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Risarcimento per morte da I.C.A.: Malasanità o mera complicanza?

Morte da Infezione Ospedaliera, Malasanità & Risarcimento

Un risarcimento per “malasanità” da morte di € 750.000,00 è la soluzione prospettata dal Giudice a vantaggio dei familiari, per il decesso di un paziente di 77 anni a causa di infezione correlata all’assistenza sanitaria (I.C.A.). L’Avv. Gabriele Chiarini ed i suoi collaboratori hanno così ottenuto un altro importante risultato, con il riconoscimento della responsabilità medico-sanitaria di una Casa di Cura privata romana per questo episodio di infezione in cardiochirurgia.

Analizziamo dunque i dettagli della vicenda giudiziaria.

INDICE SOMMARIO

§ 1. Il caso di infezione in cardiochirurgia e la morte del paziente

Il sig. Ottavio (nome, ovviamente, di fantasia per tutelare la privacy della famiglia) aveva 77 anni al momento degli eventi, ed era affetto da steno-insufficienza valvolare aortica severa e da aneurisma dell’aorta ascendente.
Egli venne ricoverato presso un importante Ospedale privato della Capitale, al fine di sottoporsi ad intervento chirurgico di sostituzione della valvola aortica e dell’aorta ascendente.

L’operazione fu regolarmente eseguita; all’esito, il sig. Ottavio fu stato trasferito in Terapia Intensiva e, poco dopo, presso l’U.O.C. di Cardiochirurgia. Dimesso successivamente dalla Casa di Cura, venne inviato in un apposito Istituto per la gestione della fase subacuta e la riabilitazione cardiologica.

Sennonché, lo stesso giorno della dimissione, i sanitari dell’Istituto di riabilitazione constatarono la presenza di una “secrezione siero ematica dalla ferita sternotomica”, su cui venne eseguito tempestivamente un tampone, che documentò la presenza di numerose colonie di Staphylococcus epidermidis.

Il paziente fu perciò prontamente dimesso dall’Istituto di riabilitazione, per essere ritrasferito presso la Casa di Cura privata ove gli era stato praticato l’intervento cardiochirurgico. Ad undici giorni dal ritrasferimento, il sig. Ottavio fu sottoposto a TC-torace, all’esito della quale vennero disposte ed eseguite broncoscopia con coltura del materiale broncoaspirato ed urinocoltura, le quali avrebbero evidenziato – in data successiva al decesso – la massiva presenza (più di 100.000 UFC/ml) del batterio Pseudomonas aeruginosa.

Il quadro respiratorio e le condizioni generali del sig. Ottavio ebbero progressivamente a scadere fino al decesso, sopraggiunto qualche giorno dopo per “insufficienza multiorgano” da infezione nosocomiale. La salma del sig. Ottavio, sulla quale non fu effettuato riscontro diagnostico, venne quindi posta a disposizione dei familiari per le esequie.

§ 2. La consulenza tecnica d’ufficio nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c. e la conferma della responsabilità della Casa di Cura per la morte

All’indomani dell’entrata in vigore della legge Gelli, fallito un tentativo di mediazione precedentemente esperito, lo Studio ha deciso di instaurare un procedimento ex art. 696 bis c.p.c. davanti Tribunale di Roma per la vicenda di malasanità, nell’àmbito del quale sono stati nominati quali CC.TT.UU. un medico-legale ed uno specialista in igiene e medicina preventiva.

Svoltesi regolarmente le operazioni peritali in un vivace contraddittorio tra i consulenti e i legali delle parti, l’elaborato peritale infine depositato dai CC.TT.UU. ha confermato e stigmatizzato sostanzialmente tutti i profili di responsabilità medica addebitati alla Struttura Sanitaria, avvalorando altresì la relativa correlazione eziologica con il decesso del compianto sig. Ottavio.

Queste, in estrema sintesi, le principali carenze assistenziali che le emergenze cliniche e documentali hanno imposto di addebitare all’Ospedale:

  1. Sottovalutazione del rischio infettivo, alla luce delle caratteristiche del paziente e dell’intervento cui lo stesso doveva essere sottoposto;
  2. Inidoneità della profilassi antibiotica attuata, poiché rivolta ai soli batteri “Gram positivi” ed inefficace per quelli “Gram negativi”;
  3. Sviluppo di una I.C.A. (Infezione Correlata all’Assistenza),
  4. Sospensione della terapia antibiotica;
  5. Inadeguata dimissione del paziente;
  6. Non idonea pulizia della ferita sternotomica, mancato stretto monitoraggio e deficit delle procedure di medicazione e cura;
  7. Omessa richiesta ed espletamento di consulenza infettivologica;
  8. Mancata esecuzione di indagini diagnostiche necessarie per l’instaurazione della terapia antibiotica più appropriata;
  9. Difetto della terapia antibiotica impostata, non adeguata al contrasto delle infezioni da Pseudomonas aeruginosa;
  10. Intempestivo intervento successivo alla diagnosi di broncopolmonite con tardivo avvio delle terapie indicate.

§ 3. La proposta di risarcimento per “malasanità” formulata dal Giudice in favore dei familiari del paziente deceduto

Intrapreso successivamente il procedimento di merito nelle forme di cui all’art. 702 bis c.p.c., il Giudice ha potuto accertare la fondatezza dei profili critici sollevati dalla famiglia del sig. Ottavio in merito alla qualità dell’assistenza sanitaria prestata al paziente.

E’ stata, infatti, sottolineata la tardiva diagnosi e gestione della infezione ospedaliera da polmonite, la quale è derivata da una cattiva prevenzione del rischio infettivo, risultando in atti solo generica documentazione attestante l’eventuale adozione di linee guida e certificati di qualità da parte della Struttura Sanitaria, ma non la prova della concreta attuazione delle stesse. Non era stato, invero, depositato alcun registro giornaliero di disinfestazione e pulizia dell’ambiente operatorio, né alcuna delle campionature che è doveroso effettuare per controllare l’efficacia delle misure di prevenzione astrattamente adottate.

Inoltre, la Struttura Sanitaria aveva depositato in giudizio due verbali delle riunioni tenute dal Comitato Infezioni Ospedaliere (pur senza produrre l’atto di costituzione dello stesso C.I.O.), da cui si era appreso che:
– il Comitato si era riunito – in 2 anni – soltanto in due occasioni;
– la durata delle riunioni era stata esigua (meno di un’ora per ciascuna);
– i verbali risultavano estremamente laconici;
– infine, e soprattutto, gli unici argomenti rilevanti nell’economia del giudizio – lotta alle infezioni negli interventi di cardiochirurgia – non erano mai stati trattati, in nessuna delle (due) riunioni, per reiterata assenza dei relatori (sic!).

Sembrava perspicuo, dunque, che il C.I.O., ammesso e non concesso che fosse stato costituito, avesse presso l’Azienda in questione un ruolo meramente formale o, in ogni caso, operasse in modo manifestamente inidoneo ad assolvere le funzioni normativamente assegnatagli (di prevenzione, organizzazione, formazione del personale, verifica dell’effettiva applicazione dei programmi e controllo della loro efficacia).

Pertanto, acclarata la sussistenza della colpevolezza dell’Azienda Sanitaria, confermata altresì la sussistenza del nesso causale (nella nota accezione del “più probabile che non”), il Giudice ha ritenuto di formulare – ai sensi dell’art. 185 bis c.p.c. – una proposta di conciliazione della controversia che prevede il pagamento delle seguenti somme in favore dei congiunti del paziente deceduto per malasanità:

  • € 290.000,00 alla coniuge superstite convivente;
  • € 250.000,00 alla figlia superstite convivente;
  • € 210.000,00 al figlio superstite non convivente,

per complessivi € 750.000,00, oltre rifusione delle spese di lite e di C.T.U.

Giova precisare che il risarcimento è stato determinato in base alle Tabelle di Roma 2018 per la perdita del rapporto parentale, reputate (condivisibilmente) più idonee ad una corretta e prevedibile personalizzazione del danno.

Vittima di malasanità?

§ 4. Le infezioni nosocomiali non sono una “complicanza”: evitabilità delle I.C.A. e delle morti ad esse correlate

Come abbiamo diffusamente messo in luce in un articolo ad esse dedicato, le infezioni nosocomiali (oltre che prevedibili) sono tutt’altro che inevitabili: la letteratura scientifica, nazionale ed internazionale, attesta che le I.C.A. – almeno per il 50-60% dei casi – possono essere prevenute attraverso l’effettiva adozione ed attuazione delle misure idonee a garantire la sterilità degli ambienti, del personale e delle attrezzature.

Del resto, la giurisprudenza di legittimità ha ormai definitivamente chiarito che il concetto di “complicanza” non è utilizzabile in àmbito giuridico, in quanto al diritto non può interessare la constatazione – di carattere prettamente statistico – che l’iter terapeutico di taluni trattamenti va incontro ad eventi avversi. Il Giudice deve, infatti, limitarsi ad accertare se:

  • detto evento avverso era prevedibile ed evitabile, e allora esso va ricondotto a responsabilità della Struttura Sanitaria (benché la statistica clinica lo annoveri astrattamente tra le “complicanze”), oppure se
  • detto evento avverso non era prevedibile né evitabile, e allora esso non può essere ascritto a responsabilità della Struttura, in quanto vi sono gli estremi della “causa non imputabile” prevista dall’art. 1218 c.c. (a prescindere dal fatto che la statistica lo annoveri – oppure no – tra le “complicanze”).

(cfr. Cass. III, 30/06/2015, n. 13328)

Peraltro, è appena il caso di rammentare che – in conformità alla natura contrattuale della responsabilità sanitaria, da ultimo ribadita dalla legge Gelli –  è onere della Struttura dimostrare la (im)prevedibilità e la (in)evitabilità dell’evento infettivo. Sicché, ove la Struttura non riesca a soddisfare – nel caso concreto – detto (gravoso) onere, non potrà andare esente da responsabilità e dal conseguente obbligo risarcitorio.

§ 5. L’esperienza modenese: la riduzione dei tassi infettivi e dei decessi

Indiretta dimostrazione di quanto appena osservato in tema di prevenibilità dei fenomeni infettivi è costituita dalla recente esperienza dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Modena, e – in particolare – dai risultati delle azioni da questa messe in campo per diminuire il numero delle infezioni correlate all’assistenza sanitaria.

Come illustrato dalla prof.ssa Cristina Mussini, Direttrice della Struttura Complessa di Malattie dell’A.O.U. di Modena, intervistata il 20/03/2019 dalla trasmissione “Know How” di Repubblica, la Struttura ha ottenuto straordinari risultati nel campo della lotta alle infezioni ospedaliere resistenti agli antibiotici.

Si è trattato di un intervento complesso e lungo (è durato 5 anni), che tuttavia ha mostrato ottime potenzialità sin dalle prime fasi.
La prima iniziativa adottata è stata quella di riscrivere le linee guida di prevenzione, modellandole alla peculiare esperienza della Struttura (che denotava tassi di resistenza agli antibiotici, soprattutto quelli “salva-vita” come i carbapenemici, particolarmente elevati).
Con l’imprescindibile coinvolgimento della Direzione Generale e della Direzione Sanitaria, sono stati poi definiti i criteri per un uso più appropriato degli antibiotici, ponendo un argine alla eccessiva generosità nella somministrazione di queste terapie (“l’antibiotico – ricorda la prof.ssa Mussini – è il farmaco più facile da prescrivere, ma forse il più difficile da interrompere“).
E’ stato, inoltre, incrementato il controllo delle infezioni ed il monitoraggio dei pazienti all’ingresso in Struttura (perché, se si ignora lo stato infettivo di un paziente che entra in reparto, è altamente probabile che l’infezione si diffonda, prevalentemente per contatto ad opera degli Operatori Sanitari).
Sono state, altresì, prescritte specifiche istruzioni – destinate anche ai visitatori e i familiari dei pazienti – per garantire il rispetto delle regole sul lavaggio delle mani con gel alcolico, da effettuare perentoriamente nei 5 momenti fondamentali (prima del contatto con il paziente, prima di una manovra asettica, dopo l’esposizione ad un liquido biologico, dopo il contatto con il paziente, dopo il contatto con ciò che sta attorno al paziente).

I risultati di questo lavoro sono stati decisamente incoraggianti. Basti pensare che si è avuta una sensibile diminuzione del tasso di resistenza agli antibiotici di due tra i germi ospedalieri più insidiosi: la Klebsiella Pneumoniae [KPC] (scesa dal 42% al 4%) e lo Pseudomonas Aeruginosa (sceso dal 33% al 9%).

Ciò ha comportato, del pari, una significativa diminuzione nella prescrizione di terapie antibiotiche (scesa del 50%), con un risparmio economico stimato in misura superiore ad € 1.300.000,00.

L’esperienza modenese dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che la prevenzione in materia di I.C.A. funziona. In Italia, dunque, dovremmo essere celeri nell’apprendere la lezione che altri Paesi (come la Germania, ad esempio) hanno già assimilato: la prevenzione delle infezioni ospedaliere è una priorità; pertanto, è necessario dedicare a questo tema risorse ed energie adeguate, provvedendo ad una formazione periodica e specifica di tutti gli Operatori Sanitari.

L’intervista alla prof.ssa Mussini è stata pubblicata anche sul numero del 21/03/2019 di Repubblica Salute.

§ 6. DOCUMENTI SCARICABILI & APPROFONDIMENTI in tema di risarcimento da “malasanità”

Cliccando sul link qui sotto, puoi scaricare il provvedimento contenente la proposta risarcitoria del Giudice per questo caso di malasanità a Roma:

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