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Diagnosi tardiva di fibrosi polmonare, risarcimento e malasanità

Diagnosi tardiva di fibrosi polmonare, risarcimento e malasanità

Ritardo, errore diagnostico e malpractice nella fibrosi polmonare

In questo caso di malasanità ripercorriamo la storia di Sergio, a cui una diagnosi di fibrosi polmonare è stata comunicata due anni dopo averla refertata. Un errore di comunicazione che gli è costato la vita.

I due figli del defunto si sono rivolti a noi per appurare le responsabilità di medici e struttura sanitaria e avere un giusto risarcimento. Il caso si è concluso con un accordo transattivo a favore dei nostri assistiti (vai qui per scaricare l’atto di transazione), considerato che siamo riusciti a dimostrare il nesso causale tra la mancata comunicazione della diagnosi di fibrosi polmonare ed il decesso, avvenuto due anni dopo l’omissione.

Abbiamo fatto riconoscere ai due aventi diritto un risarcimento di 240.000 euro, oltre al rimborso delle spese di lite, incluse le spese anticipate per C.T.U. e C.T.P. Approfondiamo i dettagli di questa vicenda clinica, che è stata gestita in sede giudiziale dal nostro Avv. Gabriele Chiarini.


INDICE SOMMARIO


§ 1. I profili rilevanti del caso

Gli aspetti più interessanti di questo caso riguardano:

  • la dimostrazione del nesso causale, realizzata attraverso l’applicazione del principio del “più probabile che non”;
  • la determinazione del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale, che a nostro avviso deve considerare non solo le conseguenze della perdita per chi rimane, ma anche la perdita di chances di vita per chi se n’è andato;
  • il cosiddetto “danno catastrofale“, vale a dire la sofferenza psichica che si prova negli ultimi giorni di vita, sapendo lucidamente cosa sta succedendo.

§ 2. Fibrosi polmonare: il contesto

La fibrosi polmonare idiopatica è una malattia cronica che provoca cicatrici nei polmoni; la prognosi è altamente invalidante ed infausta, con un’ incidenza variabile di 19,7 casi per 100mila abitanti nei maschi.

La malattia colpisce soprattutto gli uomini e si sviluppa dopo i 50 anni. Si tratta di una patologia progressiva, cioè peggiora con il passare del tempo, perché il tessuto polmonare con cicatrici non può funzionare normalmente. Non c’è una cura, ma esistono terapie in grado di rallentare la malattia. In alcuni casi si può prendere in considerazione il trapianto di polmoni.

Da diversi anni sono in commercio due farmaci ad azione antinfiammatoria e antifibrotica, che hanno mostrato di modificare l’evoluzione della malattia.
Come confermato dai consulenti tecnici di parte, i più accreditati studi clinici hanno evidenziato che

il precoce trattamento con questi nuovi farmaci [pirfenidone e nintenanib] migliora la qualità della vita con miglioramento della funzione polmonare, ma soprattutto migliora la mediana di sopravvivenza che diventa di 10,3 anni rispetto ai 5-6 anni dei pazienti non trattati”.

Farmaci che Sergio non ha potuto assumere: è morto due mesi dopo aver scoperto di cosa stesse soffrendo e due anni dopo la diagnosi che nessuno gli ha mai comunicato.

Per i consulenti tecnici, secondo il principio del “più probabile che non”, un trattamento con farmaci antifibrotici iniziato nel 2016 avrebbe rallentato la progressione della malattia e differito il decesso di un periodo compreso tra 2,5 ed 8 anni. Sergio è morto a 72 anni. Se si fossero attivate in tempo le cure, avrebbe potuto vivere fino a 80 anni.

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§ 3. I fatti: dalla mancata comunicazione alla tardiva diagnosi di fibrosi polmonare idiopatica

Sergio, un arzillo pensionato di 72 anni, fumatore e iperteso, a inizio 2019 si reca dal medico di famiglia per quello che lui scambia per un comune raffreddore. Il medico gli prescrive la relativa terapia.

Dopo qualche giorno, l’uomo torna dal medico perché non riesce a respirare, ha tosse e dispnea anche per sforzi minimi. A quel punto il dottore gli prescrive una radiografia toracica.
Il referto, come un’impietosa sentenza, indica:

Rispetto al precedente del 2017, si osserva un incremento del quadro di fibrosi ai lobi superiori.

Nessuno era a conoscenza di questa patologia: né Sergio, né la sua famiglia, né il suo medico curante.

La radiografia del 2017 riportava:

Si osserva disordine e rinforzo della trama polmonare compatibile con quadro di fibrosi.

Era stata eseguita come esame di prericovero in vista dell’intervento per rimuovere un adenoma prostatico, a cui l’uomo si era poi regolarmente sottoposto a luglio dello stesso anno.

Ma l’esito di quell’esame non è mai stato comunicato al paziente. E il medico che lo ha refertato non si è preso il disturbo di approfondire il quadro clinico segnalato dalla radiografia.

Tra l’altro, gli esami strumentali e le visite di controllo di routine, effettuati negli anni precedenti da Sergio, avevano escluso la presenza di alterazioni o di lesioni polmonari e pleuriche e registrato un’ obiettività polmonare nella norma.

Il medico di famiglia decide quindi di sottoporre Sergio ad altri controlli che non fanno che confermare il destino infausto a cui sarebbe andato incontro l’uomo. Sergio viene ricoverato, si inizia la terapia antifibrotica, ma ormai è troppo tardi.

Negli ultimi giorni della lunga e lucida agonia, vissuta con consapevolezza della sua fine imminente, Sergio impiega le ultime forze per salutare amici e parenti, sostenuto dall’affetto e dalla costante presenza dei due figli: muore poche settimane dopo aver scoperto la diagnosi di fibrosi polmonare che nessuno gli aveva comunicato.

Uno dei figli, in seguito alla perdita, ha anche sviluppato una lieve sindrome ansioso-depressiva che ha reso necessario un supporto medico. Al dolore per la perdita del congiunto si sono poi sommate le difficoltà economiche legate al venir meno della contribuzione del padre.

Una diagnosi mai comunicata: la storia di Sergio
Fibrosi polmonare & malasanità: Guarda il video sulla storia di Sergio

§ 4. I profili di responsabilità sanitaria

Il tentativo di definire la vertenza in via stragiudiziale è stato rifiutato dall’Azienda Sanitaria; ci siamo quindi rivolti al Tribunale Ordinario, ma siamo riusciti a concludere una transazione in corso di causa, prima di arrivare alla sentenza.

Abbiamo così ottenuto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dai nostri assistiti per la perdita del loro congiunto, ritenendola imputabile – con attendibile nesso causale e secondo un criterio di elevata probabilità – al ritardo diagnostico e terapeutico della fibrosi polmonare, ascrivibile alla mancata segnalazione al paziente ed al suo medico curante del referto RX del 2017, e quindi imputabile a negligenza, imperizia ed imprudenza dei medici e degli operatori della struttura sanitaria.

La responsabilità della struttura sanitaria è di natura contrattuale. Come stabilisce, infatti, la legge 24 del 2017 (c.d. Legge “Gelli-Bianco”)

La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose”.

Il paziente deve quindi limitarsi a provare l’esistenza del contratto e l’aggravamento della patologia dovuto all’inadempimento della struttura, la quale deve provare di aver tenuto una condotta irreprensibile sul piano della diligenza.

In questo caso, la mancata comunicazione del referto del 2017 non trova alcuna giustificazione, dovendosi imputare la stessa a mera e colpevole imprudenza e negligenza dei sanitari della struttura ospedaliera che ebbe in cura Sergio.

Non aver comunicato l’esito della radiografia del 2016 nei tempi previsti, non aver approfondito quanto segnalato nella radiografia sono tutti errori diagnostici che si sarebbero potuti evitare con una corretta gestione e prevenzione del rischio clinico. Di questo caso e degli errori commessi abbiamo già parlato in modo approfondito nella nostra newsletter su Linkedin dedicata alla malasanità ed al risk management.

Per scaricare l’atto di transazione

§ 5. Fibrosi polmonare e malasanità: la valutazione medico legale

Oltre a quanto abbiamo già esposto, ciò che hanno messo in rilievo le consulenze tecniche è che, se l’esito della radiografia fosse stato comunicato in tempo al paziente e al medico curante e si fosse attivato un tempestivo approccio terapeutico, l’evoluzione della malattia sarebbe stata ben diversa.

I consulenti di parte hanno infatti sottolineato come:

ipotizzando che il quadro fibrotico interstiziale risalisse al 2016 circa, si può affermare, con criterio di elevata probabilità (superiore al 50%), che, se la dovuta terapia fosse stata iniziata a breve tempo dal riscontro radiologico del 2017, Sergio avrebbe potuto vivere fino a tutto il 2025 ed in condizioni di salute più che soddisfacenti, almeno per la gran parte degli anni che gli sarebbero rimasti da vivere”.

§ 6. Nesso causale e pregiudizi risarcibili in questo caso di fibrosi

Il nesso di causalità: come lo abbiamo dimostrato

Vedendo come si sono svolti i fatti, è ragionevole affermare la piena sussistenza del nesso causale tra la condotta inadempiente (omessa comunicazione del referto al paziente) e la morte dello stesso, come ben evidenziato nelle relazioni medico-legali di parte (e riconosciuto in quella disposta dal Tribunale).

L’accertamento del nesso causale in materia civile segue la regola del “più probabile che non”, che di certo non può essere ridotta al 50% più una probabilità, ma, come ha precisato la Suprema Corte, va intesa come analisi specifica e puntuale di tutte le risultanze probatorie del singolo processo (nella sua dimensione di ‘unicità’ non ripetibile), della singola vicenda di danno, della singola condotta causalmente efficiente alla produzione dell’evento, tutte a loro volta permeate di una non ripetibile unicità (così Cass. III, 09/10/2012, n. 17143, che richiama la decisione di Cass. III, 27/07/2011, n. 15991).

La Suprema Corte ha inoltre ribadito che (Cass. III, 20/02/2018, n. 4024):

(a) il nesso di causa tra una condotta illecita e un danno può essere affermato non solo quando il secondo sia stato una conseguenza certa della prima, ma anche quando ne sia stato una conseguenza ragionevolmente probabile;
(b) la ragionevole probabilità che quella causa abbia provocato quel danno va intesa non in senso statistico, ma logico: cioè non in base a regole astratte, ma in base alle circostanze del caso concreto;
(c) ciò vuol dire che anche in una causa statisticamente improbabile può ravvisarsi la genesi del danno, se tutte le altre possibili cause fossero ancor più improbabili, e non siano concepibili altre possibili cause.

Ad esempio: se un immobile crollasse e si ravvisassero solo sette possibili cause, di cui una probabile al 40% e le altre al 10%, la prima dovrebbe essere indicata come causa principale del crollo, anche se è sotto la soglia del 50% + 1.

Come abbiamo visto, qui le probabilità di correlazione causale tra l’evento iniziale (la mancata comunicazione della diagnosi) e l’evoluzione infausta della malattia erano molto alte (senz’altro oltre il 50%).

Perdita di chances di sopravvivenza

Altro aspetto rilevante di questo caso di fibrosi polmonare idiopatica non diagnosticata (meglio: diagnosticata, ma non comunicata), è il concetto di perdita di opportunità (chance) di sopravvivenza o di prolungamento della vita.

Chance qui è intesa come “concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato”.

Dunque, la perdita della possibilità di conseguire il risultato utile (sopravvivere) – configura un danno concreto ed attuale (secondo l’orientamento inaugurato dalla celebre sentenza di Cass. III, 04/03/2004, n. 4400; più di recente, in termini sostanzialmente immutati, si v. Cass. III, 27/03/2014, n. 7195).

Nel caso di Sergio, a ben vedere, la mancata comunicazione della diagnosi di fibrosi ha determinato una significativa progressione della malattia di base, la quale ha, di fatto, privato il paziente della possibilità di attivare in tempo cure potenzialmente efficaci, con conseguente crollo delle sue aspettative di cura, se non di guarigione. Perdita di chances di sopravvivenza, appunto.

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Sessantuno giorni di lucida agonia: il danno catastrofale

Per quanto attiene alla quantificazione del danno non patrimoniale causato ai nostri assistiti, si è tenuto conto del danno iure proprio da perdita del rapporto parentale (opportunamente decurtato per valorizzarne la qualificazione in termini di perdita di chances) e, per il danno patrimoniale, si è considerata la sopravvenuta mancanza del sostegno economico che Sergio avrebbe potuto offrire ai figli, ancorché adulti.

Naturalmente la liquidazione è stata effettuata in via equitativa, a maggior ragione in quanto inserita nel contesto di un accordo transattivo.

Nondimeno, nella componente di danno non patrimoniale è stato considerato anche il pregiudizio all’integrità fisica e psichica patito dallo stesso Sergio. Per due mesi, nello specifico 61 giorni, Sergio ha visto ogni giorno la sua fine più vicina, in modo presente e lucido. Questa sofferenza psichica – percepire in modo consapevole la gravità della propria condizione e l’imminente esito infausto – viene identificata nel danno catastrofale (detto anche ‘catastrofico’ o ‘terminale’), da liquidare secondo criteri di proporzionalità e di equità (si veda, da ultimo, Cass. III, 20/06/2019, n. 16592; nello stesso senso, Cass. III, 23/10/2018, n. 26727; Cass. III, 17/10/2016, n. 20915; Cass. III, 31/10/2014, n. 23183).

Come ribadito dalla Corte di Cassazione nel decidere su un nostro ricorso presentato per un altro caso, tale danno “catastrofale” (o “catastrofico”) è risarcibile a prescindere dall’apprezzabilità dell’intervallo temporale intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l’integrità della sofferenza medesima.

In effetti Sergio, a causa del ritardo diagnostico e terapeutico di cui è stato vittima, è stato altresì privato della possibilità di prendere atto e fare i conti con l’evoluzione del suo quadro patologico e di pianificare il suo tempo, di affrontare la prospettiva del distacco da familiari ed amici, nonché di gestire le questioni materiali ed economiche, vedendosi improvvisamente catapultato in un’inaccettabile realtà di malattia avanzata.

Come ha puntualizzato la Suprema Corte in diverse occasioni (da ultimo Cass. III, 15/04/2019, n. 10424):

In presenza […] di colpevoli ritardi nella diagnosi di patologie ad esito infausto, l’area dei danni risarcibili non si esaurisce […], nel pregiudizio recato alla integrità fisica del paziente (privato, in ipotesi, della possibilità di guarigione o, in alternativa, di una più prolungata – e qualitativamente migliore – esistenza fino all’esito fatale), ma include la perdita di un “ventaglio” di opzioni, con le quali affrontare la prospettiva della fine ormai prossima […]”.

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