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Inadempimento dei Doveri Genitoriali – Condanna al Risarcimento in Favore del Figlio

Doveri dei genitori e responsabilità per la loro violazione

Lo Studio ha patrocinato con successo un procedimento davanti al Tribunale dei Minorenni di Ancona, che ha condannato un genitore al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale in favore della figlia, verso la quale questi era rimasto inadempiente ai doveri genitoriali di natura non patrimoniale.

 

La vicenda oggetto di causa

L’attrice A.A. aveva intrattenuto una importante e duratura storia sentimentale con il convenuto dottor Z.Z., divorziato e già padre di tre figli avuti nel precedente matrimonio.

A.A. e Z.Z. avevano altresì deciso di intraprendere una convivenza more uxorio e, subito dopo, di mettere al mondo un figlio.

Poiché, in un primo momento, il progetto di divenire genitori non riusciva a concretizzarsi, Z.Z. fece eseguire alla signora A.A. visite specialistiche presso un ginecologo di sua fiducia, al fine di verificare ed eventualmente superare eventuali problemi di carattere medico per la fecondazione.

Nel contempo, Z.Z. esprimeva costantemente alla signora A.A. che era sua intenzione unirsi in matrimonio a lei, ma che prima voleva ottenere l’annullamento del matrimonio con la precedente moglie. Alle parole erano inoltre seguiti i fatti, in quanto la coppia si era recata a Roma da un avvocato sacrarotista per avviare la pratica di annullamento.

La gravidanza della signora A.A. si era alla fine realizzata; la stessa era stata però caratterizzata da svariate problematiche di natura medica, con ripetuti rischi di aborto, e, ciò che è ancor più grave, aveva segnato l’inizio di una crisi del rapporto affettivo, poiché i figli del dottor Z.Z. avevano sin da principio dimostrato di non accettare una nuova sorella ed avevano conseguentemente osteggiato in ogni modo la relazione tra il padre e la signora A.A.

Il dottor Z.Z. con ogni probabilità condizionato dall’atteggiamento dei propri figli, aveva così progressivamente iniziato a disinteressarsi della compagna e della sua gravidanza, tanto da costringerla (anche al fine di evitare situazioni di ostilità che avrebbero inciso negativamente sul suo stato di salute) a decidere di ritornare presso la propria madre per trascorrere in tranquillità gli ultimi mesi prima del parto.

 

La nascita della bambina

La piccola F. era così nata ed il padre non si era neppure recato in clinica per assistere all’evento o comunque vederla subito dopo la nascita.

Nondimeno, il dottor Z.Z. aveva riconosciuto la bambina ed aveva successivamente richiesto che la stessa assumesse il suo cognome.

Anche dopo il riconoscimento, il dottor Z.Z. si era sempre disinteressato della bambina ed aveva tenuto una condotta palesemente contraria ai doveri che su di lui incombevano ex art. 261 c.c. (oggi art. 315 bis c.c.).

In relazione al mantenimento della bambina, la madre A.A. si era vista costretta a ricorrere al Tribunale competente al fine di ottenere il riconoscimento del diritto ad un assegno per F., in quanto in precedenza il dott. Z.Z. (dirigente medico e libero professionista, proprietario di consistenti cespiti patrimoniali produttivi di reddito) aveva omesso qualsiasi forma di contribuzione per la cura ed il sostentamento della bambina.

 

L’ostinato rifiuto del rapporto di filiazione da parte del padre

Ma il disinteresse del dottor Z.Z. nei confronti della bambina non si era manifestato solo sul versante economico: egli infatti ometteva di osservare i propri doveri di padre anche e soprattutto sotto il profilo dell’assistenza spirituale e materiale (intesa come costante presenza nella vita della bambina e partecipazione nella sua educazione e cura), tanto che la piccola F. si trovava (non certo per sua colpa) a non sapere in cosa consistesse il ruolo della figura paterna, della quale peraltro (specie da quando frequentava l’asilo, che la poneva a contatto con altri coetanei che potevano contare su entrambi i genitori) sentiva una estrema mancanza.

Di più: in altro procedimento dinanzi allo stesso Tribunale dei Minorenni di Ancona, il dottor Z.Z. aveva formalmente ribadito di non avere alcun “desiderio” né “opportunità di instaurare qualsivoglia contatto” con la bambina, essenzialmente sulla scorta della motivazione che la stessa sarebbe stato null’altro che il frutto di un “errore”.

La totale assenza della figura paterna nella vita della piccola F. aveva determinato gravissimi disagi per la signora A.A., la quale era stata costretta ad affrontare da sola tutte le problematiche connesse alla nascita ed alla crescita della bambina, trascurando così necessariamente la propria attività lavorativa di libera professionista.

Al contrario il dott. Z.Z. aveva negli ultimi anni goduto di notevoli avanzamenti di carriera e, da ultimo, di lasciti ereditari di grande rilievo, tanto che il suo tenore di vita risultava sicuramente superiore alla media, considerate sia le entrate derivanti dalla sua attività di dirigente, da quella di libero professionista e da quella di perito di numerosi uffici giudiziari, sia i redditi percepiti dai cespiti di cui era  proprietario e da quelli ereditati.

 

La violazione dei doveri genitoriali

Non vi è dubbio che il Z.Z. stesse tenendo un comportamento inadempiente rispetto ai doveri che su di lui incombevano in virtù del riconoscimento.

Infatti, al genitore che ha riconosciuto il figlio naturale spetta la potestà (oggi “responsabilità genitoriale”) sullo stesso, e ciò significa che il primo assume il diritto-dovere di provvedere non solo al mantenimento del bambino sotto il profilo economico, ma anche e soprattutto alla sua educazione, istruzione, sorveglianza, custodia. Ciò comporta, ovviamente, che tra minore e genitore debbano esistere momenti di convivenza, necessaria affinché la potestà possa esplicarsi legittimamente nell’interesse di entrambi.

L’art. 30 della Costituzione sancisce – prima del diritto – il dovere dei genitori di “istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”, a dimostrazione della preminente cogenza della componente obbligatoria della responsabilità genitoriale.

Il ruolo del genitore, invero, non deve caratterizzarsi tanto per i diritti che allo stesso competono, quanto per i doveri e le responsabilità che su di lui incombono per la piena realizzazione degli interessi della prole. In ciò consiste la funzione sociale della genitorialità.

Deve quindi ritenersi che, anche indipendentemente dalla configurabilità del reato di cui all’art. 570 c.p., nei confronti del genitore che si sottragga volontariamente agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà sia in ogni caso configurabile un illecito civile, che trova per l’appunto il suo fondamento nella consapevole violazione degli obblighi prescritti dalla legge.

 

I danni derivanti dall’inadempimento dei doveri genitoriali

I danni che conseguono a tale illecito si ripercuotevano in primo luogo sulla sfera giuridica della piccola F., che vedeva frustrate le sue legittime aspettative di figlia dal pervicace rifiuto del dott. Z.Z. del proprio ruolo di padre; in secondo luogo, anche sulla sfera giuridica della signora A.A., la quale, sempre a causa del comportamento illecito del dott. Z.Z., si trovava a dover affrontare da sola tutte le responsabilità connesse alla crescita di una figlia che, nel progetto iniziale di vita ideato dalle parti in causa, avrebbero dovuto essere condivise. Il tutto con inevitabili ripercussioni sia di ordine patrimoniale sulla sua attività lavorativa che di ordine personale sulla sua vita di relazione.

D’altra, parte, il problema della configurabilità di una responsabilità aquiliana anche nell’ambito dei rapporti familiari, ha ricevuto da tempo risposta affermativa da parte della Suprema Corte (si veda da ultimo Cass. Civ. n. 9801 del 2005), per cui non sussiste più dubbio alcuno in merito al fatto che, allorché la violazione di obblighi familiari determini lesione di diritti fondamentali della persona (come è certamente avvenuto nel caso che ci occupa), il comportamento assume rilevanza altresì come fatto generatore di responsabilità aquiliana; con la conseguenza che il responsabile sarà tenuto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali (morale, biologico, esistenziale etc.) arrecati.

Proprio in relazione ad un caso simile al presente, Cass. Civ. n. 7713/2000 aveva confermato la decisione di merito che aveva riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, liquidato in via equitativa, del figlio naturale in conseguenza della condotta del genitore che per anni aveva ostinatamente rifiutato di adempiere i propri doveri, precisando che l’art. 2043 c.c., correlato agli artt. 2 e ss. cost., va necessariamente esteso fino a ricomprendere il risarcimento non solo dei danni in senso stretto patrimoniali ma di tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana.

 

La decisione del Tribunale per i Minorenni

Nell’accogliere la domanda presentata dallo Studio Legale Chiarini, il Tribunale ha – tra l’altro – elevato l’assegno di mantenimento della figlia minore, e soprattutto:

  • condannato il dottor Z.Z. al risarcimento dei dei danni patrimoniali e non patrimoniali arrecati alla piccola F., nonché
  • condannato il dottor Z.Z. al risarcimento dei dei danni patrimoniali arrecati alla madre A.A,

in misura da determinare sulla base delle ulteriori acquisizioni istruttorie disposte.

 

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