Ultimo Aggiornamento 3 Luglio 2025
Le carenze organizzative degli ospedali rappresentano oggi una delle principali cause di danno ai pazienti. Macchinari obsoleti, personale insufficiente, reparti mancanti: quando la disorganizzazione causa un danno, la struttura sanitaria ne risponde direttamente, indipendentemente dalla condotta dei singoli medici.
Tuttavia per decenni la giurisprudenza ha faticato a riconoscere una responsabilità autonoma delle strutture sanitarie, ancorata al paradigma della colpa individuale del medico. L’evoluzione che ha portato all’attuale sistema di responsabilità per difetto organizzativo merita un’analisi approfondita, anche alla luce delle recenti riforme normative.
§ 1. L’evoluzione della responsabilità per difetto organizzativo
Per decenni, quando un paziente subiva un danno in ospedale, la ricerca del responsabile seguiva un percorso obbligato: individuare il medico che aveva sbagliato. La struttura sanitaria rispondeva solo se e quando si dimostrava la colpa del suo dipendente, in applicazione dell’art. 1228 c.c. sulla responsabilità per fatto degli ausiliari.
Questo approccio presentava evidenti limiti. Il paziente danneggiato da disservizi strutturali, come sale operatorie non disponibili, macchinari guasti, assenza di reparti essenziali, rimaneva privo di tutela quando non era identificabile una condotta colposa del singolo operatore. Il sistema ignorava che molti danni derivano non da errori individuali ma da deficit sistemici.
La svolta arriva con la sentenza del Tribunale di Monza del 7 giugno 1995, vera pietra miliare in questa materia.
Per la prima volta, un giudice afferma che “la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria può non essere dovuta ai comportamenti dei singoli facenti parte della propria organizzazione, ma far capo alla struttura ospedaliera complessivamente organizzata”.
Il caso era emblematico: un paziente aveva richiesto visite specialistiche urgenti, nello specifico pediatrica e neurologica, che erano state ritardate per la distanza tra i reparti. Il Tribunale ritenne “inconcepibile che un ospedale sia strutturato in modo tale da rendere difficili interventi in altri reparti”, aprendo la strada al riconoscimento della responsabilità per difetto organizzativo.
Questo principio si è consolidato con successive pronunce che hanno ampliato il perimetro della responsabilità: dal Tribunale di Ascoli Piceno (1995) per l’assenza di anestesisti in ostetricia, al Tribunale di Milano (1997) per la mancanza di rianimazione in ospedale pediatrico.
§ 1.1 Il contratto di spedalità e gli obblighi organizzativi
Il fondamento giuridico della responsabilità per carenze organizzative risiede nella natura complessa del contratto di spedalità. Non si tratta di una semplice prestazione d’opera professionale, ma di un contratto atipico che genera obbligazioni articolate.
Con l’accettazione del ricovero, la struttura assume l’obbligo di fornire non solo cure mediche, ma “una prestazione complessa” che comprende:
- Messa a disposizione di personale medico e paramedico qualificato
- Fornitura di medicinali e presidi sanitari
- Disponibilità di attrezzature tecniche adeguate
- Prestazioni “lato sensu” alberghiere, per l’ospitalità
- Organizzazione efficiente di tutti questi elementi
L’obbligo organizzativo deriva direttamente dal principio costituzionale di tutela della salute (art. 32 Cost.), e deve essere interpretato secondo buona fede (artt. 1175, 1366 e 1375 c.c.). La struttura deve garantire uno “standard organizzativo tollerabile”, parametrato su ciò che il paziente medio può ragionevolmente attendersi.
Questo standard non è statico, ma dinamico, evolvendosi con il progresso tecnologico e organizzativo. Ciò che era tollerabile negli anni ’80 non lo è più oggi: l’assenza di TAC in un pronto soccorso di ospedale principale, accettabile (forse) decenni fa, oggi configura carenza organizzativa grave.
§ 1.2 La Legge Gelli-Bianco e il nuovo assetto delle responsabilità
La riforma del 2017 ha cristallizzato l’evoluzione giurisprudenziale, distinguendo nettamente le posizioni di struttura e medico. L’art. 7 della Legge 24/2017 stabilisce che la struttura risponde sempre a titolo contrattuale, anche per le condotte dolose o colpose degli esercenti la professione sanitaria.
Questa scelta rafforza la tutela del paziente sotto molteplici profili:
- Prescrizione decennale anziché quinquennale
- Onere probatorio alleggerito: il paziente prova solo contratto, danno e nesso (non la colpa)
- Responsabilità sostanzialmente oggettiva per le carenze organizzative
La responsabilità del medico dipendente, divenuta extracontrattuale, non elide quella della struttura. Come chiarito dalla giurisprudenza post-riforma, la correttezza dell’operato medico non esclude la responsabilità autonoma della struttura (Cass. 5380/2023).
§ 2. Tipologia delle carenze organizzative rilevanti
L’analisi della giurisprudenza consente di individuare le principali categorie di deficit organizzativi fonte di responsabilità.
§ 2.1 Carenze di personale e organizzazione dei turni
La carenza di organico costituisce la più frequente causa di disservizi. Non si tratta solo di numeri assoluti, ma di corretta distribuzione per specialità e turni. Emblematico il caso deciso dal Tribunale di Ascoli Piceno (28.11.1995): la mancata presenza continua di anestesista in ostetricia configura responsabilità, essendo prevedibile l’emergenza ostetrica.
Le statistiche indicano che l’85% dei problemi in sanità dipende da difetti organizzativi, non da incompetenza individuale. Turni massacranti, sostituzioni mancate, assenza di specialisti in guardia: quando l’errore diventa sistemico, la responsabilità è della struttura.
§ 2.2 Dotazioni tecnologiche inadeguate
La Cassazione ha elaborato un orientamento consolidato sulle apparecchiature. Dalla sentenza 4852/1999 (inefficienza della rianimazione neonatale) alla 6318/2000 (cardiotocografo non funzionante), il principio è chiaro: ogni reparto deve avere la strumentazione necessaria per le emergenze prevedibili.
Non rileva la causa del deficit (mancato acquisto, manutenzione carente, obsolescenza): la struttura garantisce il risultato. La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. III, 21 febbraio 2023, n. 5380, relativa a un parto prematuro gestito senza adeguate apparecchiature di rianimazione neonatale, conferma che la struttura sanitaria risponde in via “autonoma e diretta della struttura ospedaliera, ove il danno subito dal paziente risulti causalmente riconducibile all’inadempimento delle obbligazioni ad essa facenti carico, in relazione all’insufficienza delle apparecchiature predisposte per affrontare prevedibili emergenze o complicazioni, ovvero al ritardo nel trasferimento del paziente presso un centro ospedaliero attrezzato“.
§ 2.3 Assenza di reparti o servizi essenziali
Particolarmente grave è la mancanza di interi reparti necessari per gestire le complicanze. Il Tribunale di Milano (09/01/1997) ha sancito la responsabilità per assenza di rianimazione in ospedale pediatrico che praticava chirurgia complessa.
Il principio della responsabilità per deficienza organizzativa è stato riaffermato dalla Cassazione (sent. n. 4905/2022), che ha confermato la condanna di una struttura sanitaria per non aver predisposto un’organizzazione idonea allo svolgimento corretto di un intervento su una paziente pediatrica, in assenza di reparto ortopedico infantile e di adeguate attrezzature specialistiche.
§ 2.4 Inefficienze nei percorsi e nei trasferimenti
I ritardi causati da disorganizzazione rappresentano una delle più gravi forme di responsabilità strutturale. Quando la macchina organizzativa si inceppa, minuti e ore possono fare la differenza tra la vita e la morte, tra il recupero completo e il danno permanente.
Il Tribunale di Firenze ha emesso due pronunce emblematiche che fotografano questa drammatica realtà. Nel settembre 2023, ha condannato un ospedale per un intervento di rimozione di ematoma cerebrale ritardato di 12 ore perché la sala operatoria era occupata. La paziente, colpita da ictus, ha riportato lesioni permanenti che si sarebbero potute evitare con un intervento tempestivo.
Ma è la sentenza dell’aprile 2025 a mostrare le conseguenze più tragiche dei ritardi organizzativi. Una donna di 54 anni con meningioma di 6 centimetri viene lasciata 82 ore al pronto soccorso. L’intervento, inizialmente programmato per il giorno successivo alla diagnosi, slitta prima al venerdì, poi al lunedì. Sei giorni di attesa per un tumore cerebrale che richiedeva un intervento urgente.
Il Tribunale di Firenze è categorico: si delinea una concatenazione di errori interpretativi del personale di entrambe le strutture sanitarie. La sentenza individua le responsabilità maggiori nella decisione dei neurochirurghi di eseguire il trasferimento della paziente a distanza di tre giorni per poi programmare l’intervento a distanza di sei giorni dalla diagnosi.
I periti sono ancora più netti: il differimento dell’intervento neurochirurgico non trova alcuna giustificazione. Se l’intervento fosse stato eseguito tempestivamente, la prognosi era da considerare certamente favorevole. Invece, il continuo rinvio del trasferimento e la mancata sorveglianza neurologica hanno determinato in modo egualitario l’esito infausto.
La paziente riporta danni cerebrali irreversibili, resta in coma per due anni e mezzo prima di morire. Careggi e l’ASL Toscana Centro sono state condannate in solido a risarcire oltre 1,1 milioni di euro ai familiari. Un risarcimento che non restituirà una vita, ma certifica la gravità della negligenza organizzativa.
Questi casi dimostrano come il tempo in medicina non sia una variabile neutrale ma un fattore terapeutico essenziale. Quando l’organizzazione ospedaliera non garantisce tempestività negli interventi urgenti – per carenza di sale operatorie, cattiva gestione dei trasferimenti, sottovalutazione delle priorità – commette una violazione gravissima del dovere di cura.
§ 3. Il regime probatorio nelle carenze organizzative
Quando un paziente decide di agire in giudizio per danni da carenze organizzative, si trova in una posizione processuale particolarmente favorevole. La natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria ribalta completamente l’onere della prova rispetto ad altre ipotesi di responsabilità medica.
Il paziente non deve dimostrare quale specifico errore sia stato commesso o quale protocollo sia stato violato. Gli basta provare tre elementi essenziali:
- L’esistenza del rapporto con la struttura,
- il danno subito,
- Il nesso causale tra la prestazione sanitaria e il pregiudizio.
Una volta assolto l’onere probatorio iniziale, l’art. 1218 c.c. pone a carico della struttura la dimostrazione che il danno deriva da causa non imputabile. Si tratta della cosiddetta “prova liberatoria”, particolarmente ardua quando il pregiudizio nasce proprio dall’organizzazione del servizio. Come può un ospedale sostenere che non gli è imputabile l’assenza di un reparto essenziale o il malfunzionamento di un’apparecchiatura vitale?
La giurisprudenza ha progressivamente ristretto gli spazi per questa prova liberatoria. Le difficoltà economiche o di reperimento del personale non costituiscono causa di esonero da responsabilità. La Cassazione ha stabilito che la struttura che offre determinati servizi deve garantirne l’erogazione in sicurezza, indipendentemente dai vincoli di bilancio o dalle criticità organizzative del sistema sanitario.
§ 3.1 La quantificazione del danno: criteri e peculiarità
Il risarcimento del danno da malasanità per carenze organizzative segue i criteri generali della responsabilità sanitaria, con alcune specificità che derivano dalla natura stessa del pregiudizio.
- Danno biologico: valutato secondo le tabelle milanesi, con personalizzazione per le conseguenze specifiche della disorganizzazione.
- Danno morale: particolarmente rilevante quando il paziente ha sofferto per ritardi evitabili, ha visto aggravarsi la propria condizione per carenze note.
- Danno da perdita di chance: quando la carenza ha impedito un tempestivo intervento.
- Danno differenziale: tra l’esito con organizzazione adeguata e quello verificatosi. Nel caso dell’ictus trattato in ritardo, la differenza tra recupero completo e invalidità permanente.
§ 4. L’impatto dell’aziendalizzazione e i criteri di valutazione
L’aziendalizzazione della sanità non attenua, ma aggrava la responsabilità. In conformità all’orientamento inaugurato dal Tribunale di Monza sin dal lontano 1995, la nuova tendenza all’aziendalizzazione impone che i rischi d’impresa siano sopportati da chi l’impresa esercita.
I criteri di economicità non possono prevalere sulla tutela della salute. Il parametro di valutazione resta sempre l’interesse del paziente, non l’equilibrio di bilancio. La struttura che riduce servizi essenziali per risparmiare assume consapevolmente il rischio dei danni conseguenti.