Ultimo Aggiornamento 25 Settembre 2025
Il rapporto tra professionista sanitario e paziente costituisce il cardine dell’attività di cura e rappresenta un ambito in cui convergono diritti costituzionalmente garantiti, obblighi deontologici e precise responsabilità giuridiche.
Dalla Legge Gelli-Bianco sulla responsabilità professionale alla disciplina del consenso informato, dalla regolamentazione della telemedicina alla riforma delle 30 professioni sanitarie: il quadro normativo che governa la relazione di cura si è profondamente evoluto, abbandonando definitivamente l’approccio paternalistico per abbracciare il modello dell’alleanza terapeutica.
In questo contesto, ogni professionista sanitario, dal medico all’infermiere, dal fisioterapista allo psicologo, deve confrontarsi quotidianamente con questioni che intrecciano aspetti clinici, etici e giuridici: come gestire il consenso in telemedicina? Quali sono i limiti della responsabilità professionale? Come prevenire contenziosi per malasanità? Quando la violazione deontologica diventa rilevante disciplinarmente?
Il presente contributo analizza il quadro giuridico attuale del rapporto terapeutico, fornendo agli operatori sanitari gli strumenti normativi e giurisprudenziali per orientarsi in questa complessa materia.
INDICE SOMMARIO
- § 1. Le professioni sanitarie e l’evoluzione del rapporto di cura
- § 2. Obblighi giuridici nel rapporto terapeutico
- § 2.1 Il consenso informato: fondamento della legittimità dell’atto medico
- § 2.2 Il segreto professionale: la riservatezza come fondamento della fiducia
- § 2.3 L’obbligo di referto: quando il rapporto individuale incontra l’interesse collettivo
- § 2.4 La documentazione sanitaria: memoria condivisa del percorso di cura
- § 3. Telemedicina: il rapporto medico-paziente digitale
- § 4. Deontologia e disciplina professionale nel rapporto terapeutico
- § 5. La prospettiva del paziente: protagonista dell’alleanza terapeutica
- § 6. Quando il rapporto si incrina: prevenire la malasanità
§ 1. Le professioni sanitarie e l’evoluzione del rapporto di cura
La riforma introdotta dalla legge 11/01/2018, n. 3 ha ridefinito in modo significativo l’architettura del sistema delle professioni sanitarie nel nostro Paese, strutturando definitivamente le 30 professioni sanitarie riconosciute e disciplinando il ruolo degli Ordini e delle Federazioni nazionali. Si tratta di un intervento normativo che, lungi dal rappresentare un mero riassetto organizzativo, incide profondamente sulla natura stessa del rapporto terapeutico, delineando per ciascuna figura professionale specifici ambiti di autonomia e correlate responsabilità nella relazione con il paziente.
Gli Ordini professionali sono ora definitivamente qualificati come enti pubblici non economici, organi sussidiari dello Stato nella tutela degli interessi pubblici. Questa natura pubblicistica comporta che le norme deontologiche non siano mere regole interne, ma assumano rilevanza giuridica anche sul piano civile e penale.
§ 1.1 Le 30 professioni sanitarie: competenze e responsabilità
Area | Professione | Autonomia nel rapporto terapeutico |
---|---|---|
Area medica | Medico-chirurgo | Responsabilità diagnostica e terapeutica piena |
Odontoiatra | Autonomia completa in ambito odontoiatrico | |
Area sanitaria | Farmacista | Counseling farmaceutico e farmacovigilanza |
Veterinario | Rapporto con proprietario e animale | |
Area infermieristica | Infermiere | Relazione d’aiuto e assistenza autonoma |
Infermiere pediatrico | Specificità del rapporto con minore e famiglia | |
Ostetrica/o | Autonomia nella fisiologia di gravidanza e parto | |
Area riabilitativa | Fisioterapista | Gestione autonoma del programma riabilitativo |
Logopedista | Relazione terapeutica per disturbi comunicativi | |
Psicologo | Setting protetto e segreto professionale rafforzato |
(Tabella semplificata – le 30 professioni complete sono disciplinate dai rispettivi DM)
Ciascuna professione declina il rapporto terapeutico secondo le proprie specificità. La Legge Gelli-Bianco ha ulteriormente precisato che la responsabilità varia in base al grado di autonomia: extracontrattuale per il dipendente, contrattuale per la struttura.
§ 2. Obblighi giuridici nel rapporto terapeutico
La relazione tra professionista sanitario e paziente si articola attraverso una serie di obblighi giuridici che trovano fondamento in diverse fonti normative e che definiscono i contorni della responsabilità professionale. Questi obblighi, lungi dall’essere meri adempimenti formali, costituiscono l’architettura portante del rapporto di cura e richiedono un’attenta comprensione delle loro implicazioni pratiche e giuridiche.
§ 2.1 Il consenso informato: fondamento della legittimità dell’atto medico
La legge 22/12/2017, n. 219 ha cristallizzato un principio che la giurisprudenza elaborava da anni: nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito senza il consenso libero e informato del paziente, salvo i casi espressamente previsti dalla legge.
Il consenso informato non è un modulo da firmare per tutelarsi legalmente. È il momento in cui si realizza concretamente l’alleanza terapeutica tra professionista e paziente, quello spazio relazionale dove, come recita la legge stessa, “si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico“.
Il professionista che informa adeguatamente sta riconoscendo nel paziente un soggetto capace di autodeterminarsi, un partner nel percorso di cura. Quando il medico spiega diagnosi, prognosi, alternative terapeutiche e rischi, sta condividendo il proprio sapere per permettere al paziente di scegliere consapevolmente.
Questa trasformazione del rapporto – da paternalistico a partecipativo – richiede:
- Tempo dedicato al dialogo: la legge parla espressamente di “tempo della comunicazione” come “tempo di cura”
- Linguaggio comprensibile: l’informazione deve essere calibrata sulle capacità cognitive e culturali del paziente
- Spazio per domande e dubbi: il consenso è processo, non momento
- Documentazione del percorso informativo: non basta il modulo firmato, occorre tracciare il dialogo avvenuto
La Cassazione ha chiarito che un consenso viziato o mancante rende illegittimo l’atto medico, anche se tecnicamente perfetto. È il riconoscimento giuridico di una verità relazionale: senza fiducia e comprensione reciproca, non c’è vera cura.
§ 2.2 Il segreto professionale: la riservatezza come fondamento della fiducia
Immaginiamo un paziente che non è sereno nel confidare i propri sintomi per timore che il medico li riveli. O che omette informazioni cruciali sulla propria salute perché teme ripercussioni sociali o lavorative. Il rapporto terapeutico sarebbe compromesso alla radice.
Per questo l’articolo 622 c.p. tutela penalmente il segreto professionale. Non è solo protezione della privacy: è garanzia della sincerità nel rapporto di cura. Il paziente deve poter dire tutto al proprio medico, anche le cose più imbarazzanti o compromettenti, sapendo che rimarranno riservate.
Il segreto abbraccia tutto ciò che caratterizza il rapporto terapeutico:
- Le confidenze sulla vita intima: quella disfunzione sessuale di cui il paziente si vergogna, ma che potrebbe essere sintomo di patologie cardiovascolari
- I comportamenti a rischio: l’uso di sostanze, le abitudini alimentari distorte, i rapporti non protetti
- Le paure e le ansie: quella fobia del cancro che porta a continui controlli, quel timore del giudizio che ritarda le cure
- La relazione stessa: anche solo sapere che una persona è in cura presso uno psichiatra può generare stigma sociale
Quando questo patto di riservatezza si rompe, il danno va oltre la violazione della privacy. Si spezza il legame fiduciario che permette al paziente di aprirsi completamente, compromettendo l’efficacia stessa della cura.
§ 2.3 L’obbligo di referto: quando il rapporto individuale incontra l’interesse collettivo
Ed è proprio qui che emerge una delle tensioni più delicate del rapporto terapeutico. L’articolo 365 c.p. impone al sanitario di segnalare all’autorità giudiziaria i casi di possibile rilevanza penale. È il momento in cui il professionista si trova stretto tra due fedeltà: quella verso il paziente e quella verso la società.
Prendiamo il caso della donna che arriva al pronto soccorso con evidenti segni di violenza domestica ma nega tutto, terrorizzata dalle conseguenze. Il medico sa che dovrebbe fare referto, ma sa anche che questo potrebbe:
- Rompere definitivamente la fiducia: la paziente potrebbe non tornare più a farsi curare
- Esporre a ulteriori rischi: la denuncia potrebbe scatenare ulteriore violenza
- Violare la volontà della paziente: che esplicitamente chiede di non procedere
La legge cerca di bilanciare questi interessi prevedendo che il referto non sia dovuto quando esporrebbe il paziente a procedimento penale. Ma nella pratica clinica, i confini sono spesso sfumati. Il professionista deve valutare caso per caso, sapendo che:
- Il dialogo con il paziente è essenziale: spiegare perché la legge impone il referto può salvare il rapporto
- Le modalità contano: un referto fatto con sensibilità, tutelando per quanto possibile la riservatezza, è diverso da una fredda segnalazione
- Il supporto continua: il referto non chiude il rapporto terapeutico, che anzi diventa ancora più importante
§ 2.4 La documentazione sanitaria: memoria condivisa del percorso di cura
La cartella clinica è la narrazione del rapporto terapeutico, la memoria condivisa del percorso fatto insieme. Quando ben compilata, racconta l’evoluzione della malattia, le decisioni prese, i dubbi affrontati, i progressi raggiunti.
Per il paziente, la documentazione sanitaria rappresenta:
- La propria storia clinica: poterla consultare significa riappropriarsi del proprio percorso di salute
- La continuità assistenziale: ogni professionista può conoscere cosa è stato fatto prima
- La tutela dei propri diritti: in caso di errori o omissioni, è la prova di cosa è realmente accaduto
Per il professionista, documentare accuratamente significa:
- Comunicare con i colleghi: la cartella è strumento di dialogo nell’équipe di cura
- Tracciare il ragionamento clinico: non solo cosa si è fatto, ma perché
- Proteggere la propria professionalità: una documentazione completa tutela da contestazioni infondate
Ma c’è di più: una cartella clinica fredda, schematica, ridotta al minimo, racconta di un rapporto terapeutico povero, meccanico. Al contrario, annotazioni che registrano i dubbi del paziente, le spiegazioni fornite, le alternative discusse, testimoniano una relazione di cura autentica e partecipata.
§ 3. Telemedicina: il rapporto medico-paziente digitale
La digitalizzazione del rapporto medico-paziente, accelerata dalla pandemia (ma ormai strutturalmente integrata nel SSN con le Linee guida nazionali del 2022), non rappresenta una semplice trasposizione tecnologica della visita tradizionale. È una ridefinizione profonda della relazione di cura che, come evidenziato dalla letteratura scientifica, può paradossalmente rafforzare l’alleanza terapeutica anziché indebolirla.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la telemedicina non inaridisce il rapporto terapeutico. Permette, infatti, di raggiungere il paziente ovunque si trovi, garantendo una “presenza” medica continua che può addirittura intensificare il legame di fiducia. Il paziente percepisce maggiore sicurezza sapendo che il professionista è raggiungibile, che i suoi parametri sono monitorati, che non è lasciato solo con la malattia.
Ma questa nuova modalità relazionale impone al professionista sanitario di confrontarsi con aspetti normativi e responsabilità specifiche che incidono direttamente sul rapporto con il paziente.
Il consenso informato digitale deve includere elementi aggiuntivi rispetto a quello tradizionale. Non basta più informare su rischi e benefici del trattamento: occorre esplicitare i limiti intrinseci della prestazione a distanza. Il paziente deve comprendere che:
- L’esame obiettivo completo non sarà possibile
- La connessione potrebbe interrompersi in momenti critici
- I tempi di attesa per una visita in presenza potrebbero allungarsi in caso di rifiuto della telemedicina
- Esistono rischi specifici per la riservatezza dei dati trasmessi digitalmente
Questa maggiore complessità informativa è il riconoscimento che il setting digitale modifica la natura stessa della prestazione e il paziente deve esserne consapevole per mantenere quella fiducia che è fondamento del rapporto terapeutico.
§ 3.1 Responsabilità professionale e idoneità della prestazione digitale
Le linee guida introducono poi il concetto di idoneità della prestazione al canale digitale. Non tutto può essere fatto a distanza, e la scelta inappropriata del mezzo può configurare responsabilità professionale.
Il professionista che accetta di gestire in telemedicina una condizione che richiederebbe presenza fisica non sta solo commettendo un errore tecnico: sta tradendo la fiducia del paziente che si affida alla sua competenza per scegliere la modalità assistenziale più appropriata.
§ 3.2 Gestione del tempo e confini del rapporto terapeutico digitale
Un aspetto particolarmente delicato riguarda la gestione dei confini temporali del rapporto. La telemedicina rende il professionista potenzialmente sempre raggiungibile, ma questo non significa disponibilità H24. Le linee guida impongono di definire preventivamente:
- Gli orari di disponibilità per consulti digitali
- I tempi di risposta per le diverse modalità di contatto
- Le procedure per le urgenze
- I criteri per il passaggio alla visita in presenza
Questa strutturazione è tutela reciproca che preserva la qualità del rapporto evitando burnout del professionista e false aspettative del paziente.
§ 3.3 Empowerment del paziente e rischio di disparità digitale
Interessante notare come i dati mostrino un incremento del coinvolgimento attivo del paziente (empowerment) attraverso la telemedicina, con miglioramento documentato dell’aderenza terapeutica e, di conseguenza, degli outcome clinici. Il paziente che può inviare i propri parametri, ricevere feedback immediati, sentirsi seguito anche a distanza, diventa protagonista attivo del percorso di cura.
Tuttavia, emerge anche il rischio di disparità digitale: pazienti anziani o fragili, privi di competenze tecnologiche o dispositivi adeguati, rischiano di essere esclusi da questa evoluzione. Le ASL hanno l’obbligo di mettere a disposizione strumenti e supporto presso strutture di prossimità, ma nella pratica questo non sempre avviene, creando nuove forme di diseguaglianza nell’accesso alle cure.
La telemedicina non sostituisce il rapporto in presenza, lo integra e lo potenzia. Ma richiede al professionista di reimparare l’arte della relazione, adattandola a un contesto dove lo sguardo passa attraverso uno schermo, la voce attraverso un microfono, il contatto attraverso la tecnologia. È una sfida che, se ben gestita, può arricchire anziché impoverire quella relazione di cura che rimane il cuore della professione sanitaria.
§ 4. Deontologia e disciplina professionale nel rapporto terapeutico
Il rapporto medico-paziente non è governato solo da norme giuridiche ma anche da regole deontologiche che ne definiscono l’aspetto etico e professionale.
La deontologia professionale rappresenta l’insieme delle regole etiche e comportamentali che ogni professionista sanitario è tenuto a rispettare. I codici deontologici hanno rilevanza giuridica e la loro violazione può comportare conseguenze disciplinari, civili e penali.
La riforma introdotta dalla legge 3/2018 ha ridefinito il ruolo degli Ordini professionali, confermandone la natura di enti pubblici non economici che agiscono quali organi sussidiari dello Stato. Il loro compito non è la rappresentanza sindacale, ma la tutela degli interessi pubblici connessi all’esercizio delle professioni sanitarie.
§ 4.1 I codici deontologici e la relazione di cura
Ogni professione sanitaria declina il rapporto con il paziente secondo il proprio codice deontologico, ma tutti convergono su principi fondamentali che trasformano l’incontro clinico in autentica relazione di cura.
- Il Codice di Deontologia Medica stabilisce che la relazione di cura si fonda su “fiducia e reciproco rispetto”. Il medico deve:
- Garantire comunicazione comprensibile e completa
- Considerare il tempo della comunicazione come tempo di cura
- Assicurare la continuità assistenziale, mai abbandonando il paziente
Quest’ultimo principio assume particolare rilevanza nell’era della medicina ultraspecializzata, dove il paziente rischia di perdersi tra mille consulenze senza trovare un riferimento stabile.
- Il Codice delle Professioni Infermieristiche introduce il concetto di advocacy: l’infermiere si pone come tutore degli interessi del paziente quando questi non può farlo autonomamente. È una visione dove la prossimità fisica diventa protezione dei diritti.
- Il Codice del Fisioterapista enfatizza la dimensione collaborativa: il percorso riabilitativo richiede partecipazione attiva. Il professionista deve saper motivare e sostenere, costruendo un rapporto dove la fiducia diventa elemento terapeutico.
La violazione delle regole deontologiche non rimane confinata nell’ambito disciplinare. La giurisprudenza civile utilizza sempre più spesso i codici deontologici come parametro per valutare la diligenza professionale.
§ 5. La prospettiva del paziente: protagonista dell’alleanza terapeutica
Un’analisi completa del rapporto di cura non può prescindere dalla prospettiva del paziente, il vero protagonista del processo. L’evoluzione normativa ha spostato l’asse dal professionista al paziente, rendendolo un soggetto attivo e partecipe.
Il fulcro di questa trasformazione è il riconoscimento di un corpus di diritti inalienabili, splendidamente articolati nella Carta Europea dei Diritti del Malato. Questo documento è una vera e propria dichiarazione di principi che ridefinisce la relazione di cura.
Si afferma il diritto fondamentale del paziente all’informazione e al consenso, che insieme costituiscono il binomio dell’autodeterminazione: il paziente ha il diritto di sapere tutto ciò che riguarda la sua salute e di partecipare attivamente alle decisioni, potendo anche scegliere liberamente tra diverse opzioni terapeutiche.
A ciò si affiancano i diritti alla sicurezza e alla qualità delle cure che impongono alle strutture sanitarie standard elevati per prevenire errori e garantire trattamenti efficaci e innovativi. La dignità della persona è tutelata attraverso il diritto alla privacy, al rispetto e a un trattamento che eviti sofferenze non necessarie, modellato sulle esigenze individuali. Infine, il sistema riconosce al paziente gli strumenti per far valere la propria voce, attraverso il diritto al reclamo e al risarcimento qualora subisca un danno.
A questi diritti fondamentali corrispondono i doveri del cittadino-paziente, che rafforzano il suo ruolo attivo nel percorso di cura. Si tratta di un vero e proprio patto di collaborazione che impegna il paziente a:
- fornire informazioni accurate e complete al medico,
- seguire il percorso terapeutico concordato,
- rispettare la professionalità degli operatori e l’organizzazione della struttura sanitaria.
Questo approccio trasforma la relazione da un servizio erogato a una partnership costruita sulla fiducia e sulla responsabilità condivisa, che è l’essenza del moderno rapporto di cura.
§ 6. Quando il rapporto si incrina: prevenire la malasanità
Il rapporto terapeutico, per quanto basato sulla fiducia reciproca, può incrinarsi. Un evento avverso, un errore comunicativo, un’aspettativa disattesa: sono molti i momenti in cui la relazione medico-paziente entra in crisi. Ma è proprio in questi frangenti che emerge la differenza tra un rapporto che si spezza definitivamente e uno che, attraverso la gestione corretta del conflitto, può addirittura rafforzarsi.
La malasanità non è solo questione di errori tecnici. Spesso nasce da una comunicazione inadeguata, da un’informazione carente, da un rapporto che si è progressivamente deteriorato. I dati sono piuttosto chiari: molti dei contenziosi sanitari hanno alla base un problema comunicativo-relazionale, non un errore clinico in senso stretto.
§ 6.1 La comunicazione dell’evento avverso
Quando qualcosa va storto, l’istinto del professionista può essere quello di minimizzare, nascondere, difendersi. È comprensibile, ma controproducente. La letteratura internazionale e le linee guida sulla sicurezza delle cure convergono su un punto: la comunicazione tempestiva e trasparente dell’evento avverso riduce drasticamente il rischio di contenzioso.
Il paziente che subisce un danno non vuole solo un risarcimento. Vuole capire cosa è successo, perché, come si sarebbe potuto evitare. Vuole sentire che il professionista si assume le proprie responsabilità, non necessariamente ammettendo colpe che non ha, ma riconoscendo la sofferenza causata.
La legge Gelli Bianco ha introdotto importanti novità in questo ambito:
- L’obbligo di trasparenza: la struttura sanitaria deve fornire la documentazione entro 7 giorni dalla richiesta
- Il diritto all’informazione: il paziente deve essere informato degli eventi avversi, con modalità appropriate
- La non punibilità della disclosure: comunicare l’evento avverso non costituisce ammissione di responsabilità
Eppure, nella pratica, molti professionisti faticano ancora ad applicare questi principi. La paura del contenzioso porta a quella che viene definita “seconda vittimizzazione”: il paziente, oltre al danno subito, patisce l’isolamento comunicativo, il muro di silenzio, l’assenza di spiegazioni.
§ 6.2 Gestione del conflitto: quando la relazione diventa scontro
Il conflitto nel rapporto terapeutico raramente esplode all’improvviso. Si costruisce progressivamente attraverso incomprensioni, aspettative deluse, comunicazioni mancate. Riconoscere i segnali precoci è fondamentale per intervenire prima che la situazione degeneri.
I segnali di allarme includono:
- Richieste ripetute di spiegazioni che sembrano non soddisfare mai il paziente
- Atteggiamento difensivo o aggressivo durante i colloqui
- Coinvolgimento precoce di terzi (familiari, avvocati) nelle comunicazioni
- Richieste insistenti di accesso alla documentazione sanitaria
- Cambiamento nel tono delle comunicazioni scritte
Quando questi segnali emergono, il professionista deve resistere alla tentazione di irrigidirsi a sua volta. È il momento di investire nella relazione, non di ritirarsi. Significa:
- Dedicare più tempo al dialogo: un colloquio approfondito può evitare anni di contenzioso
- Coinvolgere figure di mediazione interna: il risk manager, il responsabile URP, figure formate per gestire il conflitto
- Documentare accuratamente ogni interazione: non per difendersi, ma per tracciare il percorso fatto insieme
- Considerare il coinvolgimento di un mediatore esterno: prima che le posizioni si cristallizzino
§ 6.3 Mediazione versus contenzioso: scegliere la strada della composizione
Quando il conflitto è ormai manifesto, si aprono due strade: la mediazione o il contenzioso giudiziario. La Legge Gelli-Bianco ha reso la mediazione condizione di procedibilità per le cause di responsabilità sanitaria, riconoscendo che la via giudiziale dovrebbe essere l’ultima ratio.
La mediazione in sanità presenta caratteristiche peculiari:
- Non è solo questione economica: spesso il paziente cerca riconoscimento, spiegazioni, scuse
- Permette di preservare la relazione: diversamente dal giudizio, non c’è un vincitore e un vinto
- È più rapida: mediamente 3-6 mesi contro i 3-5 anni di un giudizio
- Costa meno: non solo economicamente, ma anche emotivamente
- Ha percentuali di successo elevate: quando ben condotta, una buona percentuale si conclude con accordo
Il contenzioso giudiziario, al contrario, cristallizza il conflitto. Le parti diventano avversari, la comunicazione si interrompe, tutto viene filtrato attraverso gli avvocati. Il professionista vive anni di stress, il paziente di attesa e incertezza. Anche quando si vince, raramente si esce soddisfatti da un processo.
Ma c’è un aspetto che spesso sfugge: il contenzioso ha un effetto sistemico devastante sul rapporto medico-paziente. Il professionista che ha subito una causa tenderà a praticare medicina difensiva, a vedere in ogni paziente un potenziale querelante. Il paziente che ha fatto causa porterà per sempre una sfiducia verso il sistema sanitario.
Per questo la prevenzione del contenzioso non è solo interesse del singolo professionista o della struttura: è un imperativo per la sostenibilità del sistema sanitario. Ogni causa evitata attraverso una corretta gestione del rapporto è un investimento nella fiducia collettiva verso la medicina.