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Cessione del Quinto dello Stipendio

Quinto dello Stipendio: Cessione e Delegazione di Pagamento – Come comportarsi?

Cessione del Quinto e Delega di Pagamento

Capita sempre più spesso, alle Aziende private, di vedersi notificare atti di cessione del quinto dello stipendio o di delega di pagamento. Si tratta di operazioni poste in essere da lavoratori subordinati, generalmente dotati di una affidabilità creditizia limitata, per poter accedere alla concessione di un prestito da parte di banche e/o società finanziarie. Peraltro, l’istruttoria preliminare alla erogazione di questo tipo di finanziamenti è piuttosto complessa, con la conseguenza che il prestito risulta solitamente molto oneroso.

Ad ogni modo, queste operazioni sono realizzate al fine di “rafforzare” la posizione del creditore. Infatti, ancorché non vengano rilasciate garanzie in senso tecnico, le particolari modalità di rimborso delle rate (versate direttamente dall’Azienda datrice di lavoro, previa trattenuta dalla retribuzione del dipendente) consentono al soggetto finanziatore di fare ragionevole affidamento sulla restituzione delle somme date a mutuo. Nella sua attività istituzionale di vigilanza, la Banca d’Italia ha il compito di contrastare i comportamenti inadeguati degli operatori e di promuovere la correttezza nei confronti dei clienti.

Quasi sempre, le società erogatrici del finanziamento chiedono alle Aziende la sottoscrizione di un “atto di benestare” o di una dichiarazione – comunque denominata – di sostanziale accettazione dell’operazione di cessione del quinto e/o di delega di pagamento. Vediamo allora, in questa breve guida, quali sono le regole che le Aziende private dovrebbero tenere presenti per non sbagliare e per non correre rischi.


INDICE SOMMARIO | cessione vs delega


§ 1. La cessione del quinto dello stipendio

La cessione del quinto dello stipendio è una operazione disciplinata dal D.P.R. 05/01/1950, n. 180 (“Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche Amministrazioni“), e dal successivo regolamento attuativo contenuto nel D.P.R. 28/07/1950, n. 895 (“Approvazione del nuovo regolamento per l’esecuzione del nuovo testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche Amministrazioni“).

Inizialmente prevista per i soli lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche, la disciplina è stata progressivamente estesa al comparto privato. Oggigiorno, dunque, qualsiasi lavoratore subordinato (o anche para-subordinato) che eserciti continuativamente la propria attività in favore di una Azienda privata può chiedere un prestito, cedendo contestualmente una quota della propria retribuzione futura, purché essa abbia carattere certo ed il rapporto sia destinato a durare per almeno 12 mensilità.

In sostanza, la cessione del quinto consiste in questo:

  1. viene concesso un finanziamento (id est: un mutuo) in favore del dipendente;
  2. il dipendente assume, quindi, l’obbligo di restituire le somme ricevute in ratei mensili costanti;
  3. al momento dell’erogazione, il dipendente cede al mutuante (l’intermediario finanziario che ha concesso il prestito) una quota pari a un quinto della sua retribuzione futura;
  4. la cessione viene notificata al datore di lavoro (ai sensi e per gli effetti dell’art. 1264 c.c., secondo cui “la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata“);
  5. di conseguenza, l’Azienda datrice di lavoro è tenuta ad effettuare le trattenute del quinto sulla busta paga del dipendente, versando i ratei mensili dovuti direttamente alla società finanziaria sino alla definitiva estinzione del debito (sempre che il rapporto di lavoro permanga in essere).

Per questo si usa dire, benché impropriamente, che il datore di lavoro “è obbligato ad accettare la cessione del quinto”. In realtà, l’atto di cessione del quinto è perfezionato con il mero accordo tra il dipendente e il terzo creditore, non essendo necessario alcun consenso del datore di lavoro ceduto, il quale – quindi – non può che prendere atto dell’avvenuta cessione e darvi corso.

§ 2. La sorte del trattamento di fine rapporto (T.F.R.). in caso di cessione del quinto

Se in corso di finanziamento il rapporto di lavoro si interrompe o cessa, per qualsiasi causa, la normativa prevede alcune garanzie in favore dell’ente erogatore.

In particolare, per il combinato disposto degli artt. 43 e 55 D.P.R. 180/1950, l’impresa datrice di lavoro – in caso di interruzione definitiva del rapporto di lavoro – dovrà trattenere l’importo necessario per l’estinzione del finanziamento dalle somme che, a qualunque titolo e sotto qualsiasi denominazione (non escluse le erogazioni di liberalità, il trattamento di fine rapporto, le indennità di buona uscita e di premio di fine servizio), spettino al lavoratore.

Conseguentemente non è possibile concedere al lavoratore alcuna anticipazione sulle predette somme.

§ 3. La delegazione di pagamento

La delegazione è un istituto previsto, in linea generale, dagli artt. 1268 e seguenti del codice civile. In particolare, si usa distinguere la delegazione di pagamento (delegatio solvendi) dalla delegazione di debito (delegatio promittendi), nel senso che:

  • nella prima (delegatio solvendi), il debitore delega un terzo “per eseguire il pagamento” (art. 1269 c.c.);
  • nella seconda (delegatio promittendi), “il debitore assegna al creditore un nuovo debitore“, il quale assume l’obbligo di pagare il debito (art. 1268 c.c.).

Utilizzando questo strumento (in termini di delegatio solvendi), anch’esso contestuale all’erogazione di un finanziamento, il lavoratore (creditore delegante) può delegare – ovverosia: incaricare – il proprio datore di lavoro (terzo delegato) affinché effettui il pagamento dei ratei mensili del prestito in favore della società finanziaria (creditore delegatario). La delegazione di pagamento può cumularsi alla cessione del quinto  e può, anch’essa, prevedere una rata di importo massimo pari a un ulteriore quinto dello stipendio (di qui la definizione tralatizia, ma inesatta, di “doppio quinto“).

Si nota subito che questa operazione, diversamente dalla cessione del quinto, configura una fattispecie trilaterale. Per perfezionare l’accordo, dunque, è necessario il consenso di tutte le parti, inclusa l’Azienda presso cui il lavoratore è impiegato.

Per tale motivo, si usa affermare che il datore di lavoro “può rifiutare la delegazione di pagamento”, non essendo obbligato a darvi seguito se non in caso di sua accettazione espressa o di precedente convenzione con l’ente finanziatore. L’art. 1269, comma 2, c.c., stabilisce infatti che “Il terzo delegato per eseguire il pagamento non è tenuto ad accettare l’incarico, ancorché sia debitore del delegante“.

Di regola, poi, il datore di lavoro percepisce una indennità per l’esecuzione della delega di pagamento (qualora accetti l’incarico), destinata a compensare gli oneri amministrativi conseguenti alla relativa gestione.

§ 4. Aziende private: come comportarsi di fronte alla richiesta di un “atto di benestare” da parte del finanziatore?

Come accennavamo poc’anzi, secondo la normativa vigente – vale a dire: la disciplina speciale di cui al D.P.R. n. 180 del 1950, integrata dalle disposizioni generali degli artt. 1260 e seguenti del codice civile – la cessione del quinto dello stipendio è valida fin dal momento della stipulazione tra le parti (lavoratore e società finanziaria) ed acquista efficacia nei confronti del debitore ceduto (il datore di lavoro) al momento della notifica.

E’ allora obbligatorio per l’Azienda firmare il cd. “atto di benestare”, o analoga dichiarazione comunque denominata? Assolutamente no!

L’atto di benestare, che in termini giuridici configura una “accettazione pura e semplice” della cessione, viene generalmente richiesto dagli intermediari finanziari per mera “tranquillità” o, più correttamente, per formalizzare (e spesso inasprire, a seconda del testo negoziale predisposto) le obbligazioni delle Aziende nei loro confronti. In particolare, ad esempio, ricordiamo che – a mente dell’art. 1248, comma 1, c.c. – il debitore ceduto (datore di lavoro), che abbia accettato puramente e semplicemente la cessione, non può opporre al cessionario (società finanziaria) la compensazione che avrebbe potuto eccepire nei confronti del cedente (lavoratore).

Cessione del Quinto - Atto di Benestare
Modello di un “Atto di benestare” generalmente richiesto dagli intermediari finanziari

Nella nostra esperienza di assistenza alle Aziende private, dunque, tendiamo sempre a sconsigliare – salvo specifiche ed eccezionali ragioni da valutare caso per caso – di sottoscrivere qualsiasi atto di benestare e/o di accettazione dell’intervenuta cessione. La firma di dichiarazioni di questo genere, infatti, non è prevista come obbligatoria da alcuna disposizione normativa, pertanto è preferibile adottare una politica aziendale che ne escluda la sottoscrizione.

In alternativa, è possibile prendere in considerazione l’ipotesi di emettere un proprio atto di “presa visione” della cessione, sostitutivo rispetto all’atto di benestare richiesto dagli intermediari finanziari, che non determina le conseguenze pregiudizievoli di quest’ultimo e conserva integre le ragioni del datore di lavoro.
(Qui mettiamo a disposizione un esempio di dichiarazione di presa visione, sostitutiva dell’atto di benestare).

§ 5. Come procedere dopo la ricezione della notifica della cessione

Ad ogni modo, ricevuta la notifica della cessione del quinto, l’Azienda privata dovrà procedere a:

  • effettuare le trattenute sulla retribuzione, nel limite di legge e nella misura prevista dal contratto;
  • versare le somme trattenute direttamente all’ente erogatore del finanziamento, con la tempistica (generalmente mensile) prevista dalla normativa e dalla contrattazione collettiva applicabile al rapporto di lavoro;
  • tenere informato l’ente erogatore qualora si verificassero eventi tali da comportare una sospensione, una riduzione, o una definitiva estinzione dell’obbligo di corrispondere la retribuzione al dipendente;
  • in caso di cessazione del rapporto di lavoro, sospendere il pagamento del trattamento e delle altre spettanze di fine rapporto, che dovranno essere parimenti versate all’ente erogatore, nei limiti dell’importo del debito residuo a carico del dipendente.

§ 6. Il prestito contro cessione del quinto dopo la sentenza “Lexitor”

Da ultimo, dobbiamo dare atto degli effetti che la sentenza “Lexitor” (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza dell’11/09/2019, nella causa C-383/18) ha prodotto sui contratti di credito al consumo, inclusi quelli accompagnati da cessione del quinto o delega di pagamento. Come noto, la Corte ha stabilito che:

“L’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore“.

CGUE, Sentenza 2019/C 383/30

Le pronunce della giurisprudenza di merito stanno univocamente affermando che, atteso il dovere di interpretare le norme nazionali in modo conforme al diritto europeo, nel caso di estinzione anticipata del contratto di prestito contro cessione del quinto, il consumatore ha diritto alla restituzione di tutti gli oneri connessi alla erogazione del credito, senza alcuna esclusione (naturalmente in proporzione alla durata residua del rapporto). Dovranno essere quindi rimborsati dall’ente erogatore, pro quota, tutti i (rilevanti) costi cd. upfront che il consumatore abbia sostenuto per accedere al credito, incluse “spese e commissioni” a vario titolo denominate: di istruttoria, attivazione, gestione, intermediazione, ecc.

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