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Comunità Terapeutica per Minori – Presunti Abusi e Maltrattamenti

Assolti gli imputati difesi dall’Avv. Chiarini

L’avv. Giovanni Chiarini è stato incaricato di difendere un educatore dipendente da una Comunità Terapeutica dall’accusa di presunti abusi e maltrattamenti nei confronti di alcuni giovani ivi ospitati.

Il processo penale, celebratosi davanti al Tribunale di Chieti, si è concluso con l’assoluzione degli imputati perché il fatto non sussiste.

In estrema sintesi, è stata riconosciuta la fondatezza della tesi difensiva, secondo la quale i ragazzi in cura presso la Comunità, affetti da patologie molto gravi che spesso li portavano a scatti di violenza pericolosi per sé e per gli altri, necessitavano di cautele particolari, somministrazione di farmaci e/o rimedi di contenzione talvolta energici, a salvalguardia della loro stessa incolumità.

 

L’oggetto del procedimento penale

Persone offese nel processo erano alcuni giovani, all’epoca dei fatti minorenni, ospiti di una Comunità Terapeutica-Riabilitativa organizzata in Soc. Coop. Sociale a r.l. ONLUS, regolarmente autorizzata dall’Autorità Amministrativa, nell’ambito della quale operavano secondo le rispettive competenze medici, pschiatri, psicologi, sociologi, personale infermieristico, educatori ecc., ossia personale preparato per l’assolvimento dei propri compiti indicati in appositi mansionari.

La Comunità aveva finalità socio-educativa e terapeutica-riabilitativa nei confronti dei propri utenti, ossia di giovani minorenni a rischio di devianza e/o tossicodipendenza per problemi di natura psichiatrica, ovvero perché tendenti a delinquere, ovvero perché coinvolti in problematiche di ordine familiare, psicologico, materiale e socio-culturale in genere.

Giovani minorenni, di origine italiana o straniera, il cui affidamento alla struttura veniva disposto dai Tribunali per i Minorenni delle varie regioni d’Italia, dai servizi sociali dei comuni di residenza, dai servizi di neuropschiatria delle ASL territoriali e/o dal Ministero di Grazia e Giustizia.

Naturalmente gli affidamenti alla struttura venivano disposti dalle competenti autorità giudiziarie o amministrative dopo che ogni altro intervento meno invasivo si era rivelato inidoneo a contenere gli anomali comportamenti dei giovani minorenni, dovuti nella quasi generalità dei casi a turbe di natura psichica, che rendevano i giovani stessi anche pericolosi per se stessi e per gli altri.

Le condizioni psichiche seriamente turbate rendevano questi giovani anche oltremodo auto ed etero aggressivi, e quindi pericolosi per se stessi e per tutti coloro che con loro si trovavano ad interagire per qualsiasi motivo, così come chiaramente emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale (i testi avevano fatto riferimento a vari episodi di violenza posti in essere da questi giovani nei confronti di persone e cose).

Non per niente, tra gli interventi previsti per la salvaguardia di questi nostri giovani minori e di tutti coloro che si trovavano in contatto con loro, nei casi di crisi era previsto quale extrema ratio anche il contenimento coattivo e la somministrazione di medicinali calmanti, da eseguirsi naturalmente secondo gli appositi protocolli operativi e con l’intervento del personale medico ed infermieristico.

Le accuse si fondavano, essenzialmente, sulle stesse testimonianze di alcuni fra tali giovani.

 

L’elaborato peritale neuro-psichiatrico

Al fine di verificare la capacità a testimoniare dei giovani in questione, era stata chiesta ed esperita una perizia medica neuro-psichiatrica, che aveva – tra l’altro – richiamato la letteratura psichiatrica forense specificando che:

… la letteratura psichiatrica e criminologica è concorde nell’attribuire alla testimonianza di pazienti affetti da disturbi psichici un valore del tutto relativo, specie in riferimento a maltrattamenti e reati sessuali, a causa della presenza di bisogni di rivalsa o di vendetta, di richieste di attenzione e di affetto, di paura di punizioni, di copertura di altre persone e di elementi di tipo immaturo, di ideazione magica, di facile suggestionabilità d’incapacità o difficoltà di separare l’io dal non io, il soggettivo dall’obiettivo, l’accaduto dall’immaginario ecc. …

 

L’assenza di investigazioni audio-visive

Gli inquirenti non avevano ritenuto di fare ricorso a speciali strumenti tecnici e di ripresa audiovisiva, ampiamente disponibili alla polizia giudiziaria, che pur avrebbero potuto consentire di accertare senza ombra di dubbio se la Comunità Terapeutica-Riabilitativa fosse davvero quel “lager” che l’accusa riteneva, ovvero se tutto fosse da riferire a processi psichici distorti e/o fantasiosi dei soggetti coinvolti in qualità di persone offese.

Tale lacuna probatoria era stata vivamente stigmatizzata dalla difesa, e adeguatamente valorizzata dalla sentenza assolutoria.

 

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