Ultimo Aggiornamento 18 Agosto 2025
La cardiotocografia è l’esame che registra il battito cardiaco del feto e le contrazioni uterine nelle ultime settimane di gravidanza e durante il travaglio. Quelle due linee che scorrono sul tracciato raccontano molto sul benessere del bambino: possono segnalare una situazione tranquilla oppure un possibile rischio da non sottovalutare.
L’esame CTG è uno strumento prezioso, ma non privo di limiti. Le linee guida ricordano infatti che l’interpretazione del tracciato non è sempre univoca e che, accanto a casi in cui salva vite, esistono anche situazioni di falsi allarmi che portano a interventi non necessari.
Comprendere quando serve davvero, come funziona e quali sono i diritti della madre è fondamentale per affrontare il parto in modo consapevole.
INDICE SOMMARIO
- § 1. Cos’è la cardiotocografia e come funziona il tracciato in gravidanza
- § 2. Quando fare la cardiotocografia: settimane, protocolli e casi particolari
- § 3. Come leggere il tracciato cardiotocografico: parametri e classificazioni
- § 4. Cardiotocografia e ipossia fetale: segnali d’allarme da riconoscere
- § 5. Le implicazioni legali dell’errata lettura o omissione della CGT
- § 6. Cardiotocografia e diritti del paziente: accesso, consenso e tutela legale
- Domande frequenti sul tracciato cardiotocografico
§ 1. Cos’è la cardiotocografia e come funziona il tracciato in gravidanza
La cardiotocografia è un esame che registra contemporaneamente la frequenza cardiaca del feto e le contrazioni uterine.
Il tracciato CTG non è sempre stato parte della routine ostetrica. La sua introduzione massiva negli anni ’70 avvenne sull’onda di grandi aspettative: si credeva potesse dimezzare la mortalità perinatale e ridurre del 50% i casi di danno neurologico neonatale. La realtà si è rivelata più complessa.
Come riporta la letteratura scientifica citata nelle raccomandazioni SIGO-AOGOI-AGUI, la CTG rappresenta un paradosso della medicina moderna perché è stata introdotta nella pratica clinica prima che qualsiasi studio randomizzato o ricerche scientifiche ne dimostrassero l’efficacia.
Oggi la cardiotocografia è diventata prassi consolidata in ogni reparto maternità italiano. Ma prassi non significa sempre necessità medica.
§ 1.1 Come funziona il cardiotocografo e cosa registra
Il cardiotocografo utilizza due sensori distinti che vengono posizionati sull’addome materno e fissati con fasce elastiche. Il primo è un trasduttore a ultrasuoni, collocato in corrispondenza del dorso fetale, dove il battito cardiaco risulta più percepibile. Il secondo è un trasduttore di pressione meccanico, posizionato sul fondo dell’utero, che rileva le variazioni della tensione addominale causate dalle contrazioni.
Questi sensori traducono i segnali captati in due linee grafiche distinte che scorrono su carta millimetrata o appaiono su monitor digitale. La linea superiore registra la frequenza cardiaca fetale, che normalmente oscilla tra 110 e 160 battiti per minuto. La linea inferiore traccia l’attività contrattile uterina, registrando intensità, durata e frequenza delle contrazioni.
L’esame dura generalmente tra 30 e 90 minuti, anche se può protrarsi quando il feto dorme. Durante il sonno fetale infatti, che segue cicli di circa 40 minuti, il tracciato può apparire meno reattivo, richiedendo un’estensione del monitoraggio per ottenere una registrazione significativa.
Durante l’esame, la donna può rimanere sdraiata o in posizione semi-seduta, preferibilmente sul fianco sinistro per evitare la compressione della vena cava.
Un aspetto fondamentale che il tracciato non può registrare direttamente è la percezione soggettiva dei movimenti fetali da parte della madre.
Alcuni cardiotocografi più moderni hanno un pulsante che la donna può premere quando avverte un movimento, creando un marcatore sul tracciato. Ma questa funzione non sostituisce la comunicazione diretta tra madre e operatore sanitario.
Il tracciato CTG fornisce un’istantanea del benessere fetale in quel momento specifico. Non ha capacità predittiva per eventi acuti, come sottolineano anche le menzionate raccomandazioni SIGO-AOGOI-AGUI.
§ 2. Quando fare la cardiotocografia: settimane, protocolli e casi particolari
Lo scopo clinico della CTG è duplice: da un lato, identificare i feti che non sono adeguatamente ossigenati per consentire un intervento tempestivo; dall’altro, evitare interventi ostetrici non necessari nei feti che sono, invece, ben ossigenati.
§ 2.1 Nelle gravidanze fisiologiche
Secondo le linee guida nazionali la cardiotocografia è prevista:
- A partire dalla 40ª settimana per il monitoraggio della gravidanza a termine;
- Durante il travaglio di parto;
- In presenza di riduzione dei movimenti fetali percepiti dalla madre;
- Dopo traumi addominali.
§ 2.2 Nelle gravidanze complicate
Il tracciato può iniziare già dalla 27ª settimana, con frequenza variabile in base alla situazione clinica. I casi più comuni sono:
- Diabete gestazionale
- Ipertensione
- Ritardo di crescita fetale
- Gravidanza gemellare
- Precedenti complicanze ostetriche.
In questi casi, la CTG diventa uno strumento prezioso per identificare precocemente segni di sofferenza fetale. Ma la differenza tra uso appropriato e sovra-utilizzo rimane sottile, e spesso influenzata più dal timore di contenziosi che da reali indicazioni cliniche.
§ 2.3 La pratica clinica
Molti centri, come documentano ad esempio Artemisia Lab e Uppa.it, iniziano il monitoraggio già dalla 38ª settimana, anche senza indicazioni specifiche.
A dire il vero, l’uso sistematico del monitoraggio continuo risponde spesso più a logiche di medicina difensiva che a reali indicazioni cliniche. I professionisti sanitari, consapevoli dell’elevato contenzioso medico-legale in ambito ostetrico, preferiscono monitorare in continuo anche gravidanze a basso rischio, nonostante le evidenze scientifiche non supportino questa pratica universale.
Tuttavia più tracciati si eseguono, maggiore è il rischio di trovare falsi positivi che possono portare a cesarei evitabili.
Come sottolineano le raccomandazioni delle società scientifiche, la cardiotocografia continua durante il travaglio è utile nelle gravide a rischio elevato di ipossia, ma non è di vantaggio rispetto all’auscultazione intermittente nelle donne a basso rischio.
§ 3. Come leggere il tracciato cardiotocografico: parametri e classificazioni
L’interpretazione del tracciato cardiotocografico si basa su quattro parametri fondamentali, ciascuno con margini di soggettività che possono portare a valutazioni discordanti tra operatori diversi.
- La frequenza cardiaca basale dovrebbe mantenersi tra 110 e 160 battiti per minuto. Ma cosa succede con 109 o 161 bpm? La zona grigia inizia già qui. Un battito a 108 bpm per alcuni è bradicardia, per altri una variante della norma se il tracciato mostra altri parametri rassicuranti;
- La variabilità, ovvero l’oscillazione della frequenza cardiaca, è considerata normale tra 6 e 25 bpm secondo le linee guida FIGO, mentre altre società scientifiche indicano 5-25 bpm. Questa differenza di un solo battito può cambiare la classificazione dell’intero tracciato. La variabilità ridotta può indicare sonno fetale, ma anche ipossia iniziale. Distinguere tra le due richiede esperienza che non tutti gli operatori possiedono in ugual misura;
- Le accelerazioni sono aumenti transitori della frequenza cardiaca di almeno 15 bpm per almeno 15 secondi. La loro presenza è rassicurante, ma la loro assenza non è necessariamente patologica, soprattutto se il feto dorme. Alcuni operatori attendono, altri intervengono;
- Le decelerazioni sono cadute della frequenza cardiaca che si classificano in precoci, variabili e tardive. Le precoci, sincrone con le contrazioni, sono generalmente benigne. Le variabili dipendono spesso dalla compressione del cordone. Le tardive, che seguono il picco della contrazione, sono le più preoccupanti. Ma identificare con certezza il tipo di decelerazione non è sempre immediato. Come evidenzia uno studio citato nelle raccomandazioni AOGOI, esiste una notevole differenza nell’interpretazione della CTG sia intra che inter-osservatore.
La stessa registrazione può ricevere interpretazioni opposte. Un tracciato definito “non rassicurante” dal ginecologo del turno di notte può essere considerato “nella norma” dal collega del mattino. Questa variabilità interpretativa non è un dettaglio tecnico: può determinare la decisione di procedere con un cesareo d’urgenza o di attendere l’evoluzione naturale del travaglio.
§ 3.1 Le classificazioni ACOG: teoria vs realtà clinica
Le linee guida italiane SIGO-AOGOI-AGUI del 2018 hanno adottato la classificazione FIGO 2016, che a sua volta si basa sul sistema a tre categorie sviluppato dall’ACOG americano. Questa classificazione dovrebbe semplificare l’interpretazione, ma la realtà è più complessa.
- Categoria I – Tracciato rassicurante: frequenza basale 110-160 bpm, variabilità moderata, assenza di decelerazioni tardive o variabili, possibili accelerazioni. Questi tracciati, che rappresentano circa il 10-15% del totale, predicono con buona affidabilità un normale equilibrio acido-base fetale.
- Categoria III – Tracciato patologico: assenza di variabilità con decelerazioni tardive ricorrenti, decelerazioni variabili ricorrenti o bradicardia, pattern sinusoidale. Questi tracciati, fortunatamente rari (meno del 5%), richiedono intervento immediato perché associati ad acidemia fetale.
- Il problema sta nella Categoria II – Tracciati non rassicuranti, che comprende tutto ciò che non rientra nelle categorie I o III. Questa zona grigia include l’80% dei tracciati e rappresenta il vero dilemma clinico. Un tracciato di categoria II può evolvere verso la normalità o precipitare verso la patologia. Le linee guida suggeriscono “sorveglianza continua” e “manovre rianimatorie intrauterine”, ma non forniscono indicazioni precise su quando intervenire.
La categoria II è diventata un contenitore troppo ampio che include situazioni cliniche profondamente diverse: dalla bradicardia moderata isolata alle decelerazioni variabili complicate. Questa ambiguità lascia ampio spazio alla discrezionalità clinica e, inevitabilmente, alla medicina difensiva.
Di fronte a un tracciato di categoria II che persiste, il ginecologo si trova davanti a un dilemma: attendere rischiando un’evoluzione sfavorevole o intervenire con un cesareo potenzialmente non necessario. La pressione medico-legale spinge spesso verso l’intervento, contribuendo all’aumento dei cesarei documentato dopo l’introduzione della CTG.
Come riporta la letteratura scientifica, nonostante l’uso estensivo del monitoraggio cardiotocografico, il tasso di paralisi cerebrale infantile nei neonati dopo la 35ª settimana è rimasto pressoché invariato, mentre si è assistito a un incremento esponenziale dei tagli cesarei.
§ 4. Cardiotocografia e ipossia fetale: segnali d’allarme da riconoscere
L’ipossia fetale può manifestarsi attraverso pattern specifici del tracciato che richiedono riconoscimento immediato e azione tempestiva. Non tutti i segnali hanno lo stesso peso, ma alcuni configurano veri campanelli d’allarme.
- Le decelerazioni tardive ripetute sono il segnale più preoccupante. Si presentano dopo il picco della contrazione, quando l’utero si rilassa ma il cuore fetale continua a rallentare. Indicano che la placenta non riesce più a garantire ossigenazione adeguata durante le contrazioni. Se persistono per più di 30 minuti, il rischio di acidosi metabolica aumenta significativamente.
- La variabilità ridotta o assente per oltre 50 minuti è altrettanto allarmante. Il cuore fetale sano modula continuamente la sua frequenza. Quando questa modulazione scompare, può significare che il sistema nervoso centrale non risponde più normalmente. È come se il bambino “spegnesse” le funzioni non essenziali per preservare quelle vitali.
- La bradicardia prolungata sotto i 100 bpm per più di 3 minuti richiede intervento immediato. Può indicare compressione prolungata del cordone, distacco di placenta o rottura d’utero. Ogni minuto conta.
- Il pattern sinusoidale, raro ma grave, si presenta come un’onda regolare senza variabilità. Può indicare anemia fetale severa o ipossia profonda. È uno dei pochi pattern che da solo giustifica un intervento immediato.
Questi quattro segnali erano già stati identificati dall’AOGOI come critici. Ma riconoscerli sulla carta millimetrata non è sempre immediato. Un’ostetrica esperta può coglierli prima di un medico poco allenato. E qui sta il problema: quando il riconoscimento tardivo si trasforma in danno evitabile.
§ 4.1 La finestra temporale critica
Tra il primo segnale di sofferenza e il danno irreversibile esiste una finestra temporale. Ma quanto è ampia questa finestra? Le evidenze scientifiche parlano di tempi sorprendentemente brevi.
Un feto sano può tollerare l’ipossia acuta per circa 10-20 minuti prima che inizino i danni cerebrali. Ma se l’ipossia è cronica, con episodi ripetuti di ridotta ossigenazione, la capacità di compenso si esaurisce molto prima.
Durante il periodo espulsivo, la situazione è ancora più critica. Come evidenziano le raccomandazioni AOGOI, nel 5% dei casi, in pochi minuti si può passare dalla normalità all’acidosi metabolica grave. La bradicardia grave prolungata durante le spinte può rapidamente evolvere in danno neurologico permanente.
§ 4.2 Tempi di intervento raccomandati
Le linee guida AOGOI e SIGO indicano tempi massimi di intervento:
- Massimo 30 minuti per un cesareo d’urgenza
- Massimo 20 minuti se il tracciato è di categoria III
- Immediato in caso di bradicardia terminale
Ma questi tempi ideali si scontrano con la realtà organizzativa. Preparare una sala operatoria, chiamare l’anestesista, ottenere il consenso: tutto richiede minuti preziosi.
§ 5. Le implicazioni legali dell’errata lettura o omissione della CGT
Il mancato riconoscimento o la sottovalutazione dei segnali di ipossia rientra tra le principali cause di responsabilità medica in ostetricia. I giudici, nei contenziosi, valutano:
- se il tracciato mostrava segni inequivocabili di sofferenza;
- se l’escalation assistenziale (ostetrica → ginecologo → sala operatoria) è avvenuta nei tempi dovuti;
- se i tempi del cesareo hanno rispettato lo standard (decision-to-delivery interval ≤ 30 minuti).
Un ritardo anche di pochi minuti può determinare la differenza tra la nascita di un bambino sano e un danno permanente. Per questo, secondo la giurisprudenza, l’inerzia o il ritardo ingiustificato rappresentano le cause più frequenti di condanna per negligenza professionale.
§ 5.1 La valutazione della negligenza per i tracciati di categoria II
Il tracciato cardiotocografico di categoria II non è chiaramente normale, ma nemmeno patologico. È un’area intermedia che rappresenta la situazione più complessa da valutare sia dal punto di vista clinico che giuridico.
La presenza di un tracciato non rassicurante, da sola, non dimostra la colpa del sanitario. Nei giudizi civili, infatti, il verificarsi di un danno non basta: occorre provare che la condotta non sia stata conforme agli standard di cura e che questa violazione abbia avuto un ruolo causale “più probabile che non” nell’evento avverso.
Per questo motivo, la giurisprudenza ha individuato alcuni criteri fondamentali di valutazione:
- Persistenza ed evoluzione del tracciato: un tracciato di categoria II che rimane invariato per un tempo eccessivo o che mostra un chiaro peggioramento (riduzione progressiva della variabilità, decelerazioni più frequenti e profonde) viene considerato con maggiore severità rispetto a un tracciato borderline ma stabile.
- Contesto clinico complessivo: la CTG non viene mai esaminata isolatamente. Febbre materna, liquido amniotico tinto di meconio, ritardo di crescita intrauterino o altre patologie incidono sul grado di urgenza esigibile. In una gravidanza ad alto rischio è richiesta una risposta molto più tempestiva rispetto a un contesto fisiologico.
- Gestione del processo assistenziale: ciò che conta non è solo il tracciato, ma come viene gestito. L’assenza di escalation dall’ostetrica al medico, la mancata rivalutazione periodica e la carenza di documentazione clinica sono elementi che possono configurare negligenza, indipendentemente dall’ambiguità del tracciato.
- Analisi controfattuale: con l’ausilio dei periti, il giudice valuta cosa sarebbe accaduto se fosse stata adottata la condotta corretta (ad esempio, un cesareo anticipato). Se risulta che un intervento più tempestivo avrebbe con elevata probabilità evitato il danno, la responsabilità viene riconosciuta; se invece il nesso causale non è dimostrabile con sufficiente certezza, la domanda risarcitoria può essere respinta.
In questi casi, l’attenzione del giudice si sposta dall’esito, che poteva essere imprevedibile, al processo assistenziale seguito dal personale sanitario: sorveglianza, rivalutazioni, comunicazione e tempestività delle decisioni. È la correttezza di questo percorso, più che l’ambiguità del tracciato, a determinare se la condotta sarà ritenuta conforme o negligente.
§ 6. Cardiotocografia e diritti del paziente: accesso, consenso e tutela legale
Il tracciato cardiotocografico è un documento medico-legale che deve essere conservato come parte integrante della cartella clinica. La normativa prevede la conservazione in originale o copia conforme, leggibile e completa di data, ora e identificazione della paziente.
L’importanza della conservazione emerge in caso di complicanze. Il tracciato documenta cosa è stato registrato e quando, permettendo eventualmente una valutazione indipendente successiva. La mancata conservazione o l’illeggibilità della CTG possono configurare responsabilità della struttura sanitaria.
§ 6.1 Diritto di accesso alla documentazione sanitaria
Il tracciato cardiotocografico fa parte della cartella clinica e il diritto di ottenerne copia è indiscusso.
Recenti chiarimenti forniti dal Garante per la Protezione dei Dati Personali e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Sentenza C-307/22) hanno ulteriormente rafforzato la tutela.
In particolare:
- l’articolo 15 del GDPR riconosce il diritto di accesso ai propri dati personali e prevede che la prima copia sia gratuita;
- la Corte di Giustizia ha chiarito che, per garantire una reale comprensione, il paziente ha diritto a ricevere non solo i dati estratti, ma una copia integrale e leggibile dei documenti che li contengono, come la cartella clinica o il tracciato CTG stesso.
La decisione finale su come fornire la copia spetta alla struttura sanitaria (titolare del trattamento dei dati), ma questa discrezionalità è limitata da un principio chiaro: le informazioni devono essere consegnate in modo intelligibile e comprensibile, senza ostacolare l’esercizio del diritto del paziente.
§ 6.2 CTG e consenso informato: cosa dovrebbe includere
Il consenso alla cardiotocografia rappresenta il momento in cui la donna comprende benefici e limiti dell’esame, potendo partecipare consapevolmente alle decisioni sul proprio percorso di assistenza. Il consenso viene spesso acquisito in modo implicito, ma dovrebbe includere informazioni chiare su questi profili:
- La bassa specificità dell’esame e l’alta incidenza di falsi positivi;
- Le alternative disponibili per le gravidanze a basso rischio;
- Le possibili conseguenze di un tracciato non rassicurante;
- La limitazione della mobilità durante il monitoraggio continuo.
§ 6.3 Importanza del dialogo con i sanitari e di annotare gli eventi
Durante il monitoraggio non abbiate timore di fare domande: chiedete che vi venga mostrato il tracciato e spiegato cosa significano quelle linee. Se la risposta è un generico “tutto bene” mentre notate parametri anomali, è vostro diritto pretendere chiarimenti.
Il diritto a ricevere spiegazioni chiare e comprensibili non è una concessione, ma un’estensione dei diritti fondamentali del paziente sanciti dalla Legge 219/2017.
Un consiglio pratico è quello di tenere un piccolo diario degli eventi: annotare orari, osservazioni e ciò che vi viene comunicato può diventare un elemento prezioso, soprattutto se la cartella clinica dovesse risultare incompleta o poco chiara.
La cardiotocografia, se usata correttamente, rimane uno strumento importante. Conoscerne i limiti non significa rifiutarla, ma utilizzarla con consapevolezza: distinguendo tra prudenza e allarmismo, tra fiducia nei professionisti e diritto all’informazione completa.
La qualità del parto dipende anche dalla comunicazione tra paziente e operatori sanitari. Essere parte attiva non significa diffidenza, ma responsabilità condivisa. Se le risposte appaiono evasive o insufficienti, è legittimo chiedere maggiore attenzione.
E se, nonostante tutto, qualcosa dovesse andare storto, sappiate che esistono professionisti specializzati che possono aiutarvi a capire se ci sono state responsabilità e come tutelare i vostri diritti.