Morte del feto per responsabilità medica e risarcimento del danno - Avv. Lucia Spadoni

Morte del feto per responsabilità medica e risarcimento: aggiornamento 2025

Ultimo Aggiornamento 2 Dicembre 2025

La morte prenatale di un figlio rientra nel novero delle drammatiche evenienze che si possono determinare in conseguenza di un errore medico, iscrivendosi nel più ampio contesto di quelli che vengono considerati “danni da parto per malasanità“, un settore del diritto che negli ultimi anni ha visto un’evoluzione profonda.

Oggi, in seguito ai più recenti orientamenti della Corte di Cassazione (ordinanza 26826/2025), la morte del feto è considerata, a tutti gli effetti, come la morte di un neonato: il danno subito dai genitori non è più correlato a una “relazione affettiva potenziale”, ma rappresenta un vero e proprio danno da perdita del rapporto parentale.

Questo significa che il risarcimento viene calcolato integralmente secondo le Tabelle di Milano, senza più riduzioni automatiche, valorizzando la sofferenza interiore e le circostanze personali della gravidanza.

§ 1. Morte del neonato e morte del feto

In ambito giuridico si parla di “nascita” quando si verificano due condizioni:

  1. il distacco, naturale o indotto, del bambino dal corpo della madre,
  2. la manifestazione di una vita autonoma, ossia il primo atto respiratorio.

È quel respiro a segnare il confine tra la vita intrauterina e la vita autonoma. Da quel momento il soggetto acquisisce la qualifica di neonato.
Se il decesso avviene anche pochi istanti dopo la nascita, si parla comunque di morte del neonato, perché l’evento si è verificato dopo l’inizio della vita indipendente dal grembo materno.

Quando invece il concepito viene espulso o estratto senza aver mai respirato – in pratica, quando non vi sono tracce di ossigeno nei polmoni – la legge considera quell’evento come morte del feto. È una condizione che comprende tanto il decesso intrauterino quanto quello avvenuto durante il parto.

Sul piano giuridico, la morte del feto e la morte del neonato producono effetti diversi: in sede penale (dove si distingue tra procurato aborto e infanticidio) e in sede civile, perché la capacità giuridica di una persona si acquista solo con la nascita.

Tuttavia, ai fini del risarcimento del danno per errore medico, questa distinzione non ha più un peso sostanziale: la giurisprudenza più recente riconosce oggi alla perdita del feto la stessa tutela accordata alla morte di un figlio nato vivo.

§ 2. Il nuovo orientamento della Cassazione: la fine della “relazione affettiva potenziale”

Per anni, la giurisprudenza ha sostenuto che, in caso di morte del feto, il danno riconoscibile ai genitori fosse inferiore rispetto a quello dovuto per la morte di un figlio nato vivo.
Secondo tale visione, il dolore dei genitori sarebbe derivato non da una relazione effettiva, ma solo da una relazione affettiva potenziale, mai pienamente realizzata per via dell’assenza di vita autonoma del nascituro.

Le conseguenze di questa impostazione erano che i tribunali riconoscevano il diritto al risarcimento del danno, ma applicavano una riduzione automatica del 50 % dei valori tabellari previsti per la perdita di un figlio. Le ordinanze della Cassazione  n. 19190 del 15/09/2020 e n. 22859 del 20/10/2020 avevano confermato tale linea, pur riconoscendo la possibilità di una personalizzazione caso per caso.

Negli ultimi anni, però, la Corte di Cassazione ha progressivamente smontato questa impostazione. Un percorso culminato con l’ordinanza n. 26826/2025, che ha definitivamente chiarito come la perdita del concepito rientri a pieno titolo nel danno da perdita del rapporto parentale, al pari della morte di un neonato.

La Corte ha affermato che il legame genitoriale si forma già durante la gravidanza, cresce di intensità con il trascorrere delle settimane e trova fondamento non solo nella biologia, ma anche nella sfera affettiva, psicologica e relazionale dei genitori.
Per questo motivo, la distinzione tra “relazione potenziale” e “relazione effettiva” è stata definita riduttiva e non conforme alla realtà umana.

La Suprema Corte ha evidenziato che:

In tema di responsabilità sanitaria, il danno da perdita del feto imputabile ad omissioni e ritardi dei medici è morfologicamente assimilabile al danno da perdita del rapporto parentale, che rileva tanto nella sua dimensione di sofferenza interiore patita sul piano morale soggettivo, quanto nella sua attitudine a riflettersi sugli aspetti dinamico-relazionali della vita quotidiana dei genitori e degli altri eventuali soggetti aventi diritto al risarcimento del danno.

In tema di responsabilità sanitaria, la perdita del frutto del concepimento prima della sua venuta in vita, imputabile a omissioni e ritardi dei medici, determina la risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale, che si manifesta prevalentemente in termini di intensa sofferenza interiore tanto del padre, quanto (e soprattutto) della madre.

La sofferenza interiore diventa così il cuore della valutazione del danno parentale, sostituendo ogni automatismo aritmetico.

Si tratta di un cambio di prospettiva profondo: non è più il “momento del respiro” a definire la dignità del rapporto genitore-figlio, ma la relazione affettiva reale che si sviluppa durante la gravidanza.
In questo modo, la tutela della genitorialità ferita rientra pienamente tra i diritti inviolabili della persona, garantiti dagli articoli 2, 29, 30 e 31 della Costituzione e dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La morte del feto potrebbe dipendere da un errore medico?

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§ 3. Come si calcola oggi il risarcimento: le Tabelle di Milano 2024

Il nuovo orientamento della Cassazione non si è limitato a ridefinire il valore affettivo della perdita del concepito: ha inciso anche sul metodo di quantificazione del risarcimento

Oggi, il giudice, nel determinare il risarcimento, applica integralmente le Tabelle di Milano, aggiornate nel 2024, tenendo conto di tutti gli elementi di personalizzazione: l’età gestazionale, la storia clinica, le modalità della gravidanza, la presenza di fecondazione assistita, eventuali aborti pregressi o difficoltà di fertilità.
Si tratta di un sistema ormai riconosciuto a livello nazionale come criterio guida per la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale.

§ 3.1 Il sistema a punti

Le nuove Tabelle non si basano più su una semplice “forbice” di importi minimi e massimi, ma su un sistema a punti.
A ogni congiunto della vittima viene attribuito un punteggio in base a parametri oggettivi e soggettivi, che vengono poi moltiplicati per il valore economico del punto.

Nel 2024, il valore del punto è stato fissato in € 3.911, con un massimo di 100 punti per ciascun genitore, pari a un risarcimento fino a € 391.103.

Il giudice può modulare il numero di punti attribuiti in base a diversi fattori, tra cui:

  • Età della vittima e dei genitori;
  • Convivenza;
  • Composizione del nucleo familiare;
  • Qualità ed intensità del legame affettivo;
  • Circostanze specifiche del caso.

L’obiettivo è garantire un risarcimento proporzionato alla realtà del dolore subito, evitando meccanismi automatici o standardizzati.

§ 3.2 Esempio pratico di calcolo

Per comprendere in termini pratici l’impatto del nuovo orientamento, si può ipotizzare un caso analogo a quello esaminato dalla Corte di Cassazione nel 2025: una gravidanza giunta al termine (41ª settimana), un tracciato cardiotocografico che segnala una sofferenza fetale evidente, e un parto cesareo d’urgenza eseguito in ritardo, con conseguente decesso del feto subito dopo la nascita.

Sulla base dei criteri stabiliti dalle Tabelle di Milano 2024, ciascun genitore potrebbe vedersi riconosciuto un risarcimento compreso tra 340.000 e 390.000 euro, in relazione alle circostanze del caso concreto e alla personalizzazione operata dal giudice.

Fino a pochi anni fa, la stessa vicenda sarebbe stata liquidata con importi dimezzati, perché la perdita del feto veniva qualificata come “relazione affettiva potenziale”.
Oggi, quella riduzione non è più ammessa: il risarcimento è integrale, perché tiene conto della reale intensità del legame e della sofferenza genitoriale, indipendentemente dal fatto che il figlio sia nato vivo o meno.

§ 4. Risarcimento per morte del nascituro: l’evoluzione della giurisprudenza dal 2015 al 2015

L’atteggiamento della giurisprudenza verso la morte del feto dovuta a responsabilità medica è cambiato in modo radicale negli ultimi dieci anni.
Per lungo tempo, la perdita del concepito è stata letta come un dolore “in potenza”, privo della concretezza relazionale che si riconosceva solo alla morte di un figlio nato vivo.
Le Corti tendevano quindi a ridurre il risarcimento, considerandolo un pregiudizio minore rispetto al lutto successivo alla nascita.

Questo approccio, progressivamente abbandonato, ha lasciato spazio a una visione più aderente alla realtà affettiva: quella secondo cui il legame genitoriale inizia già durante la gravidanza e la sua interruzione merita la stessa tutela integrale prevista per la perdita del neonato.

Il riepilogo che segue mostra come si è evoluto nel tempo l’orientamento della Corte di Cassazione fino all’attuale riconoscimento del risarcimento pieno.

§ 4.1 Tabella comparativa: evoluzione giurisprudenziale 2015–2025

Periodo e orientamentoPrincipio giuridico prevalenteConseguenze sul risarcimento
2015 – Cass. 12717/2015La morte del feto dà luogo solo alla perdita di una relazione affettiva potenzialeDanno riconosciuto ma ridotto, non assimilabile alla perdita di un figlio nato vivo
2020 – Cass. 19190/2020 e 22859/2020Il danno parentale da morte del feto è diverso da quello del neonato per mancanza di relazione concretaApplicazione delle Tabelle di Milano con riduzione del 50% dei valori
2021 – Cass. 26301/2021Apertura al riconoscimento del rapporto parentale in vita prenataleRiconoscimento del danno pieno con personalizzazione secondo le circostanze
2025 – Cass. 26826/2025La perdita del feto equivale alla perdita di un figlio nato vivo; la relazione genitoriale si forma già in gravidanzaRisarcimento integrale secondo le Tabelle di Milano 2024; abolita ogni riduzione automatica

§ 5. Paragrafo 5

Testo

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§ 1. Morte del neonato e morte del feto

In termini giuridici si può parlare di “nascita” al verificarsi di due condizioni concomitanti:

  1. il distacco naturale o indotto dal corpo materno e
  2. la manifestazione di vita autonoma del frutto del concepimento attraverso il respiro.

La nascita, quindi, si fa coincidere temporalmente con il primo atto respiratorio e ad essa si correla l’acquisizione della qualifica di neonato da parte del soggetto nato vivo; di conseguenza, qualora si verificasse il suo decesso anche dopo pochi istanti dalla nascita, tale evento andrebbe comunque inquadrato quale “morte del neonato“.

Il concepito che, invece, sia uscito o sia stato estratto dal grembo materno e non abbia respirato (in caso di dubbio è dirimente l’analisi del polmone per rinvenirvi tracce di ossigeno), si considera nato morto e viene ancora qualificato come feto: tale evento quindi sarà inquadrato giuridicamente quale “morte del feto“, assimilando tale situazione a quella del decesso intrauterino.

La morte del feto e la morte del neonato determinano delle conseguenze giuridiche diverse, sia in ambito penale (vi è infatti distinzione tra il reato di procurato aborto e di infanticidio), sia in ambito civile (poiché la capacità giuridica di un soggetto si acquisisce solo con la nascita). Per quanto attiene al profilo risarcitorio, la morte del neonato e la morte del feto sono trattate in modo diverso.

§ 2. Morte del neonato e perdita del rapporto parentale: risarcimento del danno con applicazione delle tabelle di Milano

In relazione alla morte del neonato è ormai pacificamente riconosciuto in giurisprudenza il diritto al risarcimento del danno per la perdita del rapporto parentale, inteso quale relazione affettiva concreta instaurata con la persona deceduta dai prossimi congiunti; in caso di morte di un neonato sono legittimati a chiedere il ristoro del pregiudizio subito i genitori, i nonni ed eventuali fratelli e sorelle (v. anche il nostro articolo dedicato al danno non patrimoniale da uccisione del congiunto e i sistemi tabellari utili a quantificarlo).

La stima del pregiudizio non patrimoniale da perdita del rapporto parentale nel nostro ordinamento è demandata ad un sistema equitativo puro, sostanzialmente fondato sulla valutazione discrezionale del giudice di merito.
Tuttavia, per rendere il più possibile omogenee e prevedibili le decisioni dei Tribunali, si è sempre cercato di utilizzare criteri standardizzati di quantificazione, tanto che la Corte di Cassazione, sin dal 2011 (sentenza n. 12408/2011), ha individuato nella “tabella” elaborata dal Tribunale di Milano un generale “parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono“, così attribuendo alla stessa la valenza di criterio guida a livello nazionale per la quantificazione del pregiudizio da perdita del rapporto parentale.

La tabella milanese, in relazione a ciascun rapporto di parentela, prevede una forbice di valori risarcitori, stabilendo un importo minimo e di un importo massimo, per consentire di graduare la quantificazione del risarcimento avendo riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresa la “qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona perduta“.

In caso di morte del neonato, pertanto, la liquidazione del danno viene di regola operata in applicazione delle tabelle milanesi.

§ 3. Morte del feto e perdita della “aspettativa” del rapporto parentale: quale risarcimento danni?

In relazione alla morte del feto, la giurisprudenza di legittimità da qualche anno si è aperta al riconoscimento della risarcibilità del danno morale ed esistenziale dei congiunti conseguente alla perdita del nascituro.
La Corte di Cassazione (Cass. III, 19/06/2015, n. 12717), tuttavia, ha avuto cura di puntualizzare che “per il figlio nato morto è ipotizzabile soltanto il venir meno di una relazione affettiva potenziale (che, cioè, avrebbe potuto instaurarsi, nella misura massima del rapporto genitore-figlio, ma che è mancata per effetto del decesso anteriore alla nascita), ma non anche di una relazione affettiva concreta sulla quale parametrare il risarcimento all’interno della forbice di riferimento” delle tabelle di Milano per il danno da perdita del rapporto parentale.

Si registra quindi in giurisprudenza una distinzione tra la morte del neonato, alla quale si riconduce la perdita di un rapporto parentale “effettivo”, e la morte del feto (occorsa anche al momento del parto o in epoca gestazionale avanzata), alla quale si riconduce solo la perdita di una “aspettativa” di rapporto parentale.

Tale approdo invero lascia adito ad alcune notazioni critiche, posto che, allorquando la morte del feto si verifica in prossimità della nascita o all’atto del parto, riferirsi ad una mera “aspettativa” di rapporto parentale pare riduttivo e svilente la realtà del legame affettivo già instauratosi tra la madre ed il nascituro.

La distinzione sopra ripercorsa ha quale corollario che, non essendovi una tabellazione espressa da parte del Tribunale di Milano per la perdita della relazione affettiva potenziale con il feto, le tabelle di Milano non sono ritenute direttamente applicabili tout court per il risarcimento del danno da perdita del concepito.
La valorizzazione del danno in caso di morte del feto, secondo gli approdi della Suprema Corte, deve infatti necessariamente tenere conto della ritenuta “diversità ontologica” della perdita subita; pertanto, anche qualora il Giudice di merito volesse fare riferimento alle Tabelle di Milano quale criterio orientativo nella liquidazione equitativa del danno (per la perdita del rapporto affettivo potenziale con il feto) non potrà prescindere da tale valutazione, di cui dovrà dare adeguatamente conto in motivazione.

In termini di conseguenze pratiche, nelle sentenze di merito si registrano importanti oscillazioni nelle liquidazioni del danno da perdita del rapporto parentale “potenziale” con il feto deceduto. Ne sono esempio le statuizioni di merito poste al vaglio della Suprema Corte ed oggetto delle ordinanze di seguito illustrate.

Hai bisogno di chiarire se una morte del feto è stata solo una tragica fatalità?

§ 4. L’ordinanza n. 22859 del 20/10/2020 della Corte di Cassazione

§ 4.1. La vicenda: incauta dimissione della gestante in presenza di sofferenza fetale

La vicenda giudiziaria posta al vaglio della Suprema Corte e decisa con la recente ordinanza del 20 ottobre 2020 riguarda un caso di morte intrauterina di un feto.
La futura madre, che era in stato di gravidanza a rischio ed era giunta al nono mese di gestazione, si era sottoposta presso la struttura ospedaliera, poi convenuta in giudizio, a visite ginecologiche ed esami ma, nonostante le anomalie risultanti dal tracciato che evidenziavano una grave sofferenza fetale, era stata dimessa senza alcuna prescrizione. Il successivo verificarsi di una emorragia portava al ricovero della paziente, ma allorquando era ormai troppo tardi per salvare il nascituro.

All’esito del secondo grado del giudizio di merito, veniva accertata la responsabilità della struttura ospedaliera e veniva accolta la domanda risarcitoria spiegata dai genitori del piccolo, dai nonni e dal fratello.
Il danno veniva liquidato in misura pari al 50% dell’importo minimo previsto dalle Tabelle di Milano per il danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale.

I soggetti danneggiati hanno spiegato ricorso in Cassazione adducendo la violazione delle norme di legge sul risarcimento e la valutazione equitativa del danno (ritenendovi comprese le tabelle di Milano), l’omesso esame di fatti storici rilevanti ai fini della liquidazione del danno (la gravidanza era giunta al termine ed era stata ottenuta mediante fecondazione assistita) e la mancata motivazione della liquidazione risarcitoria operata

§ 4.2. La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, ritenendo infondate le censure spiegate. La Corte ha sottolineato che le tabelle milanesi di liquidazione del danno non patrimoniale si sostanziano in regole integratrici del concetto di equità, atte quindi a circoscrivere la discrezionalità del’organo giudicante, sicché costituiscono un criterio guida e non una normativa di diritto.

Invero:

qualora il giudice, nel soddisfare esigenze di uniformità di trattamento su base nazionale, proceda alla liquidazione equitativa in applicazione delle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano, nell’effettuare la necessaria personalizzazione di esso, in base alle circostanze del caso concreto, può superare i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti dalle dette tabelle solo quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto […] dando adeguatamente conto in motivazione di tali circostanze e di come esse siano state considerate“.

Cass. III, 20/10/2020, n. 22859

Pertanto, la Suprema Corte ha evidenziato che:

  • nel caso di feto nato morto sarebbe ipotizzabile solo il venir meno di una “relazione affettiva potenziale rispetto alla quale non vi è una tabellazione espressa da parte del Tribunale di Milano, mentre la possibilità di parametrare il risarcimento all’interno della forbice di riferimento si ha nel caso di relazione affettiva concreta;
  • nella fattispecie è ravvisabile “la circostanza di essere al di fuori del parametro tabellare, ricorrendo l’ipotesi di mancata instaurazione di un rapporto oggettivo, fisico e psichico, tra i parenti e la situazione del ‘feto nato morto’“;
  • la Corte territoriale ha preso quale parametro di riferimento le tabelle del Tribunale di Milano, ma determinando l’importo risarcitorio riconosciuto spettante nella misura pari alla metà del minimo in considerazione della circostanza che si trattava pacificamente di morte di un feto e non anche di un bambino.

La Corte di Cassazione è quindi pervenuta a ritenere esente da censure la sentenza di merito impugnata.

Danno da morte: quanto vale secondo Milano 2022? Prova questa

§ 5. L’ordinanza n. 19190 del 15/09/2020 della Corte di Cassazione

§ 5.1. La vicenda: omessa effettuazione di parto cesareo d’urgenza e morte del feto

Una gestante prossima al parto ricoverata per perdita di liquido amniotico perdeva il bambino e la Corte di merito riconosceva la responsabilità piena ed esclusiva della ginecologa per non essere stata in grado di dedurre dal tracciato fetale lo stato di sofferenza del nascituro e la necessità di un parto cesareo d’urgenza.

La Corte condannava, quindi, in via solidale il medico e la Azienda Sanitaria al risarcimento del danno non patrimoniale in favore dei genitori per la perdita del feto, liquidato in misura pari al 50% del valore massimo previsto dalle tabelle del Tribunale di Milano per il danno da perdita del rapporto parentale, oltre all’appurato danno biologico in capo ai medesimi.

L’Azienda Sanitaria proponeva ricorso in Cassazione lamentando, per quanto qui di interesse, la ritenuta omessa motivazione sulla quantificazione del danno da perdita della genitorialità nonché la sproporzione della liquidazione operata rispetto ai parametri di equità.

§ 5.2. La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto infondate le censure sopra evidenziate rilevando che la sentenza impugnata avesse fornito una adeguata motivazione della operata liquidazione del danno “illustrando, dapprima, la differenza intercorrente tra il danno consistente nella perdita del frutto del concepimento e il danno conseguente alla perdita del figlio, quindi, fornendo ampia giustificazione del parametro liquidativo utilizzato“.

La Suprema Corte ha avallato l’operato della Corte di merito rilevando che:

La Corte territoriale ha ritenuto che trattandosi di perdita di una speranza di vita e non di una vita, le tabelle milanesi non fossero direttamente utilizzabili, perchè elaborate per la perdita della persona viva, con cui, prima dell’illecito si era instaurato un rapporto affettivo, ma valessero come criterio orientativo […] Dovendosi considerare che per il figlio nato morto è ipotizzabile solo il venir meno di una relazione affettiva potenziale, ma non una relazione affettiva concreta, il giudice a quo ha ritenuto di parametrare la liquidazione nel caso concreto sui valori tabellari massimi relativi alla perdita di un figlio di giovane età, operando una riduzione del 50% perche il figlio era nato morto”.

In ordine alla valutazione equitativa, la Corte di Cassazione ha puntualizzato che:

è lo scorretto esercizio del potere discrezionale, secondo i parametri forniti dalla interpretazione giurisprudenziale di legittimità degli artt. 1226 e 2056 cod. Civ., che può essere censurato per vizio di violazione di norma di diritto ai sensi del paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e non anche la diversa modulazione dei valori delle Tabelle di Milano che può essere giusitificata dalla rilevazione nel caso concreto di circostanze specifiche che rendono necessario un diverso adeguamento del quantum risarcitorio (di recente, in tal senso cfr. Cass. 13/05/2020 n. 8884). Al giudice a quo non può dunque essere mosso alcun rilievo per avere assunto come parametro orientativo i valori tabellari ed averli adeguati al caso concreto, al fine di tener conto delle circostanze specializzanti“.

Cass. III, 15/09/2020, n. 19190

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