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Tribunale Pescara Studio Legale Chiarini

Indebita Percezione di Erogazioni a Danno dello Stato (art. 316 ter c.p.) – Assoluzione per Mancanza di Dolo

False Dichiarazioni ai fini dell’Erogazione di Contributi Pubblici

Il Fatto e l’imputazione ex art. 316 ter c.p.

Tizio veniva sottoposto a procedimento penale ed imputato del reato di cui all’art. 316 ter c.p. (Indebita Percezione di Erogazioni a Danno dello Stato) per aver attestato – nell’ambito della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà allegata ad una domanda di ammissione ai contributi pubblici erogati da Invitalia (Agenzia Nazionale per l’Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d’Impresa) – di possedere tutti i requisiti che, per la normativa vigente, conferiscono lo status di “non occupato”.

Nell’ambito di successivi controlli effettuati dalla Guardia di Finanza, era però emerso che Tizio risultava titolare di una partita IVA e, pertanto, ai sensi dell’art. 17 comma 2 lettera d)  del Decreto Legislativo 185/2000 non poteva essere considerato privo di occupazione ai fini dell’ammissione al contributo richiesto.

Art. 316 ter c.p.: la norma coinvolta nella fattispecie

La disposizione coinvolta nella vicenda sub iudice era, naturalmente, l’art. 316 ter del codice penale, rubricato “Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato“.

Questo il testo integrale della disposizione:

[1] Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640 bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni se il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000.

Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito.

Art. 316 ter cod. pen. (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato)

La Tesi Difensiva e l’Istruttoria Svolta nel Processo Penale

Già in sede di interrogatorio, nella fase delle indagini preliminari, Tizio aveva spiegato alla Guardia di Finanza che anni addietro aveva effettivamente acceso a proprio nome un Partita Iva in relazione ad una opportunità lavorativa poi sfumata.

Di ciò, egli aveva dato prontamente avviso alla propria commercialista e confidava pertanto che quest’ultima avesse provveduto alla chiusura della Partita IVA, per lui divenuta inutile. In realtà, la commercialista non aveva provveduto a tale adempimento e la Partita IVA era quindi rimasta formalmente attiva, anche se di fatto non utilizzata per anni.

L’istruttoria svolta nell’ambito del procedimento penale a carico di Tizio, ha confermato quanto da costui riferito, e la stessa Guardia di Finanza ha  potuto accertare che la Partita Iva in contestazione non era mai stata movimentata.

Lo Studio, nella persona dell’avv. Giovanni Chiarini, ha pertanto sostenuto e dimostrato in giudizio (anche attraverso la testimonianza resa dalla commercialista) che Tizio era in perfetta buona fede allorché inoltrò la domanda di ammissione al finanziamento agevolato dichiarandosi “non occupato”. Egli era infatti certo che la vecchia Partita Iva (che mai aveva utilizzato) fosse chiusa da anni.

L’assoluzione dall’Accusa di Indebita Percezione di Erogazioni a Danno dello Stato (art. 316 ter c.p.) perché il fatto non costituisce reato

Pur avendo accertato la sussistenza del fatto contestato, posto che Tizio aveva oggettivamente dichiarato il falso nel momento in cui aveva attestato di essere “non occupato” benché formalmente titolare di una partita IVA, il Tribunale ha ritenuto di accogliere la tesi difensiva dell’avv. Giovanni Chiarini, assolvendo Tizio perché – attesa la sua buona fede nel rendere detta dichiarazione – il fatto non costituisce reato.

L’indebita percezione di fondi pubblici è infatti un delitto per il quale è richiesto il dolo generico, ovvero la consapevolezza – in capo al reo – di realizzare la condotta tipica incriminata dalla norma penale.

In considerazione del risultato delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza (che aveva accertato che la Partita IVA in contestazione non era mai stata movimentata) e di quanto riferito dalla stessa consulente commerciale di Tizio (che aveva confermato la ricostruzione dell’imputato), il Tribunale ha ritenuto che, al momento della sottoscrizione della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà in cui si dichiarava “non occupato”, l’imputato avesse agito nella convinzione che la Partita IVA a suo tempo attivata fosse stata effettivamente chiusa.

Tizio non era pertanto consapevole di non essere nelle condizioni per poter beneficare del contributo richiesto e per tale ragione è stato assolto con formula piena.

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