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La responsabilità civile della madre

Omessa comunicazione all’altro genitore del concepimento: un danno ingiusto ex 2043 c.c.?

La responsabilità civile della madre

L’omessa comunicazione dell’avvenuto concepimento di un figlio è fonte di responsabilità? Per la sentenza n. 8459 del 5 maggio 2020 della Corte di Cassazione, quando ricorrono determinati presupposti, può arrecare un danno ingiusto e quindi integrare gli estremi di una responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.
Analizziamo il tema in questo approfondimento, prendendo spunto dal caso su cui si è espressa la Suprema Corte.


§ 1. La vicenda ed il mancato avviso al padre del concepimento di un figlio

Da un unico incontro tra Sempronia e Tizio, a cui non era seguìta una convivenza di fatto né una relazione di tipo sentimentale, fu concepito un figlio (Caio). La donna non informò il padre del concepimento né della nascita di Caio. Quest’ultimo, da grande, si rivolse al Tribunale per l’accertamento della paternità naturale nei confronti di Tizio, il quale a sua volta chiese, in via riconvenzionale, la condanna della madre al risarcimento danni per doloso occultamento della procreazione, con conseguente ingiusta privazione del rapporto padre-figlio.

Il Tribunale accolse la domanda proposta da Caio di accertamento della paternità e rigettò, invece, la domanda risarcitoria proposta da Tizio per l’omessa comunicazione del concepimento. Anche la Corte d’Appello di Venezia confermò la decisione del Tribunale, sostanzialmente sulla base del contegno processuale tenuto dal padre (il quale aveva sempre negato di aver avuto rapporti intimi con la madre del bambino, opponendosi ostinatamente al riconoscimento dello status filiationis).

§ 2. Omessa comunicazione del concepimento: la posizione della madre

Il ricorrente lamentava che la condotta della madre di Caio, diretta ad occultare l’esistenza del figlio, avrebbe pregiudicato il diritto di Tizio alla genitorialità, impedendogli di instaurare un rapporto educativo ed affettivo con il figlio.

Chiaramente, nel caso oggetto di giudizio si era fuori dall’ambito dei doveri tra i coniugi o tra i conviventi more uxorio, perciò non si poteva delineare una similitudine rispetto all’ipotesi una donna che inganni l’altro coniuge (o il convivente di fatto) sul suo rapporto di filiazione con il nascituro, non comunicandogli la gravidanza determinata dal concepimento con altra persona. Non vi era, infatti, alcun rapporto precostituito tra le parti che imponesse obblighi di informazione in tal senso.
Neppure veniva in rilievo la violazione del cd. “diritto alla bigenitorialità”, che invero è riferibile in via diretta al minore, e non al padre.

Ciò nondimeno, come rileva la Suprema Corte:

[…] la omessa informazione dell’avvenuto concepimento, da parte della donna, consapevole della paternità, pure in assenza di una specifica prescrizione normativa impositiva di tale obbligo di condotta […] può […] tradursi in una condotta non iure – ove non risulti giustificata da un oggettivo apprezzabile interesse del nascituro – in quanto in astratto suscettibile di determinare un pregiudizio all’interesse del padre naturale ad affermare la propria identità genitoriale, qualificabile come danno ingiusto, e che viene ad integrare, nel ricorso dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa, la fattispecie della responsabilità civile di cui all’art. 2043 c.c.“.

Cassazione, sez. III, 05/06/2020, n. 8459 del 5 maggio 2020

§ 3. Il diritto (ipotetico) del padre al risarcimento ex art. 2043 c.c. per l’omessa comunicazione del concepimento

Quello che viene in rilievo, a ben vedere, è il diritto all’identità personale del padre, ancorato agli artt. 2 e 30, comma 4, della Costituzione. La personalità di ogni individuo, infatti, si esplica anche nel senso della trasmissione del proprio patrimonio genetico e nell’aspetto relazionale della filiazione, inteso come scelta assunta dal genitore di dedicare il proprio impegno ad assistere il minore sin dalla nascita, ad aiutarlo a crescere, nonché ad instaurare con lui un rapporto conoscitivo ed affettivo.

Questo diritto, obiettivamente, può essere leso dalla condotta di doloso occultamento della procreazione, che la madre decida di tenere senza che ciò risponda ad alcun apprezzabile interesse del nascituro. Pertanto, in linea teorica, deve essere riconosciuto il diritto del padre al risarcimento del danno sofferto in conseguenza di tale violazione.

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§ 4. La soluzione della Suprema Corte: nessuna responsabilità per il doloso occultamento in assenza di una lesione del diritto all’identità genitoriale

Sennonché, nel caso oggetto di giudizio, il danno era stato reclamato non in relazione alla lesione del diritto alla identità personale del padre. Esso, invece, era stato ricondotto all’effetto pregiudizievole conseguente al ritardato accertamento dello status filiationis e, oltretutto, non era stato debitamente provato.

In realtà, Tizio aveva sempre negato di essere il padre naturale del bambino e si era opposto al riconoscimento, così implicitamente dimostrando di non avere alcuna intenzione di realizzare una asserita aspirazione alla genitorialità. Pertanto, la sua domanda risarcitoria è stata (giustamente) disattesa.

Resta comunque fermo il principio generale affermato dalla Corte, per la quale è ammissibile il risarcimento dei danni derivanti dalla omessa comunicazione del concepimento , purché il padre alleghi adeguatamente – e provi rigorosamente – i contorni della lesione arrecata al proprio diritto all’identità genitoriale.

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