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Avv. Gabriele Chiarini - Ritardo intervento chirurgico & risarcimento danni

Ritardo intervento chirurgico & risarcimento danni da “malasanità”

Decesso per ritardo nell’esecuzione di intervento chirurgico: conseguito il risarcimento per i congiunti

Un ritardo nell’intervento chirurgico necessario alla risoluzione di una occlusione intestinale costò la vita ad un paziente. I suoi familiari non si sono rassegnati all’ineluttabilità degli eventi ed hanno cercato di fare chiarezza. Assistiti dall’Avv Gabriele Chiarini e dal suo team di consulenti medici, sono riusciti a dimostrare che quel ritardo non era conforme alle buone prassi di condotta medica e che la morte del proprio congiunto sarebbe stata evitabile.

All’esito di un celere procedimento di istruzione preventiva, è stato così possibile raggiungere una intesa conciliativa con la struttura sanitaria responsabile del decesso, che ha consentito l’erogazione di un importo complessivo superiore a 420.000,00 euro, integralmente liquidato, a titolo di risarcimento danni e rimborso delle spese necessarie all’accertamento di questo episodio di malpractice medica. In questo articolo i dettagli della vicenda.


INDICE SOMMARIO | Tardivo Intervento Chirurgico e risarcimento


§ 1. Il caso clinico e il ritardo nell’intervento chirurgico

Siamo nei primi mesi del 2018, in un piccolo paese dell’Italia settentrionale. Il signor Ottavio (nome fittizio, per ovvie ragioni di privacy in una materia delicata come quella sanitaria) è un padre di famiglia 75enne ancora energico e volitivo, appassionato di floricoltura e molto orgoglioso del suo giardino, nonostante le sue condizioni di salute non siano più ottimali. In particolare, tra le varie fragilità che lo affliggono, Ottavio ha una stenosi aortica piuttosto grave, vale a dire la restrizione di una valvola del cuore che diminuisce il flusso sanguigno nel corpo e provoca una serie di rischi e problematiche ulteriori.

Ma non è un problema cardiaco che, quella mattina di fine inverno, lo costringe a chiedere l’intervento del 118. Si tratta, invece, di un dolore addominale diffuso, che ha preso origine da un’ernia residuata all’esito di un precedente trattamento chirurgico (tecnicamente: laparocele) e che è andato progressivamente peggiorando nel corso della notte, tanto da essere accompagnato anche da alcuni episodi di vomito.

Trasportato al pronto soccorso di una importante azienda ospedaliera della città più vicina, i sanitari decidono di operarlo subito: all’interno del sacco erniario si è infatti “incarcerata” un’ansa ileale, cioè un tratto dell’intestino che, se non viene prontamente liberato, può andare incontro a necrosi. L’intervento chirurgico riesce bene ed il paziente, dopo una breve permanenza in terapia intensiva, torna in reparto per il monitoraggio post-operatorio.

Le condizioni di Ottavio, tuttavia, non migliorano come dovrebbero: i valori del sangue documentano uno stato di infiammazione e l’intestino non sembra aver ripreso la sua funzionalità. A una settimana dal primo intervento, la situazione clinica vira verso il peggio. Si eseguono esami strumentali, che confermano la presenza di un blocco intestinale e rendono evidente la necessità di procedere a un trattamento chirurgico urgente. Tuttavia, vuoi per una difformità di vedute tra chirurgo e anestesista, vuoi per la difficoltà di allestire la sala operatoria nel fine settimana, l’intervento viene rinviato.

E questa scelta si rivelerà fatale per il povero Ottavio. Passano i giorni e le sue condizioni si aggravano. Vengono progressivamente riscontrate contaminazioni batteriche (“Staphilococcus hominis”, “Bacillus Clausii” e, soprattutto, “Klebsiella Pneumoniae carbapenemasi producente”, germe tipicamente ospedaliero, sovente fonte di infezioni nosocomiali). Con quasi un mese di ritardo, l’intervento chirurgico viene infine praticato.

Ma è troppo tardi: la situazione è ormai compromessa e nulla può impedire un progressivo quanto inesorabile decorso clinico. Siamo alle soglie della primavera, ma Ottavio non vedrà più il sole sorgere sui fiori bianchi, appena sbocciati, del mandorlo piantato nel giardino di cui andava tanto fiero.

§ 2. La conferma del ritardo chirurgico e del nesso causale con il decesso

Ogni vicenda clinica è un episodio a sé, ma esistono alcuni elementi ricorrenti che rappresentano sintomi piuttosto evidenti di un possibile errore medico in ambito chirurgico. Con il supporto del proprio medico legale e dello specialista, un avvocato esperto di malasanità deve saperli riconoscere.

Così, nel triste caso del signor Ottavio erano presenti alcuni indici rivelatori di segno univoco: in primis, un serio quadro addominale occlusivo, documentato dagli esami strumentali eseguiti (RX e TAC), che fu sottovalutato e trascurato, tanto che l’intervento chirurgico fu eseguito solo con inescusabile ritardo. Ad esso si associò uno stato settico ingravescente, caratterizzato da batteri (in particolare la Klebsiella Pneumoniae) responsabili di una infezione ospedaliera.

Se correttamente trattato, con un più sollecito e tempestivo reintervento chirurgico, Ottavio avrebbe avuto ottime probabilità di guarire con esiti tutto sommato trascurabili. Probabilità di gran lunga superiori al 50%, dunque con criteriologia causale del “più probabile, che non” pienamente soddisfatta.

Nonostante le sue condizioni generali di salute non fossero perfette e andasse verosimilmente programmato il trattamento chirurgico della stenosi valvolare aortica, il paziente non versava in condizioni critiche all’epoca dei fatti. Pertanto non c’era alcun elemento che potesse far dubitare del fatto che, ove non si fosse verificato il ritardo chirurgico in discussione, egli avrebbe avuto un’aspettativa di vita paragonabile a quella attesa per uomini italiani di pari età.

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§ 3. La trattativa per il ritardato intervento coltivata in sede di accertamento tecnico preventivo

L’approccio alla gestione legale della vicenda clinica di Ottavio è stato, come sempre deve essere, cauto e prudente: in via stragiudiziale si è tentato, in prima istanza, di far comprendere all’assicurazione della struttura sanitaria i motivi di perplessità sulla qualità dell’assistenza erogata al paziente, con specifico riguardo al profilo del ritardo nell’esecuzione dell’intervento chirurgico. Tuttavia, complice forse anche la obiettiva complessità del caso, il dialogo pur instauratosi non ha prodotto risultati utili in tempi ragionevoli.

Pertanto, si è resa necessaria la proposizione di un ricorso per accertamento tecnico preventivo (rectius: per l’esperimento di una consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c.). L’utilizzo di questo istituto processuale – già da tempo considerato dall’orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito consono alle vertenze in subiecta materia – risulta peraltro oggi imposto dall’art. 8 della legge Gelli quale condizione di procedibilità della domanda di risarcimento danni da responsabilità medica, anche al fine di incentivare la soluzione conciliativa di questo genere di controversie.

I consulenti nominati dal Tribunale, svolte le operazioni peritali nel contraddittorio tra le parti e i rispettivi ausiliari, hanno confermato l’impegno di responsabilità con riguardo sia al profilo della colpa (per il tardivo trattamento chirurgico), sia a quello del nesso di causalità, affermando testualmente che:

“[…] qualora il soggetto fosse stato correttamente e tempestivamente trattato, in assenza cioè delle suesposte censure e sempre con la criteriologia civilistica, non sarebbe deceduto. […]”

Su queste premesse, è stato agevole (e, ciò nondimeno, meritorio) per i CC.TT.UU. indirizzare le parti verso una definizione bonaria, caldeggiando una soluzione conciliativa della vertenza, in linea del resto con gli intenti deflativi del contenzioso sottesi alla novella normativa introdotta dalla menzionata legge Gelli-Bianco.

§ 4. La definizione transattiva ed il risarcimento danni per tardivo intervento chirurgico

Dunque, grazie all’autorevole impulso offerto dai CC.TT.UU., all’impegno profuso dalla difesa dei familiari di Ottavio e – va detto – anche all’onesta disponibilità manifestata dalla compagnia assicurativa dell’azienda sanitaria, le parti sono riuscite a trovare un punto di caduta della trattativa ed hanno raggiunto un accordo transattivo sul quantum del pregiudizio risarcibile per questo decesso conseguito ad intervento chirurgico tardivo.

Chiaramente, il parametro di riferimento per l’entificazione del danno era costituito dalle tabelle per la liquidazione del cd. danno parentale da morte. E, come ben sanno gli operatori del settore, si tratta di una materia controversa e dibattuta, anche perché oggigiorno si contendono il campo e rivendicano priorità due strumenti tabellari, fondati su impostazioni differenti e proiettati ad esiti liquidatori spesso assai distanti: la tabella di Milano e la tabella di Roma (che anche noi, invero, abbiamo sempre reputato preferibile per la quantificazione del danno non patrimoniale da uccisione del congiunto).

Ad ogni modo, l’importo complessivo concordato e liquidato nella fattispecie (si tratta, per la precisione, di 422.240,00 euro, inclusi interessi, rivalutazione, spese di lite e di C.T.P.) è apparso un giusto equilibrio tra la sofferenza e lo sconvolgimento esistenziale patiti dai congiunti di Ottavio – da sempre punto di riferimento per la moglie e i figli, nonostante l’età e le malattie concomitanti – e l’obiettiva controvertibilità di ogni valutazione (medica e/o giuridica), nonché i rischi e gli oneri sempre e comunque correlati alla scelta di intraprendere la via giudiziaria con la proposizione di una azione di merito per risarcimento danni da malasanità.

§ 5. Sicurezza in chirurgia: il problema degli interventi chirurgici tardivi o erronei

Gli errori e i ritardi in ambito chirurgico hanno un peso non trascurabile: l’ultimo report MedMal di Marsh ha confermato che essi rappresentano la prima tipologia di eventi avversi oggetto di una “denuncia per malasanità” (qui intesa, naturalmente, come denuncia di sinistro). L’errore chirurgico – definito come una errata procedura connessa ad intervento chirurgico, o comunque una “complicanza” che si presenta in occasione o come diretta conseguenza di esso – coinvolge circa il 37% di tutti sinistri e, in linea generale, l’area chirurgica è quella maggiormente interessata nelle richieste di risarcimento danni, tanto da generare più del 52% degli eventi denunciati. E questo dato ha dimostrato sostanziale stabilità nel corso degli anni.

Mitigare l’incidenza di errori e ritardi chirurgici deve essere una priorità. Sappiamo tutti, naturalmente, che essi non potranno mai essere eliminati del tutto. Però le scienze del rischio clinico insegnano che il primo passo per prevenire un errore è identificarlo e discuterlo, in modo che il sistema possa “imparare dai propri sbagli”. Ma è chiaro che un medico non sarà propenso a riconoscere e tantomeno a segnalare un proprio errore se teme di essere esposto ad una azione risarcitoria. Come si esce, allora, da questo impasse?

Non con l’introduzione di una sistema indennitario del tipo “no-fault compensation“, purtroppo. Come abbiamo più volte spiegato, si tratta di una soluzione irrealizzabile in Italia, per varie ragioni, ma soprattutto perché incompatibile col principio (sovranazionale) per cui ogni cittadino deve avere la possibilità di adire la giustizia civile per la tutela dei propri diritti. L’unica strada percorribile, a nostro avviso, è quella di vietare l’azione diretta del paziente nei confronti del medico appartenente al servizio sanitario nazionale, stabilendo che la domanda risarcitoria debba essere proposta solo verso la struttura sanitaria (o verso la compagnia assicuratrice, quando saranno finalmente emanati tutti i decreti ministeriali previsti in materia di assicurazione dalla legge Gelli), con disciplina del tutto analoga a quella prevista dall’art. 61 della legge 312/1980 per la responsabilità degli insegnanti statali. A questa indicazione noi, del resto, da tempo ci atteniamo spontaneamente nella nostra pratica professionale. Come nel caso del compianto Ottavio, ad esempio, in cui nessun operatore sanitario è stato coinvolto nella vertenza, e neppure nella definizione transattiva dei danni esitati dal ritardo chirurgico di cui abbiamo ampiamente dato conto.

“Non è davvero troppo chiedere ai medici di dare il proprio contributo al benessere dei loro pazienti facendo una cosa semplice e gratuita che avrebbero dovuto imparare fin da piccoli: chiedere scusa per i propri errori.”

D. COEN, Margini di errore. Perché i medici sbagliano, Milano, Mondadori, 2019

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