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Introduzione alla Legge “Gelli”

I – La legge “Gelli” e la responsabilità professionale sanitaria: profili generali e norme di diritto amministrativo

Com’è noto, l’8 marzo 2017 è stata definitivamente approvata la legge n. 24/2017, nota ai più come legge “Gelli” (dal nome di uno dei suoi firmatari), recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”.
La legge è entrata in vigore il 1° aprile 2017, in difetto di norme di diritto intertemporale (fatta eccezione per le disposizioni – a dire il vero ancora inattuate – in tema di “Azione diretta del soggetto danneggiato” contro l’impresa di assicurazione, di cui all’art. 12).

L’art. 1 del provvedimento afferma con enfasi l’importanza della sicurezza delle cure in sanità e la necessità di perseguirla nell’interesse dei singoli e della collettività; prosegue specificando che la sicurezza delle cure si realizza anche con idonee attività di prevenzione e di gestione del rischio sanitario (cd. risk management); termina precisando che la prevenzione del rischio deve essere attuata con la collaborazione di tutto il personale dipendente e dei liberi professionisti che operano in regime di convenzione con la Struttura Sanitaria.

Dopo questa (invero un po’ retorica) declamazione di principio, la legge prosegue nel suo impianto concretamente precettivo, dettando una serie di norme che possiamo raggruppare in quattro aree:
a) regole di natura amministrativa;
b) regole di carattere sostanziale, dedicate alla responsabilità penale e a quella civile;
c) regole processuali;
d) regole attinenti ai profili assicurativi.

In questo contributo ci concentreremo sul primo gruppo di norme (quelle di natura amministrativa), destinando la trattazione degli altri gruppi a due ulteriori approfondimenti.


§ 1. Il Garante per il diritto alla salute

La legge Gelli (art. 2) conferisce delega alle Regioni ai fini dell’istituzione del “Garante per il diritto alla salute”, le cui funzioni vengono tuttavia demandate ad un organo già esistente: il Difensore civico regionale, già definito ironicamente da Qualcuno come il “cimitero degli avvocati”.

Non si tratta, evidentemente, di una figura determinante quanto a poteri ed efficacia di azione. Per quello che ci risulta, fino ad oggi, soltanto quattro Regioni hanno attuato la delega (Campania, Liguria, Lombardia e Piemonte).

§ 2. L’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità

Si è, invece, già insediato il 22/03/2018, presso la sede dell’AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali), l’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, previsto all’art. 3 della legge n. 24/2017.

Questo organismo ha il compito di raccogliere e conservare i dati relativi agli eventi avversi e ai rischi sanitari, nonché al contenzioso ad essi relativo, al fine di comprenderne le cause e prevenirne la ripetizione; deve inoltre predisporre, in collaborazione con le società scientifiche e le associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, apposite linee di indirizzo in tema di risk management, individuando idonee misure per la formazione e l’aggiornamento del personale sanitario.

L’attività dell’Osservatorio deve essere trasfusa in una relazione, che il Ministro della salute ha il compito di trasmettere annualmente alle Camere.

§ 3. Trasparenza dei dati

L’art. 4 della legge n. 24/2017, intitolato “Trasparenza dei dati”, introduce l’obbligo per le Strutture di pubblicare sul proprio sito internet i dati relativi a tutti i risarcimenti erogati nell’ultimo quinquennio, dato invero del tutto inidoneo a testimoniare la reale efficienza di una Azienda sanitaria.

Di maggior interesse è la disposizione, contenuta nel medesimo art. 4, che contempla l’obbligo – invero, per la nostra esperienza, ancora largamente inevaso entro i tempi prescritti – di fornire copia della documentazione sanitaria relativa al paziente (in primis: la cartella clinica), preferibilmente in formato elettronico, entro sette giorni dalla presentazione della relativa richiesta, con una seconda chance per fornire “eventuali integrazioni” entro il termine massimo di trenta giorni.

Piuttosto rilevante è, infine, la portata precettiva dell’ultimo comma dell’art. 4, che – modificando il regolamento di polizia mortuaria di cui al D.P.R. n. 285/1990 – ha introdotto la possibilità per i familiari del paziente deceduto diconcordare con il direttore sanitario o sociosanitario l’esecuzione del riscontro diagnostico”, e di far partecipare alle operazioni un medico (legale) di propria fiducia.
Com’è noto a tutti gli operatori del settore, l’esame del cadavere e la valutazione della causa di morte rappresenta, spesso, un momento centrale ai fini dell’istruzione di una vicenda di ipotetica responsabilità medico-sanitaria. E’ dunque senz’altro appropriato che sia stato consentito ai familiari di partecipare al riscontro diagnostico, che di regola veniva esperito dalla Struttura sanitaria senza alcun contraddittorio. Non essendo previsto, tuttavia, alcun obbligo per la Direzione sanitaria di procedere al riscontro su istanza dei familiari, in caso di diniego a costoro non resterà – come accadeva in passato – che chiedere al Pubblico Ministero di procedere ad autopsia nelle forme degli accertamenti tecnici non ripetibili.

Le ulteriori previsioni - legge Gelli Bianco

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§ 4. Il Sistema Nazionale per le Linee Guida

Da ultimo, ma non per importanza (almeno negli intenti del legislatore), è d’uopo menzionare l’introduzione – ad opera dell’art. 5 della legge n. 24/2017 – del cd. “Sistema Nazionale per le Linee Guida”.

Le “linee guida”, come i “protocolli”, le “raccomandazioni”, o le “buone pratiche”, rappresentano le modalità tecniche, diagnostiche, esecutive, ovvero le prassi condivise dalla comunità scientifica per il trattamento di un determinato stato patologico. Esse configurano il parametro di riferimento al quale deve essere comparata la condotta tenuta dall’operatore sanitario: se si ravvisa una divergenza è verosimile ritenere che sia ravvisabile la colpa.

Ma dove si trovano le “linee guida”?

Fino ad oggi, le abbiamo sempre reperite nelle pubblicazioni scientifiche: manuali, atti di convegni, letteratura diffusa e apprezzata su fonti di rilievo nazionale ed internazionale.

La legge n. 24/2017, nondimeno, ha inteso operare una “tipizzazione” delle linee guida, pretendendo di inserirle in una banca dati tenuta dal Ministero della Salute, la quale – non a caso – è ancora piuttosto povera di contenuti. L’intenzione, pur in ipotesi apprezzabile, del legislatore era quella di limitare l’aleatorietà del giudizio imponendo la valutazione della condotta medica in base a criteri prestabiliti.
L’opzione, ovviamente, si sta rivelando fallimentare, non soltanto perché i nostri apparati ministeriali non brillano per efficienza nella raccolta e nel progressivo aggiornamento dei dati (ricordiamo che le linee guida dovrebbero essere adeguate ogni due anni), ma soprattutto perché questo tentativo di “ingessare” il sistema della responsabilità medica contrasta con vari princìpi costituzionali (si vedano, in specie, gli artt. 24 e 32 Cost.).

Detto tentativo, inoltre, non tiene conto della variabilità dei casi, per cui esistono vicende in cui le specificità concrete impongono proprio di discostarsi dalle linee guida.

Infine, le linee guida rappresentano l’opinione del mondo scientifico su una problematica clinica, e – in un mondo globalizzato qual è quello attuale – non è pensabile che il depositario della scienza sia il Ministero della Salute.

Come è stato autorevolmente suggerito, dunque, l’unico modo per salvare l’art. 5 della legge n. 24/2017 è proporne una interpretazione costituzionalmente orientata, che valorizzi il sintagma “salve le specificità del caso concreto” contenuto nel comma 1, e garantisca ai Giudici di merito la possibilità di valutare liberamente la corrispondenza della condotta medica ai parametri di diligenza, prudenza e perizia, anche prendendo in considerazione eventuali innovazioni o conquiste più aggiornate della medicina, che siano già patrimonio della comunità scientifica benché non ancora trasfuse in pretese linee guida “col bollino blu”.

Non è un caso, del resto, se la giurisprudenza di legittimità ha già da tempo meritoriamente chiarito che:

[…] le c.d. linee guida (ovvero le leges artis sufficientemente condivise almeno da una parte autorevole della comunità scientifica in un determinato tempo) non rappresentano un letto di Procuste insuperabile.
Esse sono solo un parametro di valutazione della condotta del medico: di norma una condotta conforme alle linee guida sarà diligente, mentre una condotta difforme dalle linee guida sarà negligente od imprudente. Ma ciò non impedisce che una condotta difforme dalle linee guida possa essere ritenuta diligente, se nel caso di specie esistevano particolarità tali che imponevano di non osservarle (ad esempio, nel caso in cui le linee guida prescrivano la somministrazione d’un farmaco verso il quale il paziente abbia una conclamata intolleranza, ed il medico perciò non lo somministri); e per la stessa ragione anche una condotta conforme alle linee-guida potrebbe essere ritenuta colposa, avuto riguardo alle particolarità del caso concreto (ad esempio, allorché le linee guida suggeriscano l’esecuzione d’un intervento chirurgico d’elezione ed il medico vi si attenga, nonostante le condizioni pregresse del paziente non gli consentissero di sopportare una anestesia totale).
Sicché, non costituendo le linee-guida un parametro rigido ed insuperabile di valutazione della condotta del sanitario, la circostanza che il giudice abbia ritenuto non colposa la condotta del sanitario che non si sia ad esse attenuto non è, di per sè e da sola, sufficiente per ritenere erronea la sentenza, e di conseguenza per ritenere ‘decisivo’ l’omesso esame del contenuto di quelle linee-guida […]

(Cassazione civile sez. III, 30/11/2018, n. 30998)

APPROFONDIMENTI

Consigliamo di proseguire la lettura con altri due contributi sulla legge “Gelli”, dedicati rispettivamente:

II – alle regole dettate in tema di responsabilità penale e civile;
III – alle norme di carattere processuale e a quelle attinenti ai profili assicurativi.

Questo articolo, nella sua versione originaria, è stato pubblicato anche dalla sezione “Diritto 24” del Sole 24 Ore, nella categoria “Responsabilità Professionale”:

Avv. Chiarini per Sole 24 ore

Sul tema legge Gelli e responsabilità professionale medica, per chi desiderasse una trattazione dal taglio più divulgativo e sintetico, rinviamo altresì ai nostri due articoli:

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