Ultimo Aggiornamento 22 Maggio 2024
Un caso di malpractice in ambito di chirurgia bariatrica
Il caso di “malasanità” del quale vi parliamo oggi riguarda una giovane donna di 23 anni con obesità grave che, a causa di un intervento di bendaggio gastrico eseguito in modo scorretto, ha avuto una serie di conseguenze sulla salute di cui porta i segni ancora oggi: disfagia, gastrite, stomaco ingrossato, cicatrici, incontinenza cardiale. Ha lo stomaco e l’esofago parzialmente compromessi, non può permettersi di prendere peso e potrebbe affrontare problemi in caso di gestazione.
Anita si è rivolta al nostro studio, e siamo riusciti ad ottenere un risarcimento di 53.000 euro, oltre interessi e spese di lite, per danno biologico differenziale, dimostrando il nesso causale tra l’intervento e tutti i sintomi e patimenti successivi, occorsi anche a distanza di tempo.
Una vicenda di malpractice medica interessante non tanto per l’entità dei fatti, ma soprattutto per i meccanismi utilizzati per l’accertamento del causale, secondo il noto principio del “più probabile che non”, e per il calcolo del danno iatrogeno in caso di “menomazioni policrone concorrenti”, in base alle indicazioni della giurisprudenza.
Per raccontarvi questo caso abbiamo anche intervistato la protagonista, Anita (nome di fantasia).
INDICE SOMMARIO
- § 1. Obesità, chirurgia bariatrica e bendaggio gastrico: il contesto
- § 2. I fatti
- § 3. Bendaggio gastrico e malasanità: il parere del medico legale
- § 4. La versione di Anita
- § 5. Il risarcimento per malasanità in chirurgia bariatrica
§ 1. Obesità, chirurgia bariatrica e bendaggio gastrico: il contesto
L’obesità, è una patologia. Secondo l’Istat, ad oggi in Italia ci sono circa 21 milioni di persone in sovrappeso, e 6 milioni con obesità, in pratica una persona su tre è sovrappeso e un adulto su 10 è obeso. Non facciamo meglio neppure sul fronte dell’obesità infantile: è obeso il 12,5% dei ragazzi tra i 5 e 19 anni e in sovrappeso il 24,3%. La situazione è più grave solo negli Stati Uniti, in Nuova Zelanda e in Grecia.
Con l’aumento della prevalenza dell’obesità, le procedure bariatriche sono diventate una parte importante e in rapida espansione per trattare questa patologia, dimostrandosi più efficaci rispetto ai trattamenti tradizionali che modificano lo stile di vita e agiscono sul controllo glicemico.
Le tecniche più utilizzate sono: il bypass gastrico Roux-en-Y, il bendaggio gastrico regolabile e la gastrectomia a manica.
Il bendaggio gastrico, considerato l’intervento meno invasivo e l’unico reversibile, negli ultimi anni sta perdendo terreno rispetto alle altre tecniche. Diversi studi iniziano a dimostrare complicazioni a lungo termine, come aumento di peso, sintomi ostruttivi, disfagia, dilatazione esofagea, esofagite, e in altri casi hanno mostrato un aumento di ricoveri e successivi interventi rispetto alle altre opzioni chirurgiche.
Le complicanze sofferte da Anita sono state causate da un errato posizionamento del bendaggio.
§ 2. I fatti
Anita nel 2015, a soli 23 anni, decide di sottoporsi al bendaggio gastrico. Pesa 123 chili.
Si informa in rete, studia, legge testimonianze di chi si è già sottoposto a questo tipo di chirurgia, trova informazioni sul dottor Mario Rossi (nome di fantasia) che, a quanto legge, è uno dei massimi esperti in questo tipo di interventi.
Anita, felice di poter finalmente perdere quel peso che non sopporta più, contatta il medico che opera presso una clinica privata, convenzionata con il SSN.
Il bendaggio gastrico regolabile è l’intervento più utilizzato in chirurgia bariatrica: limita l’introduzione del cibo attraverso un’azione prevalentemente meccanica, è un intervento restrittivo, perché riduce la capacità dello stomaco.
Prima di sottoporsi al bendaggio, occorre effettuare una serie di esami clinici ed una visita preliminare con l’equipe medica, composta dal chirurgo, dal dietista e dallo psicologo. Questo incontro preliminare serve a stabilire se l’intervento è appropriato alle caratteristiche del paziente, cioè se i vantaggi dell’operazione sono superiori ai rischi che si corrono. Se si decide di
procedere, il paziente dovrà attenersi ad un programma di restrizione alimentare ed attività fisica.
Anita non si sottopone a nessuna di queste visite: il dottor Rossi le dà appuntamento non nella sua clinica, ma nella hall di un hotel (!). Qui Anita gli spiega la sua situazione, comunica il peso ed altri parametri. Il medico, sulla base di quanto comunicato, decide già quel giorno stesso di operarla. Senza fare nessun tipo di accertamento.
Il bendaggio gastrico
Fissano l’intervento per l’estate 2016. Anita tocca il cielo con un dito: finalmente, pensa, riuscirà a togliersi quei chili di dosso che la tormentano dall’infanzia.
Non ha idea dell’inferno che la attende.
Nella cartella clinica dell’operazione, il chirurgo, tra le altre cose, annota: “Si reperta epatomegalia con epatosteatosi edi ernia jatale“.
Quell’ernia iatale – come accerteranno i consulenti tecnici – avrebbe dovuto essere contenuta con un intervento di plastica dei pilastri, intervento che il dottor Rossi non fa. E infatti, l’ernia, di lì a poco, peggiorerà.
Il post intervento
A fine luglio Anita viene dimessa con la raccomandazione di eseguire una radiografia delle prime vie digestive ed un controllo clinico per eventuale regolazione del bendaggio.
Da quella prima radiografia emerge già l’evidente errore chirurgico: il bendaggio si era spostato verso l’alto.
Durante la prima visita di follow up, Anita mostra la radiografia al medico, il quale si limita a rassicurarla e a stringerle il bendaggio.
Il dottor Rossi dice ad Anita di provare a iniziare una dieta semi solida.
È l’inizio della fine.
Non appena Anita inizia a mangiare cibi solidi, compaiono vomito, sensazione di “peso alla bocca dello stomaco”, dolore retrosternale ed alla spalla sinistra, irradiato lungo il braccio, associati ad affanno nel respiro. Le sembra di essere sempre sull’orlo di un infarto.
Anita, a dicembre, corre dal Dottor Rossi, spiegandogli tutti i sintomi. Il medico, ancora una volta, decide di regolare il bendaggio, stringendolo ancora di più.
Il progressivo peggioramento
Da quel momento i disturbi peggiorano, Anita non riesce nemmeno a dormire o rimanere sdraiata supina.
Dorme seduta.
La giovane donna, disperata, chiama il medico al telefono per chiedere aiuto. Da notare che, in tutto questo arco di tempo, dal momento dell’intervento (luglio) al momento in cui i sintomi sono peggiorati (dicembre), il dottor Rossi non ha mai chiamato Anita per sapere come stesse.
Al telefono, il dottor Rossi dice ad Anita che non c’è nulla di cui preoccuparsi e semmai è lei che sta sbagliando. Il medico incolpa Anita dei suoi sintomi.
La giovane non ce la fa più: a febbraio si reca in pronto soccorso nell’ospedale della sua città e ne esce con una diagnosi di “Dolore epigastrico-sternale”. Ci torna a marzo e questa volta la diagnosi è “Verosimile gastroenterite acuta”.
Sempre a marzo va in un ospedale più grande, nel capoluogo di regione. I medici di questa struttura, dopo varie visite, decidono di inserirla in lista di attesa per la rimozione chirurgica del bendaggio gastrico.
Ma Anita non può aspettare.
Il giorno dopo torna al pronto soccorso, non ce la fa più. Le fanno una nuova radiografia che rileva una “marcata gastrectasia”.
Il nuovo ricovero e la rimozione del bendaggio
Ad aprile Anita viene ricoverata con diagnosi di “Sindrome occlusiva in paziente obesa portatrice di bendaggio gastrico”. Le rimuovono il dispositivo.
Lo stomaco di Anita è gonfio, in posizione diversa a quella in cui dovrebbe essere, il diaframma è sollevato, i segmenti polmonari basali sono praticamente collassati.
L’odissea di questa giovane donna che voleva solo perdere peso, e ha rischiato di perdere lo stomaco, continua.
Vista la situazione compromessa, i medici decidono di sottoporla a due interventi:
- iatoplastica, utile per ridurre la parte di stomaco migrata in torace e per ricostruire lo iato esofageo;
- funduplicatio, per ristabilire il meccanismo di contenzione della barriera antireflusso, impedendo la risalita di acido dallo stomaco all’esofago.
Durante questi interventi, i chirurghi annotano:
“Lo stomaco appare particolarmente aumentato di dimensioni con pareti assottigliate a causa della migrazione toracica con concomitante volvolo gastrico”.
Nel 2018, Anita si sottopone a una gastroscopia che rileva la presenza di “incontinenza cardiale complicata da marcata esofagite da reflusso”.
Le conseguenze permanenti
Oggi Anita presenta diversi disturbi:
- una cicatrice addominale non prevista per un semplice intervento laparoscopico, antiestetica;
- maggiori aderenze intraddominali, per la pluralità degli accessi;
- incontinenza cardiale con marcata esofagite da reflusso;
- esiti cicatriziali periesofagei con sindrome disfagica.
Anita ha ripreso tutti i chili persi e solo negli ultimi mesi, grazie al supporto di medici, nutrizionisti e psicologi, è riuscita a perdere peso, in modo naturale.
Cerchi assistenza per una vicenda clinica in ambito di bendaggio gastrico o chirurgia bariatrica?
§ 3. Bendaggio gastrico e malasanità: il parere del medico legale
Secondo i consulenti tecnici, gli errori sanitari commessi dal dottor Rossi sono diversi.
A cominciare dal fatto che non sono state adottate tutte le procedure pre-operatorie raccomandate, ma solo una visita medica, in cui pare sia stato accertato il BMI in base al peso ed all’altezza della paziente.
Inoltre, in fase pre-operatoria non fu eseguita una radiografia del tubo digerente prime vie, che avrebbe potuto aiutare a valutare le dimensioni dell’ernia iatale.
In estrema sintesi, nella fase pre-operatoria mancano:
- il referto della prima visita con relativa diagnosi, peso, altezza e trattamento prescritto alla paziente;
- tutto il percorso pre-operatorio come consigliato dalle linee guida: RX torace pre-operatorio, tubo digerente ed eventuale gastroscopia. Oltre alla valutazione psicologica, mai effettuata, benché unanimemente ritenuta importante in ambito di chirurgia bariatrica;
- la doverosa descrizione dell’entità dell’ernia jatale e dell’atto chirurgico eseguito sulla stessa, considerato che nel referto del primo intervento di bendaggio ci si limita ad una generica indicazione di “riduzione”.
L’intervento invece viene descritto minuziosamente, così minuziosamente da rendere chiaro quanto sia stato svolto in modo scorretto: il bendaggio è stato posizionato male fin dall’inizio.
Non solo. Il medico avrebbe dovuto anche effettuare una plastica dei pilastri dopo la riduzione dell’ernia iatale (evitando quindi un aumento di volume della stessa favorito dal posizionamento del
bendaggio, aumento che infatti poi si è verificato).
La redazione della cartella
Il fatto sorprendente è che il dottor Rossi pretendeva di sostenere in giudizio come l’intervento riportato in cartella non fosse quello da lui realmente effettuato!
Questa pretesa non poteva essere accettata, dal momento che la cartella clinica:
- costituisce una prova precostituita che viene formata dal medesimo soggetto che potrebbe avvalersene in un eventuale giudizio (il medico ovvero la struttura per il tramite del proprio ausiliario);
- ove redatta nell’ambito di una struttura pubblica o privata convenzionata, spiega l’efficacia dell’atto pubblico;
- l’eventuale incompletezza della stessa si risolve in danno della struttura o del medico.
Quindi, se la cartella è compilata male, la responsabilità è solo del medico o della struttura, non certo del paziente!
La cartella registra quanto compiuto durante l’intervento e non può essere modificata a posteriori, pena la commissione del reato di falsità materiale in atto pubblico.
Come infatti afferma anche la giurisprudenza della Suprema Corte:
“Le attestazioni contenute in una cartella clinica, redatta da un’azienda ospedaliera pubblica, o da un ente convenzionato con il servizio sanitario pubblico, hanno natura di certificazione amministrativa, cui è applicabile lo speciale regime di cui agli artt. 2699 e segg. cod. civ., per quanto attiene alle sole trascrizioni delle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento, restando, invece, non coperte da fede privilegiata le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essa espresse.“
(cfr. Cass. III, 30/11/2011, n. 25568; conforme Cass. lav., 20/11/2017, n. 27471).
Nel post-operatorio non ci furono controlli se non la radiografia fatta 40 giorni dopo in cui si evidenziava il malfunzionamento del bendaggio. Risulta pertanto sufficientemente chiaro il profilo di negligenza nell’esecuzione della prestazione.
§ 4. La versione di Anita
Come può aver vissuto questa esperienza una giovane donna di appena 23 anni?
“Rivedo ancora la scena – ci racconta – io che incontro il medico nella hall di un hotel. Come puoi visitare una paziente nella hall di un hotel? Avrei dovuto capire già da lì che c’era qualcosa che non andava. Ma volevo dimagrire a tutti i costi e sono andata avanti”.
Anita non è mai stata pesata. Il dottor Rossi le ha chiesto il peso e si è rimesso a quanto affermato dalla paziente. L’ha guardata e le ha detto che poteva operarsi.
Nessun esame di controllo, come abbiamo già documentato.
“L’intervento è durato circa tre ore – ricorda Anita – che è troppo per un intervento del genere, ma a me non ha dato nessun tipo di spiegazione. Solo dopo ho scoperto che in realtà non aveva eseguito lui l’intervento ma un suo collega e forse so anche il perché: gli tremavano le mani. Non mi ha mai chiamato per sapere come stessi. Il primo mese andava tutto bene perché assumevo solo liquidi. L’inferno è iniziato quando ho iniziato, come prescritto, a nutrirmi con cibi solidi”.
Ogni volta che Anita va da questo medico, lui in tutta risposta le stringe il bendaggio. Quando forse sarebbe stato più opportuno rimuoverlo subito: “Sapeva che il bendaggio era salito, ma non ha fatto nulla, anzi secondo me ha peggiorato la situazione, stringendolo ancora di più. Nei giorni successivi ho continuato a stare male, l’ho chiamato al telefono e lui continuava a dire che ero io che sbagliavo. Era colpa mia se stavo male”. Una comunicazione medico-paziente non solo carente, ma praticamente inesistente: il dottor Rossi non ha mai chiamato di sua iniziativa la paziente per sapere come stesse.
Anita oggi
Dopo quegli eventi Anita non si è più ripresa del tutto fisicamente.
A marzo di quest’anno, si è dovuta sottoporre a un altro intervento perché lo stomaco è ancora risalito. Non può permettersi di prendere peso e infatti sta seguendo una dieta rigida con la nutrizionista, che fortunatamente sta dando i suoi frutti: ha già perso peso e le mancano una ventina di chili al traguardo.
Anita oggi cerca di rimettere insieme la sua vita. Ha 30 anni, fa l’insegnante, un lavoro che adora. Ma il suo apparato digerente non tornerà più come prima e una gravidanza, che come noto cambia la posizione degli organi interni per fare spazio al feto, per lei potrebbe essere rischiosa: “Non credo che diventerò madre, ormai sono molto compromessa nel fisico e non posso prendere peso. Non tornerò più come prima”.
§ 5. Il risarcimento per malasanità in chirurgia bariatrica
Per far riconoscere ad Anita un equo risarcimento abbiamo dovuto dimostrare il nesso causale tra il bendaggio mal posizionato e i pregiudizi subiti. Come abbiamo già avuto modo di spiegare, il nesso di causalità non è un fatto, che per natura può essere accertato, ma un giudizio, che per definizione è sempre incerto.
Ad ogni modo, siamo riusciti a dimostrare con sufficiente grado di credibilità che tutti i sintomi provati e gli interventi chirurgici cui si è dovuta sottoporre (rimozione del bendaggio, iatoplastica e funduplicatio, a cui andrebbe aggiunto, per dovere di cronaca, anche il quarto intervento effettuato pochi mesi fa) sono stati tutti una conseguenza del primo intervento eseguito in modo erroneo. Ciò è stato confermato anche dai consulenti tecnici d’ufficio.
Il complesso lesivo menomativo sofferto da Anita è stato, quindi, imputato a responsabilità medica sia del professionista sanitario che ha praticato l’intervento chirurgico, sia della Casa di Cura dove si è svolta la vicenda clinica. Entrambi, infatti, devono essere chiamati a rispondere in base alle regole della responsabilità contrattuale, in conformità all’art. 7 (commi 1 e 3) della legge Gelli.
Nesso causale e responsabilità
L’accertamento del nesso di causalità in materia civile segue la regola del “più probabile che non”, che non può essere semplicsticamente ridotta al 50% più uno, ma, come ha specificato la Suprema Corte, deve essere intesa quale analisi specifica e puntuale di tutte le risultanze probatorie del singolo processo (nella sua dimensione di ‘unicità’ non ripetibile), della singola vicenda di danno, della singola condotta causalmente efficiente alla produzione dell’evento, tutte a loro volta permeate di una non ripetibile unicità (così Cass. III, 09/10/2012, n. 17143, che richiama la decisione di Cass. III, 27/07/2011, n. 15991).
Per usare lo stesso esempio usato dalla Corte: se devo valutare un danno da trasfusione di sangue infetto e tra le probabili cause ne ho una decina con un’incidenza, per ciascuna, del 3% e una (la trasfusione) che incide per il 40%, non posso rigettare la domanda di risarcimento perché nessuna supera la soglia del 50%+1, ma semmai devo sommare le possibili cause esistenti (la complessiva evidenza probatoria).
Per quanto riguarda invece il calcolo del danno biologico permanente, il Tribunale ha applicato il principio stabilito dalla più recente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 28986/2019; Cass. n. 28327/2022) per le cd. “menomazioni policrone concorrenti”. Determinata nella misura del 15% l’invalidità permanente, e quantificata invece nel 2% l’invalidità teoricamente preesistente all’illecito, il Giudice ha liquidato il 13% di danno differenziale in base alla tabella di Milano (per euro 45.500 circa), aggiungendo l’inabilità temporanea (per euro 7.500 circa), così liquidando infine il danno biologico complessivo in euro 53.000, oltre interessi e spese di lite.
Per leggere la sentenza di questo caso di chirurgia bariatrica
«L’avvocato deve sapere in modo così discreto suggerire al giudice gli argomenti per dargli ragione, da lasciarlo nella convinzione di averli trovati da sé. Il segreto della giustizia sta in una sempre maggior umanità e in una sempre maggiore vicinanza umana tra avvocati e giudici nella lotta contro il dolore»
Piero Calamandrei