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I tempi di una causa civile: quanto è lenta la giustizia italiana

Processo civile: tempi attuali e prospettive di riforma

La nostra giustizia non brilla per celerità, è risaputo: i tempi di una causa civile, in Italia, sono i più lunghi d’Europa. L’inefficienza del nostro sistema giudiziario, purtroppo, ha riflessi negativi sulla crescita economica, perché peggiora il clima imprenditoriale, scoraggia gli investimenti (anche esteri), disincentiva l’innovazione, deprime il gettito fiscale, aumenta i costi del credito e riduce i tassi di occupazione.

Inoltre, quando le decisioni giudiziali non vengono prese entro un tempo ragionevole o se, una volta prese, non trovano celere esecuzione, ad esserne direttamente pregiudicati sono i diritti individuali dei cittadini, che non risultano adeguatamente tutelati. Il che rappresenta un indice piuttosto significativo del livello di (in)civiltà di un ordinamento giuridico.

Le ultime rilevazioni rese disponibili dalla Commissione europea per l’efficacia della giustizia (CEPEJ), organismo istituito in seno al Consiglio d’Europa, hanno descritto le tendenze generali dei sistemi giudiziari di 45 paesi europei, inclusa l’Italia. Cerchiamo allora di riflettere, anche alla luce di questi dati, sui tempi medi di durata delle cause civili nel nostro Paese, e sugli accorgimenti che potrebbero, senza bisogno di stravolgere l’impostazione del nostro processo civile, migliorarne indubbiamente l’efficienza.


INDICE SOMMARIO


§ 1. Quanto pesa l’arretrato sui tempi di una causa civile in Italia

Come è stato pregevolmente messo in luce da un recente articolo dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica, nonostante qualche pur apprezzabile miglioramento, la giustizia italiana resta la più lenta d’Europa. Purtroppo, la nostra macchina processuale risulta gravata da un arretrato imponente, secondo solo alla Bosnia Erzegovina quanto al numero di cause civili pendenti rispetto agli abitanti.
Va detto, per essere onesti, che già da alcuni anni il nostro sistema sta mostrando un “tasso di smaltimento” dei processi superiore al 100%: vale a dire che le cause civili concluse in un anno sono superiori a quelle che nello stesso periodo sono state instaurate. Perciò l’arretrato accumulato sta via via riducendosi, per quanto resti ancora, obiettivamente, elevatissimo.

Numero di procedimenti civili pendenti a fine periodo (I sem. 2020)
FONTE: Ministero della Giustizia
Numero di procedimenti civili pendenti a fine periodo
Dato nazionale comprensivo di tutti gli uffici. Anni 2003-2019 e I semestre 2020

In effetti, il numero dei procedimenti civili complessivamente pendenti (oggi pari a circa 3,3 milioni di unità) è in costante riduzione, almeno a partire dal 2014 (quando erano, invece, più di 4,5 milioni), grazie all’encomiabile sforzo della magistratura ordinaria e – va detto – anche di quella onoraria, che rappresenta un pilastro imprescindibile della giurisdizione, eppure attende ancora una disciplina che ne regolamenti dignitosamente la posizione giuridica ed il trattamento economico.
Nello stesso tempo, nonostante il numero sicuramente eccessivo degli avvocati (più o meno esercenti) in Italia, stanno progressivamente diminuendo anche le nuove iscrizioni di cause civili, sia in primo sia in secondo grado. Fa eccezione, rispetto a quest trend, la Corte di Cassazione, che tuttavia sconta l’aumento di ruolo determinato dalla scelta del legislatore (si v. il d.l. 13/2017) di accentrare davanti ad essa le impugnazioni in materia di protezione internazionale, il che ha determinato un aumento del relativo contenzioso dai 374 procedimenti del 2016 ai 10.341 nel 2019, come ha messo in luce anche la recente relazione del Primo Presidente sull’amministrazione della giustizia.

Ad ogni modo, è chiaro che l’entità dell’arretrato non può non influire sulla tempistica di smaltimento delle cause civili (vecchie e nuove). Se lo stesso personale giudicante deve dedicarsi all’istruzione e alla decisione di una così significativa mole di procedimenti inevasi, magari giacenti anche da parecchi anni negli archivi delle relative cancellerie civili, non può sorprendere il fatto che le performances nei tempi di definizione di una causa civile in Italia siano peggiori rispetto praticamente a tutti gli altri ordinamenti presi in esame dalla CEPEJ.

§ 2. I tempi di durata di una causa civile

I dati della Commissione europea per l’efficacia della giustizia, dicevamo, confermano il triste primato del nostro Stato, che rimane il fanalino di coda della classifica europea. In particolare, secondo queste rilevazioni la durata media di un processo civile sarebbe pari a:

  • 527 giorni (meno di un anno e mezzo) per il primo grado;
  • 863 giorni (poco più di due anni e quattro mesi) per il secondo grado;
  • 1.265 giorni (circa tre anni e mezzo) per il terzo grado,

per una durata media complessiva dell’intero giudizio pari a 2.655 giorni (più o meno sette anni e tre mesi).

Il paragone con altri stati europei è alquanto sconfortante. A parità di condizioni, ad esempio, i tre gradi del processo civile durano mediamente 1.552 giorni in Grecia, 1.221 giorni in Francia, 1.238 giorni in Spagna, 530 giorni in Romania, 377 giorni in Svezia, 285 giorni in Portogallo.

I tempi di una causa civile: quanto è lenta la giustizia italiana
FONTE: Nostra elaborazione su dati CEPEJ 2020 (rilevazioni anno 2018)

In realtà, si tratta di dati meramente teorici, che probabilmente confermano l’opportunità di essere molto cauti quando si fanno ragionamenti basati sulla statistica, anche perché – come diceva Charles Bukowski – “un uomo con la testa nel forno acceso e i piedi nel congelatore statisticamente ha una temperatura media“.
Chiunque abbia varcato le soglie di un ufficio giudiziario, per ragioni personali o professionali, sa bene che un procedimento civile di media complessità, che abbisogni di una seppur minima attività istruttoria orale, dura in primo grado molto più di un anno e mezzo.

Se poi parliamo di un processo che coinvolga più di due contendenti, magari con chiamate di terzi in causa, necessità di interrogare le parti, escutere testimoni, disporre consulenza tecnica d’ufficio, quando non anche rinnovarla, è difficile (rectius: impossibile) che il primo grado di un giudizio civile impieghi meno di tre anni per giungere a decisione. Senza considerare, poi, le ipotesi di scioperi, astensioni, sostituzioni del giudice, assenze a vario titolo, omesse comunicazioni, errori di notifica, che rendano eventualmente necessaria la ripetizione, la rinnovazione o anche solo il rinvio di uno o più degli incombenti processuali.

L’avvocato civilista che eserciti da almeno un lustro avrà senz’altro esperienza di fascicoli ampiamente pluriquinquennali, ancora inesorabilmente radicati in primo grado (proprio in questi giorni, ad esempio, ci è stato comunicato un provvedimento di remissione in istruttoria di una causa di divisione recante numero di R.G. 2011!). Non è un caso, del resto, se il legislatore sta reiteratamente tentando – con esiti quantomeno dubbi – di scoraggiare il ricorso alla magistratura ordinaria, incentivando o imponendo strumenti come la mediazione, la negoziazione assistita, l’arbitrato ed altri metodi alternativi di risoluzione delle controversie (per gli anglofoni “A.D.R.“, acronimo di “Alternative Dispute Resolution“).

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§ 3. Prove tecniche di “giustizia civile agile”: la lezione del COVID-19

Ora, paradossalmente, c’è voluto il terremoto COVID-19 per dare una scossa agli operatori del settore giustizia, facendo loro comprendere che molte fra le attività tuttora consacrate nel nostro codice di procedura civile sono sovrabbondanti. Esse avevano senz’altro una propria ragione giustificativa nell’impostazione originaria del rito e nella sua antica trattazione in forma orale (come ancora ricorda – invero un po’ enfaticamente – l’art. 180 c.p.c.), ma l’hanno oggigiorno indubitabilmente persa.

Chiunque abbia un minimo di esperienza pratica dell’attività giudiziaria sa che un buon numero di udienze civili impone alle parti (e, per esse, ai relativi difensori) una “mera comparizione”: ci si riporta agli atti difensivi, si insiste per l’accoglimento delle proprie istanze, si chiede la concessione di termini, si precisano le conclusioni come in atti, e via dicendo. Adempimenti spesso vacui e ripetitivi, resi per lo più pleonastici dal consolidato favore che la prassi processuale, stabilizzatasi negli anni, riserva allo svolgimento del contraddittorio in forma scritta piuttosto che orale.

Se così è, devono essere salutate con favore le innovazioni che la disciplina normativa dell’emergenza sanitaria ha elaborato per scongiurare un lockdown totale delle attività processuali: prima fra tutte l’udienza “cartolare” a trattazione figurata, cioè sostituita dal deposito di brevi note scritte, che a dire il vero potrebbe – anche a regime – sostituire la stragrande maggioranza delle odierne udienze civili, almeno quelle che non implichino attività di assunzione delle prove o all’esito delle quali si debbano adottare provvedimenti non decisori ma solo ordinatori. Ben venga, altresì, l’udienza civile telematica, nella quale gli avvocati compaiono davanti al giudice non di persona, ma in videoconferenza (e ottengono, talvolta, attenzione finanche maggiore rispetto a quella che avrebbero de visu).

Che dire, poi, della possibilità di officiare il consulente tecnico d’ufficio senza doverne disporre la convocazione ad una (inutile) udienza, formulando per iscritto i quesiti oggetto di incarico e consentendogli di prestare il “giuramento” di cui all’art. 193 c.p.c. con dichiarazione firmata digitalmente e depositata nel fascicolo telematico? E dell’opportunità di svolgere le stesse operazioni peritali – quando la natura delle indagini lo consenta, chiaramente – da remoto?

C’è solo da augurarsi che la digitalizzazione del processo civile non resti un malinconico ricordo della pandemia del ’20, ma possa divenire il fulcro propulsore di una giustizia più efficiente e, non di meno, rispettosa del contraddittorio.
Per fare ciò, naturalmente, è necessario colmare le lacune che l’esperienza emergenziale ha evidenziato, a livello sia infrastrutturale sia culturale. Ad esempio, devono esserci reti informatiche adeguate e postazioni abilitate in numero sufficiente negli uffici giudiziari. Tutti gli operatori (magistrati, avvocati, ed anche funzionari di cancelleria che fossero in smart working), inoltre, devono essere messi in condizione di accedere da remoto ai fascicoli e ai registri civili.
Le risorse economiche – pare – ci saranno. Vedremo se si saprà farne buon uso.

§ 4. Il disegno di legge delega per la riforma del processo civile

In questo contesto, si inserisce il d.d.l. di delega per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, presentato al Senato con il n. 1662 in data 09/01/2020 ed attualmente in corso di esame in commissione. Se questo provvedimento verrà approvato entro la legislatura corrente, il Governo avrà l’onere di adottare uno o più decreti legislativi destinati a riformare il primo e il secondo grado del giudizio civile, attraverso la riduzione e semplificazione dei riti, nonché a rivisitare la disciplina degli strumenti di A.D.R.

Va detto che il testo, almeno nella sua configurazione attuale, non è piaciuto molto ai processualcivilisti, che hanno sin da subito formulato una serie di osservazioni critiche, sottolineando in linea generale come la ragionevole durata del processo non si ottenga con la modifica delle norme, quanto piuttosto con riforme di carattere strutturale ed organizzativo, intervenendo soprattutto sul numero e sulla formazione del personale (giudicante e non). Tanto ciò vero che, a parità di condizioni, taluni uffici giudiziari – i quali adottano ed applicano pratiche virtuose – risultano molto più efficienti di altri, come confermano le rilevanti differenze nella performance degli uffici giudiziari nelle diverse regioni d’Italia, rilevate oggi come in passato.

Per parte nostra, con specifico riferimento al settore della malpractice sanitaria, già in tempi non sospetti ci eravamo permessi di segnalare alcune defaillances: prima fra tutte l’inopportunità di smantellare l’ormai collaudato sistema introdotto dalla legge Gelli Bianco in tema di condizione di procedibilità dell’azione risarcitoria in ambito di responsabilità medica. In particolare, avevamo ritenuto (e continuiamo a ritenere) sconveniente l’ipotesi di escludere l’obbligatorietà della mediazione in subiecta materia, e addirittura scellerata quella di introdurre limiti per il ricorso al procedimento di consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., che invece sta dando ottimi frutti – anche per il meritorio impegno profuso in sede di consulenza tecnica d’ufficio da alcuni specialisti in medicina legale – in ottica conciliativa e, quindi, deflativa del contenzioso.

Ad ogni modo, è chiaro che questa occasione di riforma sia un passaggio di cruciale importanza per restituire alla giustizia civile la dignità che merita. Non resta che auspicare, dunque, che il legislatore sappia essere all’altezza del suo ruolo, gettando le basi per rifondare un sistema processuale efficiente e al passo con i tempi. Poi spetterà agli operatori del diritto, col proprio sforzo quotidiano, fare la propria parte per contribuire ad assicurarne celerità ed affidabilità.

«Il segreto della giustizia sta in una sempre maggior umanità e in una sempre maggiore vicinanza umana tra avvocati e giudici nella lotta contro il dolore: infatti il processo, e non solo quello penale, è di per sé una pena, che giudici e avvocati devono abbreviare rendendo giustizia».

PIERO CALAMANDREI, Elogio dei giudici scritto da un avvocato

§ 5. Risorse & Approfondimenti sui tempi del processo civile

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