Ultimo Aggiornamento 3 Dicembre 2025
Il danno estetico è un danno all’integrità psicofisica della persona.
Non si tratta di una categoria giuridica autonoma, ma di una particolare modalità con cui può manifestarsi il danno biologico: si parla infatti di “danno estetico” quando la lesione della salute incide sull’aspetto esteriore del danneggiato – tipico esempio è la cicatrice deturpante o deformante – piuttosto che su un organo o una funzione.
La nozione di danno estetico è di origine giurisprudenziale e nacque inizialmente come ipotesi di pregiudizio patrimoniale. Oggi, tuttavia, può dirsi definitivamente acquisito che si tratti di un pregiudizio non patrimoniale, riconducibile a qualsiasi evento traumatico, dall’incidente stradale alla responsabilità sanitaria.
In questa sede vedremo in cosa consiste il danno estetico e come viene liquidato, illustrando anche un caso reale risolto dallo Studio Chiarini, relativo a un piccolo pregiudizio subito da una paziente a seguito di un trattamento estetico mal eseguito.
§ 1. Cos’è il danno estetico
Nel linguaggio medico-legale, il danno estetico indica l’alterazione stabile dell’aspetto esteriore di una persona, tale da comprometterne l’armonia o la normale fisionomia.
Rientrano in questa categoria tutte le modificazioni fisiche permanenti che mutano l’immagine del soggetto e ne condizionano la percezione di sé.
Può manifestarsi, ad esempio, attraverso:
- esiti cicatriziali dopo un intervento o un trauma;
- discromie cutanee o alterazioni della texture della pelle;
- asimmetrie del volto o del corpo;
- posture anomale o zoppie;
- o ancora, disturbi visibili derivanti da errore medico o estetico (come uno strabismo post-operatorio).
Il danno estetico non va confuso con una mera lesione superficiale: la sua rilevanza nasce dal fatto che intacca la dimensione identitaria, incidendo sulla vita relazionale, affettiva e sociale del soggetto.
È per questo che, pur essendo un profilo del danno biologico, la sua valutazione presenta delle specificità.
§ 1.1 Origine storica del concetto di danno estetico
Il riconoscimento giuridico del danno estetico risale alla giurisprudenza degli anni Settanta, quando il risarcimento per lesioni alla salute era ammesso solo se il danno limitava la capacità lavorativa.
Uno sfregio, non incidendo sul reddito, restava escluso dal risarcimento: un’ingiustizia evidente.
I giudici colmarono quella lacuna riconoscendo che una menomazione visibile compromette la vita sociale e professionale del danneggiato, introducendo così la figura del “danno estetico”.
§ 1.2 Configurazione attuale del danno estetico
Nato quindi in ambito reddituale, oggi sappiamo che il “danno estetico” configura un pregiudizio di carattere non patrimoniale.
La giurisprudenza di legittimità ha stabilito che il danno non patrimoniale è una “categoria ampia ed omnicomprensiva” ed è “inammissibile” una liquidazione separata del danno biologico da quello estetico. Tuttavia, per evitare duplicazioni risarcitorie, il danno estetico viene comunque valutato autonomamente in sede medico-legale. Questa valutazione separata è necessaria per informare il giudice, il quale provvederà poi a una liquidazione unitaria del danno biologico, tenendo conto di questa componente attraverso la “personalizzazione” del risarcimento.
In altre parole, la distinzione tra danno biologico ed estetico è solo valutativa, non risarcitoria: serve a misurare meglio l’impatto complessivo della lesione sulla persona, in termini fisici, psicologici e relazionali.
Il danno estetico può avere origine da qualsiasi evento traumatico, come ad esempio un incidente stradale, un’aggressione, il morso di un cane, o anche una vicenda di malpractice medica, configurandosi in tal caso come un vero e proprio danno iatrogeno.
Questo tipo di danno trova, peraltro, un peculiare e – diciamo così – fisiologico ambito di manifestazione nelle specialità della “chirurgia plastica” e della cosiddetta “medicina estetica” (per l’appunto).

§ 2. Come si valuta e si quantifica il danno estetico
La valutazione del danno estetico richiede un’analisi medico-legale complessa, poiché non esiste una tabella normativa che classifichi in modo univoco le alterazioni dell’aspetto fisico.
Si tratta di un giudizio tecnico e multidimensionale, in cui confluiscono sia elementi oggettivi sia percezioni soggettive del danneggiato.
In linea generale, la stima si fonda su tre criteri principali:
- Dimensione oggettiva: misura l’entità e la visibilità dell’alterazione fisiognomica (cicatrici, deformazioni, asimmetrie, discromie, ecc.);
- Impatto psicologico: considera la percezione che la persona ha del proprio corpo e le conseguenze relazionali e identitarie del danno;
- Emendabilità del pregiudizio: valuta la possibilità di attenuare o correggere l’alterazione mediante trattamenti o interventi estetici, nel rispetto della libertà del paziente di sottoporvisi.
§ 2.1 Le classi medico-legali di gravità
Nella prassi, la medicina legale utilizza un sistema di sei classi di gravità, che orientano la quantificazione percentuale dell’invalidità permanente collegata al danno estetico:
| Classe | Descrizione del pregiudizio estetico | Invalidità permanente (%) |
|---|---|---|
| I | Pregiudizio lievissimo (alterazioni appena percettibili) | 1–5% |
| II | Pregiudizio lieve o moderato | 6–15% |
| III | Pregiudizio da moderato a rilevante | 16–25% |
| IV | Pregiudizio molto rilevante | 26–35% |
| V | Pregiudizio grave (cicatrici o deformazioni visibili) | 36–50% |
| VI | Pregiudizio gravissimo, con ripercussioni anche funzionali | 51–65% |
La quantificazione finale tiene conto non solo della classe di gravità, ma anche del peso economico degli eventuali interventi riparativi, del contesto personale e professionale del danneggiato e della stabilità del pregiudizio nel tempo.
È, dunque, una valutazione che richiede il confronto tra medico legale, psicologo e avvocato specializzato, al fine di ottenere un risarcimento proporzionato all’effettiva incidenza del danno sulla vita del soggetto.
§ 2.2 Dalla valutazione medico-legale alla liquidazione giudiziale
La valutazione medico-legale consente al Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) di tradurre la lesione in un punteggio percentuale di invalidità permanente, che rappresenta la base per la quantificazione del danno.
Tale punteggio non viene liquidato separatamente: la successiva liquidazione giudiziale avviene secondo il principio di onnicomprensività, che impone di considerare il danno biologico nella sua unità complessiva.
Il giudice, ricevuta la CTU, applica le Tabelle elaborate dall’Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano, riconosciute come riferimento consolidato (“diritto vivente”) per la determinazione del valore economico dei punti di invalidità, in relazione all’età del danneggiato e alla gravità del pregiudizio.
Il danno estetico non viene sommato aritmeticamente ad altre componenti, ma può giustificare una personalizzazione dell’importo.
Le stesse Tabelle di Milano prevedono infatti un aumento fino al 30% dei valori standard nei casi in cui la menomazione estetica comporti intensa sofferenza personale o induca il soggetto a modificare le proprie abitudini di vita per celare la menomazione.
La Corte di Cassazione ha precisato che la cosiddetta formula di Balthazard non consente una mera sommatoria dei punteggi di invalidità, ma richiede una correzione proporzionale che rispecchi la residua capacità biologica complessiva del danneggiato.
In altri termini, il danno estetico non si aggiunge, ma incide sulla personalizzazione del risarcimento unitario del danno biologico.
§ 3. Quando è risarcibile il danno estetico
Il danno estetico è risarcibile tutte le volte in cui risulta accertata la lesione dell’aspetto fisico della persona e il nesso causale tra tale lesione e un comportamento illecito o colposo.
L’assetto della responsabilità sanitaria è oggi definito dalla Legge Gelli-Bianco, che ha introdotto un regime a “doppio binario”:
- La struttura sanitaria risponde a titolo contrattuale con prescrizione decennale e un onere della prova agevolato per il paziente (la colpa della struttura è presunta).
- Il singolo professionista (che non agisca in libera professione) risponde invece a titolo extracontrattuale, con prescrizione quinquennale e un onere della prova più gravoso: spetta al paziente dimostrare la colpa (negligenza o imperizia) del medico.
Affinché sorga il diritto al risarcimento, fermo restando il diverso regime probatorio sopra descritto, è necessario dimostrare:
- L’esistenza del danno, documentata da referti, fotografie cliniche, relazioni specialistiche o consulenze medico-legali;
- Il nesso causale, ossia il collegamento diretto tra la condotta (ad esempio, un errore medico) e l’esito lesivo;
- L’elemento soggettivo della colpa; consistente in negligenza, imprudenza o imperizia del professionista, oppure in carenze organizzative della struttura sanitaria.
§ 3.1 Il danno estetico nella responsabilità sanitaria
Nel campo della responsabilità sanitaria, il danno estetico assume particolare rilievo ogni volta che l’esito di un trattamento medico o estetico risulta diverso o peggiorativo rispetto al risultato atteso.
Questo può accadere, ad esempio, negli interventi di chirurgia plastica, dermatologia o medicina estetica, in cui la finalità stessa dell’atto sanitario è il miglioramento dell’aspetto fisico del paziente.
Questa finalità di “miglioramento” ha alimentato il dibattito sulla natura dell’obbligazione del chirurgo estetico. Se in passato si è tentato di configurarla come una “obbligazione di risultato”, la dottrina e la giurisprudenza consolidate hanno “largamente superato” questa impostazione. L’orientamento attuale riconduce anche la chirurgia estetica all’obbligazione di mezzi: il medico non garantisce il risultato, ma si obbliga a eseguire la prestazione secondo gli standard del “buon professionista” e le leges artis.
Di conseguenza, quando l’esito produce, invece, una menomazione estetica permanente, può configurarsi un inadempimento dell’obbligazione professionale, valutato alla luce dei principi di diligenza, prudenza e perizia.
Proprio perché si tratta di un’obbligazione di mezzi e l’intervento è elettivo, assume un ruolo centrale l’obbligo informativo. Il professionista è tenuto a fornire un’informazione completa e chiara sui rischi prevedibili del trattamento: la violazione di questo obbligo può costituire, di per sé, una causa autonoma di responsabilità.
§ 4. Caso pratico: danno estetico da trattamento estetico
Lo Studio ha assistito una giovane donna, che chiameremo Anna per tutelarne la privacy, la quale aveva riportato lesioni permanenti in seguito a un trattamento di epilazione laser.
Nel 2019 la paziente si era sottoposta alla procedura presso un centro estetico. L’operatrice, tuttavia, aveva omesso di applicare i prodotti preparatori necessari a proteggere e idratare la pelle prima del trattamento, procedendo senza un’adeguata valutazione del fototipo cutaneo e senza una corretta impostazione dei parametri della macchina utilizzata.
Sin dall’inizio della seduta, la signora Anna aveva avvertito un intenso bruciore alla gamba destra, ma l’operatrice l’aveva tranquillizzata, proseguendo comunque il trattamento. Dopo aver modificato la frequenza del macchinario, aveva poi trattato la gamba sinistra, questa volta senza dolore.
Nei giorni successivi, il dolore e l’irritazione erano peggiorati, costringendo la paziente a recarsi al Pronto Soccorso, dove i medici riscontrarono ustioni di secondo grado all’arto trattato.
Sebbene le lesioni fossero guarite, era rimasta una discromia cutanea permanente, che il consulente medico-legale ha qualificato come danno estetico lieve, ma inemendabile.
La relazione tecnica ha individuato profili di responsabilità professionale in capo all’operatrice, per:
- Omessa preparazione della zona da trattare,
- Errata impostazione dei parametri del macchinario,
- Mancata informazione sui possibili rischi dell’intervento.
§ 4.1 La mediazione e la liquidazione del danno
Dopo un primo tentativo di composizione privata, non andato a buon fine, lo Studio ha promosso procedimento di mediazione ai sensi del d.lgs. 28/2010, come previsto per le controversie in materia sanitaria.
Ricevuta la convocazione, l’operatrice – tramite il proprio legale – ha accettato di definire la vertenza in via stragiudiziale, evitando il giudizio.
L’accordo di transazione ha previsto la liquidazione di 3.500 euro a titolo di risarcimento del danno estetico subito dalla paziente.
La soluzione extragiudiziale si è rivelata rapida, efficace e proporzionata: ha consentito alla signora Anna di ottenere ristoro per il pregiudizio patito, senza affrontare i tempi e i costi di un processo civile.

§ 5. Come tutelarsi in caso di danno estetico
Il danno estetico rappresenta una delle forme più sensibili di lesione alla persona, perché incide non solo sull’aspetto fisico, ma anche sull’identità e sull’equilibrio psicologico di chi lo subisce.
Proprio per la sua natura complessa, la valutazione medico-legale e la tutela legale devono essere affrontate con competenze specifiche: occorre ricostruire con precisione il nesso causale, quantificare correttamente il pregiudizio e individuare la strategia più efficace per ottenere un risarcimento equo.
L’esperienza dello Studio Chiarini in materia di responsabilità sanitaria e malasanità consente di gestire anche i casi più delicati, come quelli legati a interventi estetici o chirurgici, con un approccio tecnico, rigoroso e umano al tempo stesso.
Ogni situazione è diversa: ciò che non cambia è la cura nel rappresentare la persona e nel garantire che il danno subìto trovi il giusto riconoscimento.

