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Avv. Andrea Sisti - Rapporto di lavoro & obbligo vaccinale la saga continua

Rapporto di lavoro & violazione dell’obbligo vaccinale: la saga continua

Ancora sulle conseguenze per il lavoratore (operatore sociosanitario) in caso di violazione dell’obbligo di vaccinarsi

Nuova puntata della vicenda delle operatrici sociosanitarie, che si erano rifiutate di vaccinarsi contro il rischio d’infezione da Covid-19, contestando la scelta del proprio datore di lavoro di collocarle in ferie, in ragione di tale rifiuto. Il Tribunale di Belluno conferma il proprio orientamento contrario alle pretese delle lavoratrici, aggiungendo alcune interessanti riflessioni a proposito dell’obbligo vaccinale che, medio tempore, è entrato in vigore per tutti gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori del comparto sanitario.


INDICE SOMMARIO


§ 1. Violazione dell’obbligo vaccinale: il caso deciso dal Tribunale di Belluno

Con ordinanza cautelare del 19.3.2021, commentata qui, il Tribunale di Belluno aveva respinto la loro domanda di essere riammesse in servizio – d’urgenza – nonostante la mancata vaccinazione.

Il Tribunale aveva rilevato che la condotta del datore di lavoro fosse legittima, in adempimento del suo obbligo di garantire la sicurezza dei dipendenti; inoltre, mancava il pericolo – per le lavoratrici – di subire un grave ed irreparabile danno, nelle more del giudizio ordinario, presupposto indefettibile per poter accedere alla tutela d’urgenza. Le dipendenti, infatti, erano state collocate in ferie, ma erano regolarmente retribuite.

Le o.s.s. si sono opposte a tale decisione, proponendo reclamo avverso la predetta ordinanza ed insistendo per l’accoglimento delle proprie istanze cautelari.

Il Tribunale di Belluno, con ordinanza del 6.5.2021, ha respinto il reclamo, accogliendo nuovamente le ragioni del datore di lavoro.

§ 2. Obbligo di vaccinazione per il personale sanitario (D.L. 44/2021)

Già precedentemente alla proposizione del reclamo (depositato il 6.4.2021) era, peraltro, entrata in vigore (l’1.4.2021) la disposizione di cui all’art. 4 D.L. 44/2021 (cd. “Decreto Aprile“), poi convertito dalla legge n. 76 del 28.5.2021.

Tale norma prevede l’obbligo di vaccinazione in capo “agli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario (…) che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali”.

La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati”.

In caso di mancata vaccinazione,

“il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate (…), con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione (…) non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato”.

Art. 4, comma 8, D.L. 44/2021

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§ 3. L’interesse ad agire in giudizio da parte delle autrici della violazione dell’obbligo vaccinale

Le lavoratrici ricorrenti ricadevano nel menzionato obbligo di vaccinazione, che era già vigente all’epoca della proposizione e decisione del reclamo.

Pertanto, ormai, la legge chiaramente escludeva che potessero essere riammesse in servizio, in difetto di vaccinazione. Tale circostanza sopravvenuta era pacificamente ammessa dalle ricorrenti, per cui non vi era controversia sul punto.

Il Giudice del reclamo si limitava, dunque, a rilevare la carenza di “interesse” all’azione da parte delle lavoratrici.

Infatti, per poter agire in giudizio, occorre – tra l’altro – avere un interesse concreto al conseguimento di un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice.

Non è possibile, nel nostro ordinamento, rivolgersi al giudice in difetto di tale interesse, richiedendo un mero “parere” dell’autorità giudiziaria, che non apporti alcuna utilità concreta al richiedente.

Nel caso di specie, residuava l’interesse delle o.s.s. ad accertare l’illegittimità della condotta datoriale, per il periodo precedente all’entrata in vigore dell’obbligo vaccinale. Tuttavia, tale interesse (ad ottenere, semmai, un risarcimento danni) potrà continuare ad essere fatto valere solo nel giudizio ordinario.

Invece, in sede cautelare, come detto, non era comunque conseguibile il risultato della immediata riammissione in servizio.

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§ 4. La legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale

Peraltro, il motivo di maggiore interesse della pronuncia del Tribunale di Belluno è dato dall’affermazione della legittimità costituzionale dell’obbligo di vaccinarsi, imposto per legge al personale sanitario.

Sul punto, occorre precisare che la competenza a decidere sulla legittimità costituzionale di una legge spetta, istituzionalmente, alla Corte Costituzionale; il Giudice ordinario opera una sorta di filtro, rimettendo alla Corte solamente le questioni di legittimità costituzionale che non siano, secondo il suo apprezzamento, manifestamente infondate.

Pertanto, nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che la questione di legittimità costituzionale – posta dalle ricorrenti – fosse manifestamente infondata e, per tale ragione, non ne ha investito la Corte Costituzionale.

La soluzione prospettata dal Collegio – che richiama alcuni precedenti della Corte Costituzionale, in particolare in tema di obbligatorietà del vaccino contro il morbillo – è nel senso di ritenere legittima la previsione dell’obbligo vaccinale, a tutela della salute della collettività:

“dovendosi ritenere prevalente, sulla libertà di chi non intenda sottoporsi alla vaccinazione contro il COVID-19, il diritto alla salute dei soggetti fragili, che entrano in contatto con gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario in quanto bisognosi di cure, e, più in generale, il diritto alla salute della collettività, nell’ambito della perdurante emergenza sanitaria, derivante dalla pandemia da COVID-19. Con la sentenza n. 5 del 2018 la Corte Costituzionale si è invero già pronunciata in merito alla legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale contro il morbillo, affermando, in motivazione, che “la giurisprudenza di questa Corte in materia di vaccinazioni è salda nell’affermare che l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività (da ultimo sentenza n. 268 del 2017)”; ancora, si legge in motivazione che “la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost., laddove il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990)”.

Tribunale di Belluno, ordinanza 6.5.2021

§ 5. Conclusioni: quali prospettive per i lavoratori non soggetti all’obbligo vaccinale?

L’esito della controversia decisa dalla pronuncia in commento era, tutto sommato, abbastanza scontato.

Rimane, invece, l’incertezza sulla legittimità di provvedimenti datoriali, come quelli della sospensione senza retribuzione, oppure l’adibizione a mansioni inferiori, che fossero adottati nei confronti della generalità degli altri dipendenti, non rientranti nell’ambito di applicazione dell’obbligo vaccinale.

Infatti, se da un lato si tratta di misure, a questo punto, tipizzate dal legislatore, dall’altro lato esse sono rivolte solo ai lavoratori obbligati a vaccinarsi per legge.

Si potrebbe sostenere, anzi, che in mancanza dell’obbligo di vaccinarsi, il datore di lavoro non possa adottare tali misure, previste da una norma eccezionale, non suscettibile di interpretazione analogica. Altrimenti, le conseguenze della mancata vaccinazione finirebbero con l’essere le stesse per tutti i lavoratori e tale conclusione non sarebbe coerente con la previsione normativa, di un differente regime per gli operatori sanitari (obbligati a vaccinarsi) e per la generalità degli altri dipendenti, nei confronti dei quali il legislatore ha optato per la non obbligatorietà del trattamento.

In ogni caso, la normativa in commento esclude che possa essere licenziato (o sanzionato) il dipendente che si sia sottratto al vaccino, pur essendovi obbligato. Si deve dunque ritenere che – tanto meno – possa considerarsi legittimo il licenziamento (o altro provvedimento disciplinare), motivato dal rifiuto di vaccinarsi o – comunque – da una oggettiva impossibilità della prestazione, verso un dipendente che non sia obbligato a vaccinarsi.

Tra l’altro, l’obbligo di vaccinazione del personale sanitario, così come i relativi riflessi sullo svolgimento del rapporto di lavoro, sono previsti solamente in via temporanea, non oltre il 31/12/2021.

Ciò pare escludere, pertanto, che il datore di lavoro possa adottare, nei confronti del personale dipendente che non intenda vaccinarsi (obbligato o meno), provvedimenti che incidano in maniera definitiva sulle sorti del rapporto di lavoro.

Per scaricare l’ordinanza 06/05/2021 del Tribunale di Belluno

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