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Indennità Sostitutiva del Preavviso – Prescrizione

Il preavviso e l’indennità sostitutiva: vittoria giudiziale per la S.r.l. assistita dallo Studio

Lo Studio ha assistito con successo una S.r.l. in una vertenza di lavoro, nella quale alcuni ex dipendenti rivendicavano somme assertivamente dovute a titolo di indennità sostitutiva del preavviso all’esito della cessazione del rapporto di lavoro. Il Tribunale ha accolto l’eccezione preliminare di prescrizione sollevata dalla sifesa della Società, assistita dagli Avv.ti Andrea Sisti e Gabriele Chiarini. Le domande avanzate dai lavoratori sono state, dunque, integralmente rigettate per l’accertata prescrizione dei relativi diritti. I dipendenti sono stati altresì condannati alla rifusione delle spese in favore della ex datrice di lavoro.

Cogliamo allora l’occasione per approfondire il tema del preavviso di licenziamento o dimissioni e dell’indennità sostitutiva del medesimo, trattando anche i profili della rinuncia e della prescrizione.


INDICE SOMMARIO


§ 1. Il preavviso di licenziamento e di dimissioni

Il datore di lavoro, in caso di licenziamento per giustificato motivo (oggettivo o soggettivo), e il lavoratore dipendente, in caso di dimissioni, se il rapporto di lavoro è a tempo indeterminato, devono riconoscere all’altra parte un periodo di preavviso, la cui durata è determinata dalla contrattazione collettiva, in funzione dell’anzianità di servizio e del livello di inquadramento del dipendente.

Mentre il dipendente, di regola, può dimettersi liberamente, senza dover rispettare alcun altro obbligo oltre al preavviso, il datore di lavoro può licenziare – con preavviso – il dipendente solo se ricorra un giustificato motivo oggettivo (ragione economica o organizzativa) o soggettivo (un grave inadempimento del dipendente).

Il preavviso non è dovuto, invece, in caso di licenziamento o di dimissioni per giusta causa, vale a dire, ai sensi dell’art. 2119 c.c., una causa che, per la sua particolare gravità (ad es. il reiterato mancato pagamento della retribuzione da parte del datore di lavoro o il comportamento infedele del dipendente), non consenta la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto, neppure – appunto – per la durata del periodo di preavviso. In tali casi, il rapporto si interrompe in tronco.

§ 2. L’indennità sostitutiva del preavviso

Come la giurisprudenza ha recentemente chiarito, variando il proprio precedente orientamento, il preavviso ha natura obbligatoria e non reale: in altre parole, la parte recedente può scegliere di porre immediatamente fine al rapporto di lavoro, senza garantire alla controparte un periodo di preavviso c.d. lavorato, con l’unica conseguenza di doverle corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso.

Pertanto, il rapporto, in tali casi, si interrompe, immediatamente, al momento di ricevimento della comunicazione di recesso, ed eventi successivi – come, ad es., l’insorgere della malattia del dipendente – non producono alcun effetto (Cassazione civile sez. VI, 26/10/2018, n. 27294).

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§ 3. La rinuncia al preavviso

Il preavviso è previsto in favore della parte non recedente e la sua finalità è quella di consentire al dipendente, che sia stato licenziato, di reperire un’altra occupazione e al datore di lavoro, che abbia ricevuto le dimissioni, di ricercare un sostituto del dimissionario.

Ne discende che la parte non recedente, che abbia ricevuto il preavviso di licenziamento o di dimissioni, può rinunciarvi, in tutto o in parte, anticipando la cessazione del rapporto (rispetto al regolare decorso del periodo di preavviso c.d. lavorato).

La rinuncia può essere anche tacita, ad esempio accettando altra proposta di lavoro ed interrompendo la prestazione, altrimenti dovuta, nel periodo di preavviso residuo.

§ 4. La prescrizione dell’indennità sostitutiva del preavviso

La sentenza resa in favore del Cliente dello Studio ha accolto l’eccezione di prescrizione dell’indennità sostitutiva del preavviso, rigettando il ricorso della controparte.

In particolare, l’indennità sostitutiva del preavviso si prescrive in 5 anni, ai sensi dell’art. 2948, comma 1, n. 5), c.c.

Come mette in luce la sentenza, il termine di prescrizione può essere validamente interrotto da una richiesta di pagamento, che può essere contenuta in una diffida ad adempiere oppure, come nel caso di specie, anche dalla sottoscrizione del verbale di mancata conciliazione, dinanzi all’Ispettorato del Lavoro, nel quale il lavoratore insista nella propria richiesta.
Una volta interrotto, il termine di prescrizione torna a decorrere ex novo ed il giudizio deve essere avviato entro i successivi cinque anni, perché l’indennità sostitutiva del preavviso non sia prescritta.

Poiché nel processo del lavoro, il ricorso – che introduce la lite – deve essere dapprima depositato in Cancelleria e, poi, notificato alla controparte (unitamente al decreto di fissazione di udienza), è solo la notifica del ricorso, e non il precedente deposito, l’atto idoneo ad interrompere validamente la prescrizione, perché solo in tal modo la richiesta giunge nella sfera di conoscenza del destinatario.
Pertanto, nel caso in esame, il Giudice ha rilevato che tra il verbale di mancata conciliazione e la notifica del ricorso fossero trascorsi oltre cinque anni, con conseguente prescrizione del diritto fatto valere.

§ 5. Quando la notifica del ricorso interrompe la prescrizione

Da segnalare l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’atto interruttivo della prescrizione, anche se si tratti di un atto giudiziale (come appunto un ricorso), non soggiace alla regola per cui gli effetti dell’atto (in questo caso l’interruzione della prescrizione) si compiono, per il notificante, con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, senza dover attendere il completamento della notifica, con la consegna al destinatario (o atto equivalente alla consegna, come ad es. il mancato ritiro dell’atto depositato in giacenza).

Infatti, tale regola si applica solo se il diritto non possa essere fatto valere altrimenti che con un atto processuale. Ciò – peraltro – non si verifica in relazione alla interruzione della prescrizione la quale bene può essere interrotta – e lo è nella grande maggioranza dei casi – con atti di natura sostanziale, per i quali rimane ferma la natura recettizia, per cui l’effetto interruttivo si può considerare raggiunto solo quando l’atto è pervenuto nella sfera di conoscenza del destinatario (Cassazione civile sez. III, 10/01/2019, n. 461; Cassazione civile sez. VI, 12/02/2020, n. 3346).

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