Ultimo Aggiornamento 26 Novembre 2025
La “salute” sembra una nozione di immediata comprensione, ma in realtà è un concetto stratificato, che ha attraversato secoli di riflessioni mediche, filosofiche e sociali.
La definizione oggi più nota è quella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che descrive la salute come «Uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non solo assenza di malattia».
Dal punto di vista giuridico, tuttavia, la salute è qualcosa di più di una condizione di benessere: è un bene primario e il primo diritto fondamentale della persona, espressamente tutelato dalla nostra Costituzione.
Ma cosa accade quando questo diritto viene compromesso, in particolare nell’ambito dell’assistenza sanitaria?
In questo articolo analizziamo il “diritto alla salute” non come un concetto astratto, ma come uno strumento concreto di tutela: il fondamento dei diritti del paziente, del consenso informato e, nei casi più gravi, del diritto al risarcimento per lesione dell’integrità psico-fisica.
§ 1. Cos’è la “salute”: dal concetto storico alla definizione OMS
Per comprendere il reale significato del diritto alla salute, è utile ripercorrere brevemente come questo concetto si sia evoluto nel tempo. Nell’antichità, la salute era considerata un dono degli dèi e la malattia veniva spiegata attraverso categorie magico–religiose.
Il cambiamento decisivo si ebbe con Ippocrate, che introdusse una visione razionale della medicina e pose le basi dell’idea moderna di equilibrio psico-fisico della persona.
Questa prospettiva si è affinata nei secoli, fino alla definizione elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nell’immediato dopoguerra: la salute è «uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non solo assenza di malattia».
Una formulazione che ha avuto il merito di superare la visione meramente clinica della salute e di ricondurla a un insieme di elementi più ampio: condizioni di vita, relazioni sociali, possibilità di accesso alle cure e tutela della dignità della persona.
Nel tempo, tuttavia, questa definizione ha mostrato i suoi limiti. Non sempre la salute coincide con l’assenza di malattia, così come la presenza di una patologia non esclude, di per sé, una condizione di benessere accettabile. Per questo oggi si parla di un concetto olistico e dinamico, che considera l’interazione tra fattori fisici, psichici, sociali e culturali.
Da questa evoluzione emerge chiaramente un punto: la salute non è soltanto una condizione biologica o un obiettivo di politica sanitaria. È un bene giuridico primario, la cui tutela costituisce il fondamento dei diritti del paziente e delle garanzie previste dall’ordinamento.
§ 2. La salute come diritto fondamentale: l’art. 32 della Costituzione
Il passaggio dal significato medico di “salute” a quello giuridico trova il suo punto di svolta nell’articolo 32 della Costituzione, la norma che per la prima volta qualifica espressamente la salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
Si tratta di una disposizione precettiva, non programmatica: impone alla Repubblica un dovere concreto di protezione. Tutelare la salute significa garantire cure appropriate, servizi accessibili, attività di prevenzione e condizioni che permettano alla persona di mantenere, o recuperare, il proprio equilibrio psico-fisico.
La scelta dei Costituenti di definire la salute come diritto fondamentale non è casuale. È l’unico diritto qualificato in questo modo all’interno del testo costituzionale, a riprova della sua centralità nella protezione della dignità umana. La salute, infatti, non è solo un bene individuale: costituisce anche un interesse della collettività e un presupposto essenziale per l’effettiva partecipazione alla vita sociale.
Su questo equilibrio, tra valore della persona e tutela dell’interesse pubblico, si fonda l’intero sistema di protezione della salute nel nostro ordinamento, dal Servizio Sanitario Nazionale alle garanzie riconosciute a ogni paziente durante il percorso di cura.
§ 2.1 Il diritto alla salute e il diritto all’autodeterminazione
La tutela costituzionale della salute non riguarda soltanto l’erogazione delle cure, ma anche il rispetto della persona nelle scelte che riguardano il proprio corpo e il proprio percorso terapeutico. Da questa impostazione deriva il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione, considerato come componente essenziale della protezione della salute.
L’articolo 32 contiene un’importante garanzia in merito: nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario, salvo che la legge lo preveda espressamente. È una clausola di tutela della persona, che segna il limite invalicabile dell’intervento pubblico in ambito sanitario.
Decidere in modo libero e consapevole se sottoporsi a un trattamento sanitario è parte integrante del benessere della persona: nessuna cura può dirsi autentica se non poggia su una scelta informata. È per questa ragione che l’ordinamento affianca alla tutela dell’integrità psico-fisica anche la tutela della libertà decisionale.
Il consenso informato è lo strumento attraverso cui questo diritto si realizza. Non rappresenta un adempimento formale, ma un processo comunicativo che richiede un’informazione chiara, completa e proporzionata alla condizione clinica del paziente.
Il rispetto dell’autodeterminazione non ha solo una funzione di garanzia individuale: rafforza la qualità della relazione di cura e contribuisce alla tutela effettiva della salute. Quando questo diritto viene violato, l’ordinamento prevede una responsabilità autonoma, con conseguente diritto al risarcimento del danno.
§ 2.2 La tutela dell’integrità psico-fisica e il danno alla salute
Se il comma 2 dell’art. 32 protegge la libertà di scelta, il comma 1 protegge l’integrità fisica e psichica della persona, che rappresenta il nucleo più concreto e immediato del bene salute.
Ma come si risarcisce un “danno alla salute” che non ha dirette conseguenze economiche?
Per decenni, il sistema legale ha faticato, risarcendo solo il danno patrimoniale (spese e mancato guadagno) o il “danno morale” (la sofferenza, solo se c’era un reato).
La svolta storica è avvenuta con la “creazione” giurisprudenziale del danno biologico. La Corte Costituzionale, in particolare, con la storica sentenza n. 184/1986, ha stabilito che la lesione del “bene salute”, tutelato dall’Art. 32, è un danno in sé e per sé risarcibile (o meglio: risarcibili sono le sue conseguenze).
Il danno biologico è definito come la «compromissione lesiva dell’integrità psico-fisica della persona».
In pratica, è il danno alla qualità della vita della persona, valutato da un medico-legale, indipendentemente dal suo reddito.
Questa evoluzione ha permesso di dare effettività alla protezione costituzionale della salute: una tutela che non si limita a riconoscere il diritto, ma che assicura anche un rimedio concreto quando l’integrità della persona viene compromessa.
§ 3. Quando la lesione del diritto diventa responsabilità sanitaria
Abbiamo stabilito che l’Art. 32 garantisce due diritti-pilastro:
- L’integrità psico-fisica→ Danno biologico
- L’autodeterminazione → Consenso informato
Quando un paziente subisce un danno alla salute, la domanda da porsi è: questa lesione è la conseguenza di un fatto illecito, come ad esempio un errore sanitario?
Un errore medico si verifica quando il personale sanitario, per negligenza, imprudenza o imperizia, viola gli obblighi e le leges artis della professione, causando un danno al paziente.
La lesione del diritto alla salute, in questi casi, è diretta e la tutela risarcitoria è attivata dalla Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017), che disciplina la responsabilità delle strutture e degli esercenti la professione sanitaria, introducendo criteri di accertamento specifici e strumenti obbligatori di gestione del contenzioso.
Le situazioni più frequenti in cui si accerta la responsabilità sanitaria includono:
- errori diagnostici, come ritardi, omissioni o valutazioni non corrette che impediscono un intervento tempestivo;
- errori terapeutici o chirurgici, quando la prestazione non è eseguita secondo le regole dell’arte;
- infezioni correlate all’assistenza, che possono derivare da carenze igienico-organizzative della struttura;
- trattamenti effettuati senza un valido consenso informato, che comportano una lesione autonoma dell’autodeterminazione.
§ 4. Come ottenere tutela in caso di lesione del diritto alla salute
Accertare la responsabilità richiede una valutazione tecnico-giuridica integrata: occorre verificare se vi sia stata una condotta colposa, se questa abbia causato il danno, e quale sia l’entità del pregiudizio biologico subito dal paziente.
È un percorso che non può essere improvvisato e che necessita della collaborazione tra avvocati specializzati e medici-legali esperti.
La prima cosa da fare è recuperare la documentazione clinica, indispensabile per comprendere cosa sia accaduto, e individuare eventuali profili di responsabilità.
Segue la valutazione del nesso causale, ossia del rapporto tra l’errore e il danno subìto. È un elemento centrale, che deve essere accertato con criteri scientifici e giuridici rigorosi.
Una volta verificata la presenza di un danno ingiusto, occorre procedere alla sua quantificazione, che riguarda il danno biologico e le eventuali ulteriori voci di pregiudizio.
La normativa vigente prevede, inoltre, un passaggio obbligatorio: la procedura di accertamento tecnico preventivo o di mediazione, introdotta dalla legge Gelli, finalizzata a favorire una soluzione conciliativa prima dell’eventuale azione giudiziaria.
Si tratta di un percorso complesso, nel quale la scelta di un’assistenza specializzata può fare la differenza tra un risultato incerto e una tutela effettiva.

