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La mediazione in responsabilità medica

La mediazione in responsabilità medica

Mediazione e conciliazione in ambito di contenzioso medmal[*]

Proviamo a dare un piccolo contributo alla riflessione sull’istituto della mediazione in responsabilità medica (e necessariamente dovremo parlare anche dell’ATP, trattandosi di condizioni alternative di procedibilità della domanda risarcitoria in materia di medical malpractice). Ne parleremo alla luce della pratica professionale di questi quasi sei anni trascorsi dall’entrata in vigore della legge Gelli, con una prospettiva che – dobbiamo confessare – è di parte, perché è il punto di vista di quelli che gli anglosassoni chiamerebbero “plaintiff lawyers“: avvocati che difendono il più delle volte, anche se non sempre, il paziente danneggiato o i suoi familiari.

Chiaramente parleremo soprattutto della possibilità di conciliazione che, in mediazione come in ATP, è sempre l’obiettivo principale, anche perché questi strumenti di A.D.R. non servono solo e tanto ad accertare, dal punto di vista tecnico, se la pretesa del danneggiato abbia un fondamento oppure no. Certo: servono anche a quello, ma servono anche e soprattutto a svolgere – come tutti sappiamo – una funzione deflativa del contenzioso, e pure, in un certo senso, una sorta di funzione pacificatrice, cioè finalizzata a mitigare questa conflittualità che è andata divenendo sempre più accesa nel rapporto terapeutico paziente-struttura e paziente-medico.

[*] Il presente articolo sintetizza il testo dell’intervento che il nostro Avv. Gabriele Chiarini ha tenuto al convegno organizzato da “Istituto Medico Legale“, svoltosi presso la Camera di Commercio di Chieti il 02/12/2022 ed intitolato “La mediazione in responsabilità medica“.


INDICE SOMMARIO


§ 1. Breve premessa su mediazione (e conciliazione) in responsabilità medica

Dobbiamo partire da un presupposto indiscutibile: mettersi d’accordo con la controparte, piuttosto che andare a finire in tribunale per una causa di merito, conviene a tutti, in tutti i settori, e soprattutto in responsabilità sanitaria.

Come si suol dire: “una cattiva transazione è meglio di una buona sentenza” (o di una buona ordinanza, nel caso dell’art. 702 bis c.c.!).

Mettersi d’accordo conviene al danneggiato, che evita l’alea, i tempi e i costi di un processo.
Ma conviene anche alla struttura sanitaria e ai suoi funzionari, che possono limitare il dispendio di risorse economiche e magari evitare, se la struttura è pubblica, di finire davanti alla Corte dei Conti per un potenziale danno erariale.

Perciò resta di grande attualità l’insegnamento più autorevole, vecchio di duemila anni, che invita a coltivare la conciliazione invece del contenzioso:

“[…] lungo la strada mettiti d’accordo con il tuo avversario, perché non ti trascini in tribunale e il giudice ti consegni all’esecutore, e questi ti getti in prigione. Ti assicuro: non ne uscirai finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo.”

[LUCA 12, 58-59]

Ecco quindi di cosa cercheremo di parlare, naturalmente con la massima sintesi, in questo approfondimento:

  • della trattativa stragiudiziale che dobbiamo coltivare nella prima fase di gestione di un fascicolo,
  • delle due condizioni (alternative) di procedibilità della domanda, costituite appunto dall’ATP e dalla mediazione,
  • della riforma Cartabia e di quello che potrebbe accadere se il legislatore non mette riparo a un piccolo ma grave refuso normativo, “sfuggito” nell’approvazione del decreto legislativo,
  • delle circostanze e delle motivazioni per le quali può essere preferibile la mediazione rispetto all’ATP,
  • infine, delle condizioni che, a nostro avviso, possono consentire alla mediazione di funzionare.

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§ 2. La trattativa stragiudiziale in responsabilità medica

Allora, cominciamo dalla cosiddetta trattativa stragiudiziale, che è quella cosa che si dovrebbe fare prima di qualunque giudizio, non solo in materia sanitaria.

Il legale del paziente, dopo aver terminato la sua doverosa istruttoria con il medico legale e lo specialista (o gli specialisti, quando ne occorre più di uno), se ritiene di non dover restituire le carte ai clienti per infondatezza del caso, deve iniziare a gestire questo fascicolo, che ha ad oggetto una richiesta di risarcimento danni per “malasanità”.

E allora cosa fa? Apre il sinistro, cioè invia una prima comunicazione ai presunti responsabili.
E lo fa con l’auspicio che questo atto dia l’abbrivio a un dialogo, a un confronto, magari acceso, ma fondamentalmente costruttivo, per capire se si possa raggiungere una intesa transattiva.

In tempi ragionevoli, ovviamente…

Il fatto è, purtroppo, che la cosiddetta trattativa stragiudiziale ante causam, fatta nella speranza di conciliare, si manifesta un po’ come “Waiting for Godot” di Samuel Beckett: un teatro dell’assurdo costruito intorno al tema dell’attesa.

Almeno nella nostra esperienza, e pur con le dovute eccezioni, che a volte ci sorprendono, sta diventando molto difficile transigere un sinistro MedMal in fase stragiudiziale.

Tra comunicazioni interlocutorie, integrazioni documentali, comitati valutazione sinistri, e altre schermaglie varie, passa così tanto tempo dall’apertura del sinistro alla possibilità di discuterne il merito con la controparte, che un avvocato non sa più cosa dire ai propri clienti per giustificare quella che può sembrar loro inerzia.

Quindi, se non vuole perdere l’incarico, deve passare oltre.

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§ 3. Le condizioni di procedibilità: ATP e mediazione in responsabilità medica

E a cosa passa?

Passa a valutare, prima di tutto, l’alternativa tra il ricorso per ATP e la mediazione, quali condizioni, alternative appunto, di procedibilità della domanda risarcitoria.

Partiamo dalle norme.

L’art. 8 della legge Gelli, almeno ai commi primo e secondo, è abbastanza chiaro: chi intende esercitare questa azione risarcitoria in materia di responsabilità sanitaria è tenuto (quindi DEVE) preliminarmente proporre il ricorso per ATP, o meglio il ricorso per l’esperimento di un consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, come dice la rubrica dell’art. 696 bis c.p.c.

Al secondo comma specifica che la presentazione di questo ricorso è condizione di procedibilità della domanda, e poi aggiunge: è fatta salva la possibilità di optare, in alternativa, per l’istituto della mediazione.

Quindi c’è una via obbligata rimessa alla discrezione della parte: l’ATP (che sembra la strada, diciamo così, priviliegiata dal legislatore), oppure la mediazione.

A dire il vero, in qualche caso, seppur raro per fortuna, il Giudice non digerisce bene lo strumento processuale dell’ATP, e si avventura in divagazioni che lo portano a dichiararne l’inammissibilità.

Come in questo provvedimento in cui il Tribunale di Trieste ha ritenuto che, siccome il caso era molto complesso e, a suo avviso, difficilmente si sarebbe potuta conciliare la lite, allora il ricorrente avrebbe fatto meglio a rivolgersi allo strumento della mediazione, prima di iniziare il giudizio di merito.
Così, però, ha trasformato, di fatto, la facoltà di optare per la mediazione nel dovere di farlo.

Capita di rado, come dicevamo.
A noi è capitato non più di un paio di volte dall’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco.
Oltre al Tribunale di Trieste abbiamo avuto un Tribunale di Treviso con un provvedimento sostanzialmente analogo.

Ma ricordo che anche il Tribunale di Catania ha un orientamento piuttosto restrittivo sull’ammissibilità dell’ATP.

E abbiamo letto tutti, recentemente, un Tribunale di Napoli, ordinanza 09/11/2022, dr.ssa Lo Bianco, che ha dichiarato inammissibile un ricorso per ATP che mirava a sindacare il trattamento domiciliare di un caso di decesso per Covid-19, perché non era stato adeguatamente specificato quali trattamenti medici colposamente omessi o ritardati avrebbero avuto una ragionevole probabilità di successo nell’ottica di maggiori chances di guarigione, se non di sopravvivenza.

Ora, è chiaro che la pandemia, e soprattutto la sua prima ondata, è una cosa diversa dall’ordinario funzionamento del S.S.N., e non a caso noi, come studio, abbiamo proprio deciso di non accettare incarichi relativi al Covid-19.

Ma il principio è chiaro: il ricorso per ATP, per essere ammesso, deve essere fatto bene, non può essere esplorativo e deve indicare con precisione quali sono i profili di responsabilità evocati e come si configura il nesso causale con il danno lamentato, in base a quel ragionamento controfattuale che la Corte di Cassazione ci ha insegnato a fare.

§ 4. Responsabilità medica e riforma Cartabia

Ma ecco, a proposito dell’ATP, vorremmo fare una riflessione sulle innovazioni che deriveranno dall’entrata in vigore della cd. riforma Cartabia.

Come sapete, in attuazione dei principi e dei criteri direttivi previsti dalla legge di delega, il 17 ottobre 2022 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo n. 149 del 2022, che ha introdotto rilevanti modifiche – tra l’altro – al processo di cognizione di primo grado.

Modifiche che, per la maggior parte, troveranno applicazione ai procedimenti instaurati successivamente al 30 giugno del prossimo anno (2023) o forse, se effettivamente ne sarà anticipata l’entrata in vigore, al 28 febbraio 2023.

Allora, vorremmo soffermare brevemente l’attenzione su queste disposizioni.

L’art. 3, comma 21, del d.lgs. 149/2022 ha introdotto il “procedimento semplificato di cognizione“, collocandolo nei nuovi artt. 281 undecies e seguenti c.p.c.
Procedimento, questo, che vuole sostituire, seppur con alcune modifiche ed innovazioni, l’attuale “procedimento sommario di cognizione” di cui agli artt. 702 bis e seguenti c.p.c.

E, non a caso, il capo che contiene appunto gli artt. 702 bis e seguenti c.p.c. è stato abrogato dall’art. 3, comma 48, dello stesso d.lgs. 149/2022.

Tutto questo, beninteso, entrerà in vigore il 30 giugno 2023 (o il 28 febbraio 2023).

Ora, nessuno però si è ricordato che l’art. 8, comma 3, legge 24/2017 continua a prevedere la necessità di introdurre, dopo l’ATP ex art. 696 bis c.p.c., “il ricorso di cui all’articolo 702 bis del codice di procedura civile ….

Quindi, a decorrere dall’entrata in vigore della riforma Cartabia (30/06 o 28/02/2023), la legge Gelli si troverà a rinviare ad un articolo (il 702 bis c.p.c.) ABROGATO.

Qualcuno ne ha già voluto desumere che, se non interverrà una modifica, dal 30/06/2023 (o 28/02/2023) non sarebbe più possibile introdurre un rito ormai abrogato e, quindi, lo stesso ATP ex legge Gelli diventerebbe inutile, con la conseguenza che l’unica condizione di procedibilità delle cause per responsabilità sanitaria resterebbe la mediazione.

Noi non siamo d’accordo, naturalmente.

Ci sembra una interpretazione formalistica ed inutilmente allarmistica: si tratta solo di un difetto di coordinamento agevolmente superabile per via interpretativa, sostituendo il riferimento al procedimento sommario di cognizione (abrogato) con quello al nuovo procedimento semplificato di cognizione.

Però bisogna prendere atto che questo difetto di coordinamento c’è, e che le conseguenze potrebbero non essere piacevoli, per chi opera in questo settore.
Evidentemente la soluzione migliore e più auspicabile sarebbe un intervento chiarificatore del legislatore per riallineare la normativa.
E, nel farlo, si potrebbe anche cogliere l’occasione per riformulare questa disposizione dell’art. 8, comma 3, legge Gelli, che è davvero scritta molto, molto male!

Ti servono chiarimenti in tema di mediazione?

§ 5. Quando la mediazione è preferibile all’ATP

Dicevamo: l’opzione alternativa per l’istituto della mediazione al fine di assolvere la condizione di procedibilità.
Dobbiamo dire che noi, la mediazione, la usiamo veramente poco, perché riteniamo l’ATP di gran lunga più efficace.
Qualche volta, però, la mediazione può essere considerata preferibile in ottica di strategia processuale.

Per quale ragione?

Per questa ragione.

Quando procediamo con l’ATP, la scansione è quella bifasica della consulenza preventiva, nella quale i CC.TT.UU. fanno la loro valutazione sull’ipotesi di responsabilità, a cui segue la fase di merito.
Quest’ultima si introduce con il ricorso ex art. 702 bis c.p.c., e quindi con il giudizio sommario di cognizione, che poi talvolta è convertito (anche se a nostro avviso non dovrebbe mai esserlo) in giudizio ordinario.

In ogni caso, le cd. barriere istruttorie, cioè i termini processuali perentori entro i quali le parti possono produrre documentazione e chiedere l’ammissione dei mezzi di prova, sono SUCCESSIVE alla CTU.

Mentre se cominciamo un giudizio ordinario, dopo aver fatto la mediazione, le stesse barriere istruttorie maturano PRIMA della CTU.

Quindi è chiaro che, nella procedura bifasica che inizia con l’ATP, tutte le parti, nel corso del giudizio di merito, saranno in grado di colmare eventuali lacune probatorie, magari proprio quelle evidenziate dalla CTU.
Questo non è possibile, invece, se si utilizza la procedura ordinaria, perché si arriva alla CTU con il cd. thema probandum già cristallizzato ed immodificabile.

E la differenza non è di poco conto.

Pensiamo alle controversie in materia di Infezioni Correlate all’Assistenza, nelle quali l’esito del giudizio si fonda spesso sull’assolvimento oppure no, da parte della struttura sanitaria, dell’onere della prova di avere messo in campo tutti gli strumenti di prevenzione del rischio di contagio. Un probatio diabolica, dice qualcuno, che pure alcuni Giudici consentono di ritenere assolta se la struttura è stata molto brava a costruire il proprio fascicolo documentale.

E’ chiaro che, in questa materia, noi abbiamo interesse a fare istanza di mediazione, poi notificare la citazione, far maturare le preclusioni istruttorie e poi andare in CTU, in modo tale che la struttura non potrà più effettuare ulteriori produzioni documentali.

E vi assicuro che, in alcuni casi, questa scelta processuale ha fatto la differenza!

§ 6. A quali condizioni può funzionare la mediazione in responsabilità medica

Allora, dicevamo che la mediazione, almeno per la nostra esperienza, non è particolarmente efficace nella nostra materia.
D’altronde, le statistiche sono piuttosto sconfortanti.
Allora quali sono le condizioni che potrebbero migliorare questa situazione?

Tutti sappiamo che, il più delle volte, le parti chiamate in mediazione non aderiscono.
A volte neppure compaiono, a volte comunque non vogliono andare oltre il primo incontro cd. informativo.
In ogni caso, l’esito è fallimentare.

Qualche volta però, seppur eccezionalmente, si riesce a conciliare, in mediazione. E magari lo si fa addirittura al primo incontro, come ad esempio ci è accaduto in questo caso, non particolarmente importante, ma – diremmo – neppure irrilevante dal punto di vista economico (si trattava di quasi 100mila euro).

Naturalmente occorre che ci siano i presupposti per conciliare.
E quindi, dato per scontato che la parte istante ha tutto l’interesse e la disponibilità a cercare un accordo, bisogna
che la struttura chiamata in mediazione abbia:

  • terminato la sua istruttoria,
  • abbia valutato il sinistro ed
  • abbia già deliberato una qualche disponibilità transattiva,
  • dando specifico mandato al rappresentante legale o al procuratore speciale che comparirà in mediazione di manifestare questa disponibilità e, se del caso, concludere l’accordo conciliativo.

Dunque, sintetizzando, a nostro modo di vedere, si possono presentare due situazioni:

  1. La prima è più rara e si verifica quando non c’è dubbio che siamo davanti a una ipotesi di responsabilità. Di solito accade perché si tratta di una vicenda davvero grossolana o macroscopica di malpractice e, di fatto, dobbiamo soltanto discutere del quantum. Ci sono le tabelle, ci sono le formule, ci sono i dati documentali, e soprattutto c’è il mediatore che – quando sa fare il suo mestiere – senz’altro può dare un contributo rilevante alla definizione conciliativa.
  2. Poi c’è la seconda ipotesi, che è quella più frequente, quando la responsabilità è contestata, perché la fattispecie è obiettivamente controvertibile o per qualunque altra ragione. Bene, qui non c’è alternativa: per risolvere la lite bisogna ricorrere ad una C.T. in mediazione. Ma, a nostro avviso, bisogna farlo in deroga ai principi di riservatezza ed inutilizzabilità di cui agli artt. 9 e 10 del d.lgs. 28/2010.

Ricordiamo infatti che queste norme intendono tutelare la posizione delle parti in mediazione, assicurando loro che le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite resteranno segrete, e che gli atti della mediazione non potranno essere utilizzati nel giudizio avente lo stesso oggetto.

Ma, trattandosi di disposizioni dettate nell’interesse delle parti, queste ultime vi possono derogare. E, nel caso di specie, è proprio il caso che lo facciano con riferimento alla C.T.M.

Infatti, solo se stabiliamo, anticipatamente, che quella C.T. potrà essere prodotta nell’eventuale, ancorché denegato, successivo giudizio di merito, ci saranno serie possibilità che le parti non contestino ulteriormente le relative risultanze, quando a sé sfavorevoli, ma vi si adeguino, vi prestino – diciamo così – acquiescenza, e divengano in questo modo propense alla conciliazione.

In ogni caso, da parte di tutti gli attori di questo complesso palcoscenico, c’è molto spazio per superare distorsioni e pregiudizi.
Dobbiamo quindi, tutti quanti, riuscire ad ampliare la cultura e la prassi della conciliazione, sia in fase pre-giudiziale, sia in ATP, sia – naturalmente – in mediazione.

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