italia e per l’individuazione del dies a quo di decorrenza dei termini di prescrizione ivi stabiliti. Questa decisione ha rafforzato l’importanza del principio “contra non valentem agere non currit praescriptio“, sottolineando che la prescrizione non può decorrere quando il diritto all’indennizzo non è concretamente esercitabile.

L’analisi della sentenza ha evidenziato come la Consulta abbia riconosciuto il diritto dell’individuo di essere protetto e indennizzato per i danni alla salute legati a vaccini, anche se non obbligatori al momento del danno. Ha inoltre ridefinito i termini per la richiesta dell’indennizzo, collegandoli non solo alla conoscenza del danno ma anche alla sua concreta indennizzabilità.

Questa decisione avrà senz’altro importanti ripercussioni a lungo termine sulle controversie medico-legali relative agli indennizzi da vaccini, enfatizzando la responsabilità della società, che deve condividere il peso delle rare ma gravi conseguenze negative che possono derivarne. Essa riafferma il principio di solidarietà sociale, secondo cui la collettività deve farsi carico del danno individuale sofferto nell’interesse della collettività stessa.

Tuttavia, la sentenza apre anche questioni ancora irrisolte e potenzialmente complesse, come la definizione precisa dei criteri di indennizzabilità e l’applicazione pratica degli effettivi termini di prescrizione. Queste sfide future richiedono una chiara guida normativa e una continua vigilanza di tutti gli operatori giuridici per garantire che i diritti degli individui siano tutelati in modo equo e ragionevole.

In conclusione, la sentenza n. 35/2023 non è solo un importante precedente legale, ma rappresenta un punto di riferimento nella continua evoluzione della giurisprudenza italiana in materia di prescrizione dell’indennizzo da vaccino, sottolineando la necessità di un equilibrio tra i diritti individuali e gli obiettivi di salute pubblica.

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