Frattura esposta e sepsi mortale

Frattura esposta e sepsi mortale: risarcimento di 900.000 euro per malasanità

Le fratture esposte rappresentano una delle emergenze ortopediche che richiedono maggiore tempestività e rigore nel trattamento. Quando i protocolli consolidati vengono disattesi, una lesione potenzialmente gestibile può evolvere in complicanze gravissime, fino all’esito più drammatico: la morte del paziente per sepsi.

Lo Studio Legale Chiarini ha recentemente concluso con successo un caso di malpractice medica che ha portato al riconoscimento di un risarcimento complessivo di 900.000 euro per i familiari di un paziente deceduto a causa di una sepsi conseguente alla negligente gestione di una frattura esposta.

Il caso è particolarmente emblematico perché dimostra come una ferita lasciata sotto gesso per 26 giorni senza alcun controllo, l’impianto di una protesi su osso potenzialmente infetto, e la mancata diagnosi di un’infezione protesica nonostante tre ricoveri specialistici, costituiscano violazioni così gravi degli standard di cura da configurare una chiara ipotesi di responsabilità medica.

La Consulenza Tecnica d’Ufficio ha accertato che il decesso non era riconducibile al trauma iniziale, ma rappresentava la conseguenza diretta e prevedibile degli errori nella gestione clinica, escludendo qualsiasi correlazione causale con l’incidente originario e attribuendo la morte esclusivamente alla catena di negligenze dei sanitari.

§ 1. Le fratture esposte: principi di trattamento e rischi infettivi

La frattura esposta è una soluzione di continuo dell’osso associata a una comunicazione tra il focolaio di frattura e l’ambiente esterno attraverso una lesione dei tessuti molli. Questa condizione rappresenta sempre un’urgenza ortopedica per l’elevato rischio di complicanze infettive.

Secondo le linee guida della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT) e i protocolli internazionali, il trattamento delle fratture esposte deve seguire principi rigorosi e tempistiche precise. La gestione iniziale prevede la pulizia immediata del focolaio di frattura, il debridement dei tessuti devitalizzati, la riduzione e stabilizzazione della frattura e l’avvio precoce di terapia antibiotica ad ampio spettro.

La profilassi antibiotica deve iniziare il prima possibile, idealmente entro 3 ore dal trauma, e proseguire per un periodo limitato (generalmente 24-72 ore per le fratture di tipo I e II secondo Gustilo, fino a 5-7 giorni per quelle di tipo III). L’uso prolungato di antibiotici non solo non previene le infezioni, ma favorisce lo sviluppo di resistenze batteriche.

Un aspetto fondamentale nella gestione delle fratture esposte è il monitoraggio costante della ferita. Qualsiasi medicazione o immobilizzazione deve permettere l’ispezione regolare del sito di lesione. L’applicazione di apparecchi gessati chiusi su ferite non adeguatamente trattate costituisce una grave violazione dei principi basilari dell’ortopedia.

Le complicanze infettive delle fratture esposte possono manifestarsi a diversi livelli: infezioni superficiali dei tessuti molli, osteomieliti acute o croniche, fino alle temibili sepsi sistemiche. Il rischio infettivo aumenta esponenzialmente quando i protocolli di trattamento non vengono rispettati, come dimostrato tragicamente nel caso in esame.

§ 2. Quando la gestione di una frattura configura malasanità

Non ogni complicanza nel trattamento di una frattura esposta configura automaticamente un’ipotesi di malasanità. È necessario distinguere tra complicanze prevedibili e accettate, rientranti nel normale rischio clinico, ed eventi avversi derivanti da violazioni degli standard di cura.

La responsabilità sanitaria si configura quando la gestione del paziente si discosta in modo significativo dalle linee guida e dalle buone pratiche clinico-assistenziali riconosciute dalla comunità scientifica. Nel contesto delle fratture esposte, costituiscono profili di colpa medica:

  • L’omesso o ritardato trattamento della ferita rappresenta una delle violazioni più gravi. Lasciare una ferita esposta sotto un apparecchio gessato senza possibilità di ispezione e medicazione viola i principi fondamentali della wound care e crea le condizioni ideali per lo sviluppo di infezioni profonde.
  • L’uso inappropriato della terapia antibiotica, sia in termini di durata che di spettro d’azione, configura un ulteriore profilo di responsabilità. La somministrazione prolungata di monoterapia antibiotica, oltre a non prevenire le infezioni, favorisce la selezione di ceppi batterici resistenti, complicando drammaticamente il quadro clinico.
  • La scelta di procedere con interventi di sintesi definitiva o protesizzazione in presenza di segni clinici o laboratoristici di infezione rappresenta una grave imprudenza. I protocolli ortopedici sono chiari: qualsiasi impianto su osso potenzialmente infetto è controindicato per l’elevato rischio di infezione protesica.
  • La mancata o inadeguata gestione delle complicanze infettive, con dimissioni ripetute senza identificazione del focolaio settico nonostante una sintomatologia evidente, configura una negligenza diagnostica che può avere conseguenze fatali.

Hai perso un familiare a causa di un’infezione ospedaliera o della gestione negligente di una frattura?

La morte evitabile di un paziente a seguito di una frattura esposta mal gestita rappresenta una grave violazione degli standard sanitari. Se sospetti un caso di malasanità legato a sepsi, infezioni post-operatorie o impianti ortopedici inappropriati, possiamo aiutarti a ottenere giustizia e risarcimento.

§ 3. Il caso: dalla frattura alla morte per sepsi

Un uomo di 79 anni in buone condizioni di salute subì un incidente, riportando una frattura poliframmentaria scomposta del piatto tibiale con presenza di ferita lacero-contusa nella regione posteriore del ginocchio.

Quello che doveva essere un normale percorso di cura ortopedica si trasformò in un calvario di 18 mesi che portò al decesso del paziente per sepsi, a causa di una catena di errori medici che hanno determinato un risarcimento di 900.000 euro in sede di conciliazione giudiziale.

§ 3.1 La prima fase: gli errori nella gestione iniziale

All’arrivo in ospedale, invece di procedere con il trattamento d’urgenza previsto per le fratture esposte, i sanitari applicarono una valva gessata lasciando la ferita all’interno dell’immobilizzazione. Questa scelta terapeutica violava i principi basilari del trattamento delle fratture esposte, che richiedono la possibilità di ispezionare e medicare regolarmente la ferita.

Per 26 giorni consecutivi, la ferita rimase sotto il gesso senza alcun controllo o medicazione. Durante questo periodo critico:

  • Si manifestarono episodi febbrili ignorati o sottovalutati
  • Fu avviata una terapia antibiotica inadeguata con monoterapia prolungata per oltre 40 giorni
  • Il rischio infettivo venne completamente sottostimato

Questa grave negligenza nella gestione della frattura esposta creò le condizioni ideali per lo sviluppo di un’infezione profonda che avrebbe compromesso irrimediabilmente il quadro clinico del paziente.

§ 3.2 L’intervento di protesi su osso infetto

Nonostante i chiari segni di infezione in atto, dopo circa due mesi dal trauma iniziale, i sanitari decisero di procedere con l’impianto di una protesi di ginocchio. Questa scelta rappresentò un grave errore di valutazione clinica: impiantare una protesi su una frattura esposta non adeguatamente trattata e con segni di infezione costituisce una violazione dei principi basilari dell’ortopedia.

Come prevedibile, l’intervento non risolse il problema, ma lo aggravò. Il paziente sviluppò un’infezione protesica che, nonostante tre ricoveri successivi presso il reparto di malattie infettive nel corso dell’anno successivo all’infortunio, non venne mai correttamente diagnosticata né trattata.

Durante questi ricoveri, caratterizzati da febbri ricorrenti e stato settico persistente, non vennero eseguiti gli accertamenti fondamentali per identificare il focolaio infettivo: nessuna scintigrafia, nessuna PET, nessun consulto ortopedico specialistico. Il paziente veniva dimesso senza una diagnosi e senza alcun riscontro dell’eradicazione dell’infezione.

§ 3.3 La diagnosi tardiva e l’epilogo tragico

Solo grazie all’intervento di uno specialista privato, venne finalmente prescritta una PET-TAC che confermò il focolaio settico a livello della protesi.

Ma era ormai troppo tardi: il quadro clinico era compromesso e, nonostante la rimozione tardiva della protesi e la successiva amputazione dell’arto, il paziente è deceduto per sepsi.

§ 4. L’accertamento delle responsabilità: il ruolo della CTU

Il procedimento di Accertamento Tecnico Preventivo (ATP) ha rappresentato un momento fondamentale  per la cristallizzazione delle prove e l’accertamento delle responsabilità. Il collegio peritale, composto da un medico legale, un ortopedico e un infettivologo, ha condotto un’analisi approfondita della documentazione clinica e del percorso assistenziale.

§ 4.1 I profili di colpa accertati

La perizia ha evidenziato molteplici profili di colpa medica nella gestione del caso. In ambito ortopedico, i periti hanno stigmatizzato l’applicazione della doccia gessata sulla ferita esposta e la mancanza di prove che la ferita sia mai stata medicata durante i 26 giorni di immobilizzazione. Hanno inoltre definito “grave errore” la scelta di impiantare una protesi su una frattura esposta non adeguatamente trattata.

Dal punto di vista infettivologico, la CTU ha evidenziato come la somministrazione di monoterapia antibiotica per 44 giorni consecutivi non trovi riscontro in letteratura, nelle linee guida o nel riassunto delle caratteristiche del prodotto. Questa gestione ha esposto il paziente a un elevato rischio di sviluppare infezioni da batteri multiresistenti.

Il ritardo diagnostico nella identificazione dell’infezione protesica, nonostante tre ricoveri in reparto specialistico, è stato definito incompatibile con la comune diligenza professionale

L’omessa esecuzione di accertamenti basilari come scintigrafia o PET in presenza di sepsi ricorrenti in paziente protesizzato configura una negligenza diagnostica di particolare gravità.

§ 4.2 Il nesso causale

L’aspetto più significativo emerso dalla perizia riguarda il nesso di causalità.

I consulenti hanno affermato con chiarezza che:

il decesso non è da ricondurre causalmente e/o concausalmente ai prevedibili esiti dell’infortunio che il paziente ha subito, ma bensì in maniera esclusiva e causalmente diretta agli errori di trattamento e terapia indicati nell’elaborato peritale“.

Questa conclusione esclude categoricamente che il trauma iniziale avrebbe potuto avere conseguenze mortali se correttamente trattato. La morte è stata la conseguenza diretta e prevedibile della catena di errori nella gestione clinica del paziente.

§ 5. Il percorso verso il risarcimento: strategia processuale

La gestione processuale del caso ha richiesto un approccio strategico articolato in più fasi, ciascuna finalizzata a consolidare la posizione dei familiari della vittima e a ottenere il giusto riconoscimento del danno subito.

§ 5.1 La scelta dell’ATP e il tentativo di conciliazione

Nel 2021, l’Avvocato Gabriele Chiarini ha promosso per conto dei familiari un procedimento di Accertamento Tecnico Preventivo ai fini conciliativi ex art. 696 bis c.p.c. Questa scelta procedurale ha consentito di acquisire in fase preliminare una valutazione tecnica super partes sulla vicenda.

Durante le operazioni peritali, il collegio dei CTU ha formulato una proposta conciliativa basata sulle evidenze emerse. I familiari del paziente hanno tempestivamente manifestato disponibilità all’accordo, mentre l’Azienda Sanitaria ha opposto un netto rifiuto, compromettendo l’esito del tentativo di conciliazione.

§ 5.2 Il giudizio di merito

Di fronte all’intransigenza della controparte, nel febbraio 2023 è stato necessario instaurare il giudizio di merito mediante ricorso proposto nei confronti dell’Azienda Sanitaria, la quale ha tentato di rimettere in discussione le conclusioni peritali, ottenendo dal Tribunale la convocazione dei CTU per chiarimenti.

Nel corso del procedimento di merito, i consulenti hanno confermato integralmente le loro conclusioni, ribadendo che il paziente aveva un’aspettativa di vita normale e che il decesso era esclusivamente riconducibile agli errori di trattamento. Hanno precisato che “non viene considerata la possibilità che il de cuius, a seguito dei trattamenti sanitari per cui è causa, abbia avuto un perdita di chance di sopravvivenza poiché a giudizio degli scriventi il danno iniziale non era tale da ipotizzare una prognosi infausta“.

§ 5.3 La mediazione e l’accordo transattivo

L’approssimarsi della decisione e la granitica conferma delle responsabilità da parte dei CTU hanno indotto l’Azienda Sanitaria a rivedere la propria posizione. È stata quindi avviata una mediazione che si è conclusa con un accordo transattivo complessivo di oltre 900.000 euro, così ripartiti:

  • Coniuge superstite: 260.000 euro
  • Ciascun figlio: 2 x 230.000 euro = 460.000 euro
  • Ciascun nipote: 2 x 50.000 euro = 100.000 euro
  • Spese di consulenze e di lite: 80.000 euro

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È disponibile il testo integrale dell’atto transattivo relativo a questo caso di sepsi mortale dopo frattura esposta. Il documento può offrire un utile riferimento pratico in materia di responsabilità sanitaria e criteri risarcitori.

§ 6. I danni risarcibili nel caso di morte per malasanità

Il risarcimento riconosciuto ai familiari del paziente deceduto si compone di diverse voci di danno, ciascuna con propri criteri di quantificazione e parametri di riferimento. Naturalmente, trattandosi di una definizione transattiva, le somme concordate riflettono anche le reciproche rinunce delle parti, tipiche di una composizione bonaria della controversia.

§ 6.1 Il danno da perdita del rapporto parentale

Il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale costituisce la voce principale del risarcimento spettante ai congiunti. Si tratta del pregiudizio derivante dalla privazione definitiva del rapporto affettivo con il proprio caro, che viene liquidato secondo le tabelle elaborate dai principali tribunali italiani.

Nel caso specifico, il danno è stato riconosciuto alla moglie convivente, ai due figli che vivevano nello stesso complesso abitativo e ai nipoti, che avevano un rapporto quotidiano con la vittima. La quantificazione ha tenuto conto dell’età della vittima (79 anni), dell’età dei superstiti, dell’intensità del legame affettivo dimostrato dalla convivenza o semi-convivenza e dalla composizione del nucleo familiare.

§ 6.2 Il danno terminale e catastrofale

Il danno biologico terminale, trasmissibile iure hereditatis, è stato riconosciuto per il periodo di invalidità temporanea al 75% per 180 giorni individuato dai CTU. Si tratta del pregiudizio all’integrità psicofisica patito dal paziente durante il lungo calvario che ha preceduto il decesso.

Il danno catastrofale, consistente nella sofferenza psichica derivante dalla consapevolezza dell’approssimarsi della morte, è stato riconosciuto considerando che il paziente rimase sempre in stato di lucida coscienza e dovette affrontare ricoveri ripetuti, l’amputazione dell’arto e la progressiva compromissione delle proprie condizioni fino all’esito fatale.

§ 6.3 Il danno patrimoniale

Oltre alle componenti non patrimoniali, il risarcimento ha incluso il danno patrimoniale derivante dalla perdita del contributo economico e assistenziale che il defunto apportava al nucleo familiare. La quantificazione ha considerato il reddito della vittima e la sua aspettativa di vita residua di circa 8 anni.

§ 7. L’importanza della tutela specializzata nei casi di malasanità

La complessità del caso evidenzia l’importanza fondamentale di affidarsi a professionisti specializzati nel settore della responsabilità medica. La gestione di casi che coinvolgono infezioni ospedaliere con esito mortale richiede competenze specifiche sia in ambito medico-legale che processuale.

La scelta dei consulenti tecnici, la strategia processuale e la capacità di valorizzare adeguatamente il danno subito sono elementi che possono fare la differenza tra il riconoscimento di un equo risarcimento e la frustrazione delle legittime aspettative dei familiari.

In questo caso, la perseveranza nel sostenere le ragioni dei familiari anche di fronte al rifiuto iniziale dell’ASL di riconoscere le proprie responsabilità, ha portato a un risultato che, pur non potendo restituire la vita perduta, ha almeno garantito un riconoscimento economico adeguato alla gravità del danno subito.

Se tu o un tuo familiare avete subito complicanze gravi a seguito di un intervento chirurgico o di una gestione inadeguata di fratture o altre patologie ortopediche, lo Studio Legale Chiarini è a disposizione per una valutazione del caso. Contattaci per un consulto preliminare.

Ride delle cicatrici, chi non è mai stato ferito.

William Shakespeare