SEPSI - MedMal Words - Avv. Simona Zuccarini

Sepsi: definizione, sintomi e conseguenze medico-legali

Ultimo Aggiornamento 16 Settembre 2025

La sepsi è una condizione medica grave che si verifica quando l’organismo sviluppa una risposta immunitaria eccessiva e dannosa a un’infezione. Si tratta di un’emergenza medica tempo-dipendente in cui il riconoscimento tempestivo dei sintomi e l’immediato avvio delle terapie sono elementi determinanti per la sopravvivenza del paziente.

La sepsi può svilupparsi da qualsiasi tipo di infezione, ma le cause più comuni includono polmoniti, infezioni delle vie urinarie, infezioni addominali come l’appendicite, e infezioni post-chirurgiche. La complessità di questa condizione deriva dalla sua capacità di evolvere rapidamente da un’infezione localizzata a una condizione sistemica che può portare a insufficienza multiorgano e morte. La mortalità nella sepsi grave e nello shock settico è molto elevata, con valori tra il 20-50% per la sepsi grave e 40-70% per lo shock settico.

Il passaggio da infezione controllata a sepsi può avvenire in poche ore, rendendo fondamentale la conoscenza dei segnali d’allarme sia per il personale sanitario che per i pazienti. Quando il riconoscimento e il trattamento non avvengono tempestivamente, possono configurarsi profili di responsabilità medica per ritardo diagnostico o inadeguata gestione clinica.

§ 1. Cos’è la sepsi

La sepsi è una disfunzione d’organo potenzialmente letale causata da una risposta disregolata dell’organismo a un’infezione. Non è semplicemente un’infezione grave, ma una sindrome clinica complessa in cui il sistema immunitario, nel tentativo di combattere l’infezione, innesca una cascata infiammatoria che danneggia i tessuti e gli organi del paziente stesso.

In condizioni normali, quando un patogeno invade l’organismo, il sistema immunitario risponde in modo localizzato: i globuli bianchi si concentrano nel sito dell’infezione, l’infiammazione resta circoscritta e l’organismo riesce a contenere e debellare l’agente patogeno. Questo meccanismo protettivo mantiene l’infezione confinata, ad esempio, ai polmoni (polmonite), alla vescica (cistite) o all’appendice (appendicite).

Nella sepsi, invece, l’infezione diventa sistemica: i patogeni o le loro tossine entrano nel circolo sanguigno e la risposta immunitaria si generalizza. Il sistema immunitario rilascia mediatori infiammatori in tutto l’organismo, causando vasodilatazione, aumento della permeabilità capillare e attivazione della coagulazione. Questo porta a:

  • Ipotensione per la vasodilatazione generalizzata
  • Edema tissutale per l’aumento della permeabilità vascolare
  • Microtrombosi diffusa che compromette la perfusione degli organi
  • Disfunzione multiorgano progressiva

§ 1.1 Sepsi, sepsi severa e shock settico

La progressione della sepsi segue tipicamente tre stadi di gravità crescente:

  1. Sepsi: presenza di infezione con segni di risposta infiammatoria sistemica e iniziale disfunzione d’organo (alterazione dello stato mentale, riduzione della diuresi, alterazioni della coagulazione);
  2. Sepsi severa: sepsi associata a disfunzione d’organo più marcata, ipoperfusione tissutale o ipotensione che risponde alla somministrazione di liquidi;
  3. Shock settico: sepsi con ipotensione persistente nonostante adeguata rianimazione con fluidi, che richiede l’uso di farmaci vasopressori per mantenere la pressione arteriosa. Lo shock settico ha una mortalità che può superare il 40%.

§ 2. Chi è a rischio di sepsi

La sepsi può colpire chiunque, ma alcune persone sono particolarmente vulnerabili. I neonati e i bambini sotto l’anno di età rappresentano una categoria ad alto rischio a causa del loro sistema immunitario ancora immaturo, così come gli anziani oltre i 65 anni, nei quali l’invecchiamento del sistema immunitario (immunosenescenza) si somma spesso alla presenza di patologie croniche multiple.

Particolare attenzione deve essere riservata ai pazienti con sistema immunitario compromesso: chi sta affrontando chemioterapie, persone con HIV/AIDS o in terapia con farmaci immunosoppressori dopo un trapianto d’organo. Anche il contesto ospedaliero aumenta significativamente il rischio, specialmente per i pazienti ricoverati in terapia intensiva o nel periodo successivo a interventi chirurgici, quando le difese naturali dell’organismo sono temporaneamente indebolite.

§ 2.1 Fattori predisponenti

Oltre alle categorie più vulnerabili, esistono condizioni specifiche che aumentano la probabilità di sviluppare sepsi. Le malattie croniche come diabete, insufficienza renale, cirrosi epatica e broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) alterano i meccanismi di difesa dell’organismo. I pazienti che hanno subito traumi estesi o ustioni gravi presentano una compromissione delle barriere naturali che normalmente proteggono dalle infezioni.

Anche le procedure mediche invasive recenti – dagli interventi chirurgici alle endoscopie, dalle biopsie all’inserimento di cateteri – possono rappresentare una porta d’ingresso per i patogeni. L’uso prolungato di antibiotici, paradossalmente, può favorire la selezione di ceppi batterici resistenti, mentre condizioni come la malnutrizione grave o l’obesità importante compromettono la capacità dell’organismo di rispondere efficacemente alle infezioni.

La presenza di questi fattori di rischio dovrebbe innalzare il livello di attenzione clinica, rendendo necessario un monitoraggio più attento dei parametri vitali e dei segni precoci di sepsi.

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§ 3. Riconoscere la sepsi

Spesso la sepsi si manifesta in modo subdolo, con sintomi iniziali che possono essere facilmente confusi con altre condizioni meno gravi. La difficoltà nel riconoscimento precoce deriva proprio dalla natura aspecifica dei primi segnali: un paziente può presentarsi con quella che sembra una semplice influenza o un’infezione localizzata, per poi deteriorarsi rapidamente nell’arco di poche ore.

I parametri di cui tener conto per riconoscerla nelle sue fasi iniziali sono tre:

  1. Il respiro accelerato: spesso il primo campanello d’allarme che indica come l’organismo stia cercando di compensare l’inadeguata ossigenazione dei tessuti;
  2. La confusione, il disorientamento, o comunque uno stato mentale alterato: particolarmente significativo negli anziani, dove può essere l’unico segno evidente di sepsi incipiente;
  3. L’abbassamento della pressione sanguigna: segnale di compromissione cardiovascolare e vasodilatazione sistemica.

In particolare, secondo il “qSOFA” (che sta per “Quick SOFA Score“, un punteggio introdotto nel 2016 per identificare pazienti ad alto rischio di prognosi infausta in caso di infezione), i principali segnali di allarme sono:

  1. Frequenza respiratoria ≥ 22 atti/min
  2. Alterazione dello stato di coscienza
  3. Pressione arteriosa sistolica ≤100 mmHg

Quando almeno 2 di questi 3 parametri risultano presenti, la diagnosi di sepsi deve essere presa in considerazione e il paziente necessita di valutazione immediata e trattamento urgente.

La semplicità del qSOFA è intenzionale: permette anche al personale non specializzato di identificare rapidamente i pazienti a rischio, senza necessità di esami di laboratorio complessi. Questo screening rapido può fare la differenza tra vita e morte, considerando che la sepsi deve essere trattata il prima possibile.

§ 3.1 Altri segnali d’allarme da non sottovalutare

Oltre ai tre parametri del qSOFA, esistono altri segni che dovrebbero innalzare il sospetto di sepsi. La febbre alta (superiore a 38°C) è il sintomo più comunemente associato alle infezioni, ma paradossalmente alcuni pazienti, specialmente anziani o immunocompromessi, possono presentare ipotermia (temperatura inferiore a 36°C), un segno prognostico ancora più grave.

La tachicardia persistente (frequenza cardiaca superiore a 90 battiti al minuto) rappresenta il tentativo del cuore di mantenere un’adeguata perfusione tissutale nonostante la vasodilatazione. La riduzione della diuresi segnala che i reni stanno soffrendo per l’inadeguata perfusione, mentre la comparsa di cute marezzata o estremità fredde indica che il corpo sta centralizzando il circolo per proteggere gli organi vitali.

Nei pazienti che hanno subito interventi chirurgici recenti o che sono portatori di cateteri, particolare attenzione deve essere posta ai segni locali di infezione che potrebbero evolvere in sepsi: arrossamento, gonfiore, secrezioni purulente o deiscenza delle ferite chirurgiche.

§ 3.2 La diagnosi tempestiva: una corsa contro il tempo

La diagnosi di sepsi non può attendere la conferma laboratoristica. Quando i parametri clinici suggeriscono sepsi, il trattamento deve iniziare immediatamente, anche prima di avere i risultati degli esami. Questo approccio “time-dependent” è simile a quello utilizzato per l’infarto o l’ictus: il tempo è tessuto, o in questo caso, il tempo è vita.

Gli esami di laboratorio – emocolture, emocromo, markers infiammatori come PCR e procalcitonina, dosaggio dei lattati – sono fondamentali per confermare la diagnosi e guidare la terapia, ma non devono ritardare l’inizio del trattamento. Le emocolture, in particolare, devono essere prelevate prima della somministrazione di antibiotici per non compromettere l’identificazione del patogeno responsabile.

Il mancato riconoscimento dei segni di sepsi, specialmente quando i parametri del qSOFA erano presenti e documentati, può configurare profili di responsabilità sanitaria. La mancata applicazione dei protocolli di screening o la sottovalutazione dei parametri vitali alterati rappresentano criticità che possono avere conseguenze medico-legali significative.

§ 4. Trattamento e prognosi

Il trattamento della sepsi è una vera e propria corsa contro il tempo. Ad esempio, in caso di infezioni batteriche, soltanto una prontissima somministrazione di antibiotici adeguati garantisce al paziente buone probabilità di sopravvivenza. Le linee guida raccomandano l’avvio della terapia antibiotica empirica ad ampio spettro entro un’ora dal riconoscimento della sepsi, ancora prima di conoscere il patogeno responsabile.

Si inizia con antibiotici ad ampio spettro che coprano i patogeni più probabili in base al sospetto focolaio infettivo: una combinazione di beta-lattamici con aminoglicosidi o fluorochinoloni per le infezioni acquisite in comunità, mentre per le infezioni nosocomiali si utilizzano carbapenemi o piperacillina-tazobactam.

Una volta identificato il patogeno attraverso le emocolture (solitamente dopo 48-72 ore), la terapia viene “de-escalata” verso antibiotici mirati, riducendo così il rischio di resistenze e gli effetti collaterali. Il ritardo nell’avvio della terapia antibiotica o la scelta di farmaci inadeguati possono configurare profili di responsabilità sanitaria, specialmente quando i protocolli terapeutici non vengono seguiti.

Parallelamente alla terapia antibiotica, il paziente settico necessita di un supporto intensivo delle funzioni vitali. La rianimazione con fluidi è essenziale per ripristinare la volemia e la perfusione tissutale: le linee guida raccomandano la somministrazione di almeno 30 ml/kg di cristalloidi nelle prime 3 ore.

Quando la fluidoterapia non è sufficiente a mantenere una pressione arteriosa adeguata, si ricorre ai farmaci vasopressori come la noradrenalina. Nei casi più gravi, può essere necessario il supporto respiratorio con ventilazione meccanica, la dialisi per l’insufficienza renale acuta, o il supporto cardiocircolatorio avanzato.

Va sottolineato che per le infezioni virali, la sepsi non può essere curata con gli antibiotici e spesso non esistono farmaci antivirali efficaci. In questi casi, il trattamento si basa esclusivamente sul supporto delle funzioni vitali, attendendo che il sistema immunitario reagisca all’infezione. Lo abbiamo imparato bene, nostro malgrado, durante la pandemia COVID-19.

§ 4.1 Conseguenze della sepsi

Le complicanze immediate della sepsi possono essere devastanti e potenzialmente irreversibili. La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) si sviluppa quando l’infiammazione danneggia i polmoni, richiedendo ventilazione meccanica prolungata. L’insufficienza renale acuta colpisce fino al 50% dei pazienti settici, rendendo spesso necessitaria la dialisi, temporanea o permanente.

La coagulazione intravascolare disseminata (CID) rappresenta una delle complicanze più temute: il sistema della coagulazione va in tilt, causando contemporaneamente trombosi diffuse ed emorragie. L’insufficienza multiorgano è il risultato finale di questa cascata patologica, con compromissione simultanea di cuore, polmoni, reni, fegato e sistema nervoso centrale.

La gestione inadeguata di queste complicanze, il mancato monitoraggio o il ritardo nel riconoscimento dei segni di deterioramento possono avere implicazioni medico-legali significative.

§ 4.2 Esiti a lungo termine: la sindrome post-sepsi

I sopravvissuti alla sepsi spesso affrontano conseguenze a lungo termine che impattano significativamente sulla qualità di vita. La sindrome post-sepsi colpisce fino al 50% dei sopravvissuti e include:

  • Deficit cognitivi e neurologici: problemi di memoria, difficoltà di concentrazione, confusione persistente. Alcuni pazienti sviluppano una vera e propria demenza post-settica, con declino cognitivo permanente.
  • Debolezza muscolare e sindrome da terapia intensiva: l’immobilizzazione prolungata e il catabolismo muscolare portano a una debolezza profonda che può richiedere mesi di riabilitazione. Alcuni pazienti non recuperano mai completamente la forza muscolare precedente.
  • Problemi psicologici: ansia, depressione e disturbo da stress post-traumatico sono comuni nei sopravvissuti. L’esperienza di una malattia critica lascia cicatrici psicologiche profonde che richiedono supporto specialistico.
  • Aumentata suscettibilità alle infezioni: il sistema immunitario può rimanere compromesso per mesi o anni, rendendo i sopravvissuti più vulnerabili a nuove infezioni.

La prognosi dipende da molteplici fattori: l’età del paziente, le comorbidità preesistenti, la tempestività del trattamento e la gravità della disfunzione d’organo. La mortalità varia dal 10-15% nella sepsi non complicata fino al 40-70% nello shock settico. Tuttavia, anche tra i sopravvissuti, solo il 50% circa torna alla qualità di vita precedente alla malattia.

§ 5. Quando la gestione della sepsi configura responsabilità medica

La responsabilità medica nella sepsi si configura tipicamente attraverso tre tipologie di errore, ciascuna con specifiche implicazioni giuridiche:

  1. Il ritardo nel riconoscimento iniziale costituisce la criticità più frequente. Quando un paziente presenta almeno due criteri del qSOFA documentati in cartella clinica ma non viene attivato il percorso diagnostico-terapeutico per sepsi, si configura una violazione degli standard di cura codificati nelle linee guida internazionali. La giurisprudenza ha chiarito che l’omessa applicazione dei protocolli di screening, quando disponibili nella struttura, costituisce elemento di colpa grave.
  2. L’inadeguatezza del trattamento antibiotico rappresenta il secondo profilo critico. Il ritardo nella somministrazione – ogni ora di ritardo aumenta la mortalità del 7-8% – o la scelta di farmaci non appropriati al contesto clinico (antibiotici per infezioni comunitarie in pazienti con sospetta infezione nosocomiale) possono integrare gli estremi della negligenza o imperizia. Particolarmente grave è considerata l’omessa rivalutazione della terapia dopo l’arrivo dell’antibiogramma.
  3. Il monitoraggio insufficiente del paziente settico completa il quadro delle possibili responsabilità. La mancata rilevazione dei parametri vitali con la frequenza richiesta dalla gravità del quadro clinico, l’assenza di controlli ematochimici seriati o la sottovalutazione dei segni di deterioramento multiorgano configurano violazioni del dovere di sorveglianza, particolarmente grave quando il paziente presenta fattori di rischio noti.

§ 5.1 Il nesso causale 

Nel contesto della sepsi, la dimostrazione del nesso di causalità assume caratteristiche peculiari. Non è sempre necessario dimostrare che un comportamento corretto avrebbe certamente salvato il paziente: è sufficiente provare che l’errore medico ha privato il paziente di concrete possibilità di sopravvivenza o di minori esiti invalidanti.

La consulenza tecnica d’ufficio (CTU) valuterà:

  • Se il rispetto dei protocolli avrebbe modificato la prognosi
  • La percentuale di chance terapeutiche perdute
  • L’entità del danno evitabile con una gestione appropriata

I danni risarcibili in caso di sepsi mal gestita includono:

  • Danno biologico per le menomazioni permanenti derivanti dalle complicanze
  • Danno morale per le sofferenze patite durante il decorso clinico aggravato dall’errore
  • Danno esistenziale per l’alterazione delle abitudini di vita conseguenti alla sindrome post-sepsi
  • Danno patrimoniale per spese mediche aggiuntive e perdita della capacità lavorativa
  • Danno da morte, risarcibile ai congiunti quando l’esito infausto era evitabile

§ 5.2 La documentazione come elemento probatorio

La cartella clinica assume valore dirimente nell’accertamento delle responsabilità. L’incompletezza della documentazione – parametri vitali non registrati, esami non trascritti, decisioni terapeutiche non motivate – viene interpretata dalla giurisprudenza come presunzione di inadeguatezza dell’assistenza.

Particolare rilevanza assumono:

  • La tempistica delle registrazioni (quando sono stati rilevati i primi segni?),
  • La tracciabilità delle decisioni cliniche (perché non si è sospettata la sepsi?),
  • La documentazione del consenso informato sulle scelte terapeutiche critiche.

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Nel mondo, ogni 3 secondi una persona muore di sepsi.

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