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Studio Legale Chiarini - Il rapporto terapeutico medico-paziente

Il rapporto terapeutico medico-paziente nel diritto sanitario

Appunti sulla relazione di cura tra diritto, medicina, salute e sanità

Un tempo disciplinato solo (o prevalentemente) dalla deontologia, il “rapporto terapeutico” si è progressivamente “giuridicizzato”, nel senso che risulta oggigiorno sempre più regolato da fonti normative di vario rango e provenienza, essendo stato via via sottoposto ad una penetrante conformazione da parte della legge, statale e regionale, ma anche delle fonti sovranazionali. Cerchiamo allora di delineare, in questo breve articolo, il quadro giuridico di sintesi in cui si inscrive la relazione tra medico e paziente.


INDICE SOMMARIO


§ 1. Alcune premesse definitorie: diritto, medicina, salute e sanità

E’ il caso di prendere le mosse, per doverosa chiarezza (soprattutto nei confronti dei non addetti ai lavori), da alcune definizioni:

  • il “diritto“, può intendersi,
    • in senso oggettivo, come il complesso di regole che vietano o impongono determinati comportamenti a soggetti che sono tenuti a rispettarle; queste regole costituiscono, dunque, l’ordinamento giuridico;
    • in senso soggettivo, come l’interesse giuridicamente tutelato di una persona, alla quale vengono riconosciute talune facoltà o pretese nei confronti degli altri consociati o dello Stato;
  • la “scienza giuridica“, più in generale, è la disciplina che studia tali norme e tali interessi giuridicamente tutelati, nel loro insieme e nei loro particolari raggruppamenti;
  • la “medicina” è la scienza che ha per oggetto lo studio delle malattie, la loro cura e la loro prevenzione;
  • la “salute” è – come proclama ambiziosamente l’O.M.S. – uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale (e non semplicemente assenza di malattia o infermità);
  • la “sanità” è l’organizzazione preposta alla tutela della salute di una collettività (o di una specifica categoria di soggetti).

In questo contesto, possiamo comprendere meglio il rapporto tra diritto e sanità, dando brevemente conto dei recenti e numerosi interventi normativi che hanno inciso profondamente su aspetti essenziali della relazione terapeutica, e, più in generale, della prestazione di servizi sanitari. Negli ultimi anni, infatti, sono state varate importanti riforme che hanno riscritto il regime giuridico – tra l’altro – della responsabilità professionale medica, del consenso informato e delle disposizioni anticipate di trattamento, delle vaccinazioni obbligatorie, del trattamento dei dati sanitari, della prevenzione della violenza contro medici ed esercenti una professione sanitaria, per arrivare sino al recentissimo provvedimento che ha introdotto l’obbligo – per tutti gli operatori di rilievo sanitario – di vaccinarsi contro il SARS-CoV-2.

§ 2. Diritto sanitario e rapporto terapeutico

Rispetto ai tradizionali e collaudati settori del diritto costituzionale, del diritto amministrativo e del diritto civile, il diritto sanitario rappresenta un nuovo ambito di studio della scienza giuridica, che ha assunto crescente autonomia sul piano epistemologico, distinguendosi sia per il metodo di indagine (che postula l’interazione con altre discipline, specialmente clinico-mediche ed economiche), sia per l’oggetto di analisi (che è la salute umana nei diversi contesti sociali).

La progressiva affermazione del diritto sanitario come autonoma disciplina risponde alla constatazione che l’attività medica e sanitaria è sempre più condizionata dal quadro giuridico (nazionale ed internazionale) in cui si inserisce. Il settore della sanità, infatti, continua ad essere attraversato da una rapida evoluzione, tanto normativa quanto giurisprudenziale, che incide sul piano pratico ed operativo dell’erogazione delle prestazioni sanitarie, conformando anche lo status professionale dei medici e degli altri operatori sanitari.

La ricerca in ambito di diritto sanitario, dunque, è necessaria per affrontare l’analisi delle ricadute comportamentali ed organizzative derivanti dalle problematiche giuridiche e dai vincoli normativi, anche in relazione al rapporto terapeutico tra medico e paziente. Ciò contribusce altresì a rafforzare la consapevolezza della connessione tra le diverse esperienze nazionali dei sistemi sanitari e consente, quindi, di comprendere – in ottica comparatistica – la portata europea ed internazionale dei fenomeni sanitari.

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§ 3. La relazione di cura nel nostro ordinamento giuridico

Anche la qualificazione giuridica del rapporto terapeutico risente dell’interferenza costantemente esercitata da legislazione e giurisprudenza. Basti pensare alla parabola della natura della responsabilità del medico del S.S.N.: già divenuta contrattuale per via interpretativa attorno alla fine del secolo scorso, grazie alla teorica del “contatto sociale“, dal 2017 essa è tornata nell’alveo della responsabilità extracontrattuale per l’espressa previsione normativa della legge Gelli Bianco.

In ogni caso, la configurazione della relazione di cura si è progressivamente allontanata dall’originaria impostazione paternalistica (in virtù della quale il medico era legittimato ad ignorare e finanche trasgredire le scelte del paziente), per giungere, oggi, ad essere intesa quale vera e propria “alleanza terapeutica” (in cui il paziente è posto al centro dell’attenzione ed ha il diritto di accettare la cura proposta oppure no, di sceglierne ove possibile le modalità, di determinarne i limiti).

Di pari passo con la progressiva “giuridicizzazione” del rapporto terapeutico, inteso sempre più alla stregua di una relazione giuridica, si è assistito ad una accresciuta consapevolezza da parte dei pazienti dei propri diritti. Questo ha contribuito ad alimentare una serie di rivendicazioni legali, dando vita a un ampio contenzioso (il cd. “risarcimento danni da malasanità“) e, quale tentativo di risposta, alla prassi della cd. “medicina difensiva“.

Questi sono i provvedimenti normativi che, negli ultimi anni, hanno più incisivamente conformato il rapporto di cura tra medico e paziente:

§ 4. La riforma delle professioni sanitarie

Oltre alle fonti normative appena indicate, indubbio rilievo riveste la legge 11/01/2018, n. 3 (“Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonche’ disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute“), che ha – tra l’altro – riformato la disciplina degli Ordini e delle Federazioni in cui risultano organizzate le 30 professioni sanitarie riconosciute ed operanti nel nostro Paese.

In particolare, la riforma ha sottolineato la natura di enti pubblici non economici degli Ordini territoriali e delle Federazioni nazionali in cui gli stessi sono riuniti. Essi agiscono quali organi sussidiari dello Stato per tutelare gli interessi pubblici correlati all’esercizio delle professioni sanitarie e promuoverne il corretto svolgimento, senza svolgere ruoli di rappresentanza sindacale.

Le Federazioni nazionali emanano il codice deontologico di ciascuna professione sanitaria, che è destinato a riunire le regole fondamentali ed i principi etici che devono contraddistinguere l’esercizio professionale, in modo che tutti gli iscritti agli Ordini territoriali possano contribuire – con la propria pratica professionale – alla tutela della salute individuale e collettiva, in conformità alle prescrizioni dell’art. 32 Cost.

§ 5. Rapporto terapeutico e deontologia

A tale ultimo proposito, è stato precisato che gli Ordini delle professioni sanitarie sono investiti di funzioni di rilievo pubblico, a tutela di interessi generali della collettività. Fra tali funzioni, indubbiamente, c’è il compito di vigilare sugli iscritti agli albi, assicurando il rispetto delle regole deontologiche che governano il corretto esercizio della professione.

Agli Ordini spetta, dunque, il potere disciplinare di irrogare sanzioni nei confronti degli operatori sanitari che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della professione, o comunque di fatti disdicevoli al decoro professionale. Avverso il provvedimento irrogativo di una sanzione disciplinare, il professionista può proporre ricorso alla Commissione
Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie
(di cui all’art. 17 d.lgs. C.p.S. 13/09/1946, n. 233), le cui decisioni sono ulteriormente impugnabili davanti alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 362 c.p.c. per motivi attinenti alla giurisdizione, e ai sensi dell’art. 111 Cost. per violazione di legge.

In ogni caso, l’esercizio del potere disciplinare non è esente da limiti: esso deve intendersi circoscritto alla punizione di comportamenti dissonanti rispetto al corretto svolgimento dell’attività professionale, nonché di quelli assunti al di fuori dell’esercizio professionale, quando risultino rilevanti ed incidenti sul decoro della professione (come, ad esempio, i comportamenti del sanitario, tenuti nella vita privata, lesivi della sua reputazione e idonei a compromettere l’immagine e il decoro dell’intera categoria, o comunque tali da giustificare un biasimo perché non rispettosi verso gli altri iscritti).

Nondimeno, deve ritenersi sottratto al potere disciplinare dell’Ordine il comportamento riconducibile all’ambito dell’esercizio di mansioni o funzioni pubbliche e non riferibile ad attività svolte nell’interesse – professionale o personale – dell’operatore sanitario. In quest’ottica, ad esempio, la Corte Costituzionale ha annullato la sanzione disciplinare (della radiazione!) adottata dall’Ordine nei confronti di un medico assessore regionale alla salute, che aveva proposto e contribuito ad approvare una delibera della Giunta regionale sulla possibilità di impiegare infermieri nelle ambulanze anche in assenza dei medici, delibera non gradita all’Ordine (cfr. Corte Cost. 06/12/2019, n. 259).

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