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COVID-19 e rapporti di lavoro

Lavorare ai tempi del (nuovo) Coronavirus

L’attuale quadro normativo in tema di sospensione forzata dell’attività aziendale per l’emergenza COVID-19 risulta dal combinato disposto del D.P.C.M. 11/03/2020 e del D.P.C.M. 22/03/2020, che hanno disposto la chiusura, attualmente prorogata fino al 13/04/2020, su tutto il territorio nazionale, di tutte le attività produttive e commerciali, ad eccezione di quelle indicate nell’allegato 1 al D.P.C.M. 22/03/2020 (identificate mediante il rinvio al codice ATECO), elenco poi aggiornato con Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 25/03/2020, che possono proseguire, in quanto considerate essenziali.

Restano aperte le attività professionali.
Possono inoltre proseguire la propria attività (al di fuori dell’elenco di cui all’allegato 1), previa comunicazione al Prefetto competente, le imprese della filiera, a patto che operino a beneficio di imprese che eroghino prodotti o servizi essenziali (di cui all’allegato 1).
Possono infine continuare a lavorare, sempre previa comunicazione al Prefetto, le imprese che utilizzino impianti produttivi a ciclo continuo, qualora dall’arresto della produzione possa derivare danno agli impianti o pericolo di incendi.

Le imprese tenute alla sospensione della propria attività hanno avuto tempo fino al 25/03/2020 per ultimare le operazioni in atto. Pertanto, il divieto è divenuto definitivamente operativo dal 26/03/2020.


§ 1. Le attività che possono proseguire

È importante precisare che anche le attività “vietate” possono proseguire se attuate con modalità di lavoro a distanza (“Smart working” o “lavoro agile”).

Per tutte le altre attività, di cui è consentita la prosecuzione, ferme restando le norme e raccomandazioni igienico sanitarie di base (su tutte: lavare le mani, sanificare gli ambienti lavorativi, evitare assembramenti e mantenere la distanza di un metro) il D.P.C.M. 11/03/2020, che sotto tale aspetto resta in vigore, “raccomanda che” (e non “dispone obbligatoriamente che“, in maniera invero assai singolare per una fonte precettiva):

  • a) sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza;
  • b) siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti, nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva;
  • c) siano sospese le attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione;
  • d) si assumano protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, si adottino strumenti di protezione individuale;
  • e) siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali.

Per le attività produttive si raccomanda altresì che siano limitati al massimo gli spostamenti all’interno dei siti e contingentato l’accesso agli spazi comuni.

§ 2. Misure straordinarie per far fronte all’emergenza da COVID-19

Il decreto legge n. 18/2020 “Cura Italia” (in vigore dal 17/03/2020) ha previsto, in sintesi:

  • la possibilità di accedere – per n. 9 settimane – alla CIG ordinaria, nonché alla CIG in deroga in tutti i settori ed a prescindere dalle dimensioni aziendali, previo accordo sindacale (da stipulare anche telematicamente);
  • il riconoscimento di congedi retribuiti o meno, in aggiunta a quelli già riconosciuti dalla legislazione vigente (su tutti i congedi parentali, con retribuzione al 30% entro i primi 6 anni del bambino o fino a 8 anni se il reddito annuo del genitore interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione):
    • congedo straordinario di 15 gg. al 50% di retribuzione, da beneficiare per tutti i lavoratori dipendenti, privati e pubblici, e autonomi iscritti alla gestione separata, con figli fino a 12 anni di età, durante il periodo di sospensione dell’attività scolastica, dal 05/03/2020 (art. 23);
    • in alternativa al congedo straordinario è prevista una erogazione pari ad € 600 (€ 1.000 per gli operatori sanitari), che verranno accreditati sul libretto famiglia, per pagare un collaboratore familiare per prestazioni effettuate nel periodo di sospensione del periodo scolastico (art. 23, comma 8);
    • congedo speciale non retribuito ai dipendenti con figli tra 12 e 16 anni di durata pari al periodo di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, con divieto di licenziamento e diritto alla conservazione del posto di lavoro (art. 23, comma 6);
    • per i mesi di marzo e aprile 2020, chi ha diritto ai permessi della legge n. 104 del 1992 per assistere i propri familiari, potrà usufruire di 12 giorni complessivi di congedo retribuito per questi due mesi, oltre ai 3 giorni di congedo (art. 24);
    • ai quali va aggiunta la sospensione convenzionale del rapporto di lavoro (sempre possibile, a prescindere da una specifica previsione normativa o da parte della contrattazione collettiva, per accordo individuale tra datore di lavoro e dipendente, per la fruizione di un’aspettativa non retribuita).

§ 3. Obbligo di sicurezza del datore di lavoro

Il datore di lavoro è obbligato, per legge, a garantire la salute e sicurezza dei lavoratori, ai sensi dell’art. 2087 c.c., per cui:

l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro“.

Tra l’altro, ai sensi del T.U. Sicurezza (d.lg. n. 81/2018), il datore di lavoro deve elaborare il documento di valutazione dei rischi, prevedendo le misure di sicurezza necessarie a fronteggiarli.
Si tratta di obblighi dai quali discendono responsabilità civili e penali e – per prudenza – appare opportuno consultare il Consulente per la sicurezza e procedere al necessario aggiornamento del documento di valutazione, con riferimento al rischio da contagio COVID-19.

Ciò premesso, il 14/03/2020 è stato sottoscritto un Protocollo tra Governo e Parti sociali (espressamente richiamato e fatto proprio dal D.P.C.M. 22/03/2020) contenente l’indicazione di misure da adottare per far fronte al rischio di contagio nei luoghi di lavoro, ai sensi del quale occorre:

  • Informare i dipendenti, mediante opuscoli informativi, del loro dovere di astenersi dal lavoro in presenza di sintomi influenzali, da dichiarare al datore di lavoro qualora insorgessero durante la prestazione, nonché del dovere di attenersi alle direttive aziendali in ordine al rispetto delle norme igienico sanitarie e di distanziamento sociale;
    • Tra l’altro, i dipendenti vanno informati della necessità di astenersi dalla prestazione nel caso in cui provengano da una zona a rischio in cui si siano recati nei 14 gg. precedenti; a ben vedere, peraltro, tutti i dipendenti non possono che provenire da una zona a rischio, essendo l’Italia ormai flagellata dal virus…
  • Controllare la temperatura corporea dei dipendenti all’ingresso in azienda e allontanare il dipendente qualora registri una temperatura oltre i 37,5°;
    • si consiglia, nel Protocollo, ai fini del rispetto della riservatezza, di rilevare la temperatura e non registrare il dato (a meno che non sia necessario a documentare le ragioni che abbiano impedito l’accesso al lavoro del dipendente); nonché di informare il dipendente, anche oralmente, della finalità del trattamento del dato rilevato e del termine di conservazione del dato stesso (es. la fine dell’emergenza sanitaria), indicando altresì i soggetti responsabili del trattamento, assicurando in ogni caso modalità tali da garantire la dignità e la riservatezza del dipendente in caso di suo isolamento, qualora abbia la febbre;
  • Adottare dispositivi di protezione individuale, a patto che siano disponibili in commercio;
  • Individuare percorsi e servizi igienici ad hoc per soggetti esterni, per ridurre le occasioni di contatto con i dipendenti;
  • Prevedere la riduzione della produzione e diminuire la presenza dei dipendenti a rotazione;
  • Prevedere ingresso e uscita separati per evitare assembramenti e scaglionare gli orari di ingresso e uscita a tal fine;
  • Le “norme” del Protocollo si applicano anche agli appaltatori che eseguano l’appalto all’interno dell’impresa committente, così come ai visitatori in genere (fermo restando che va ridotto, per quanto possibile, l’accesso ai visitatori esterni).

Si annota, in proposito, che il dovere del dipendente di non recarsi al lavoro con la febbre non sia da considerare certamente un elemento di novità, posto che – anche prima dell’emergenza in atto – ciò era senz’altro da considerare vietato (in quanto il lavoratore malato, secondo correttezza e buona fede, deve in primo luogo curarsi per guarire il prima possibile e tornare a disposizione del proprio datore di lavoro; in secondo luogo, deve – appunto – evitare di contagiare altri dipendenti).

È indubbio che il protocollo contenga indicazioni generali da vagliare attentamente in base alla propria concreta realtà aziendale, col proprio consulente per la sicurezza di riferimento, in base ai propri problemi attuativi, aggiornando il documento di valutazione dei rischi.

Lascia particolarmente perplessi, ad es., che l’utilizzo di dispositivi di protezione sia condizionato alla loro disponibilità in commercio e che possa dirsi assolto, da parte del datore di lavoro, il proprio dovere di sicurezza, laddove l’attività si svolga senza l’ausilio di strumenti protettivi adeguati.

Hai bisogno di chiarimenti su questa materia?

§ 4. In concreto: come comportarsi?

In considerazione dei rischi e delle obiettive difficoltà di attuazione di misure di sicurezza idonee a prevenire il rischio da contagio, il consiglio, valido sia per datori di lavoro, sia per i dipendenti, è quello, se possibile, di interrompere – o quanto meno diradare il più possibile – la presenza in azienda.

Le decisioni al riguardo non possono che derivare dalla natura dell’attività svolta (e principalmente dalla sua utilità, o meno, in questa fase di emergenza). Pertanto, si tratta di una valutazione da compiersi caso per caso. È peraltro raccomandabile, in generale, l’adozione di un principio di massima prudenza nel compiere tale valutazione.

In particolare, conviene tener conto di quanto segue.

Il lavoro agile può essere imposto (non occorre il consenso del dipendente) e – se serve – anche le ferie, magari come ultima ratio.

Se è vero che normalmente le ferie sono comunque decise dall’imprenditore, in base alle proprie esigenze, sia pure tenuto conto anche delle esigenze del lavoratore (art. 2109 c.c.), è auspicabile che – in difetto di altre soluzioni – i dipendenti eventualmente restii a fruire delle ferie, vi acconsentano (o addirittura le richiedano essi stessi – per iscritto – se il datore di lavoro non le abbia proposte) nel proprio interesse, dato che la salute da proteggere è la propria e dei propri familiari.

In ogni caso, è opportuno che – sempre in difetto di altre soluzioni – l’imprenditore imponga le ferie, posto che da un lato rischia di essere responsabile del contagio dei propri dipendenti, mentre dall’altro rischia – in maniera assai più lieve – di aver imposto delle ferie illegittimamente, questione tutta da discutere e con ben poche probabilità di approdare dinanzi ad un Giudice in futuro.

Inoltre, vanno fruite le ferie accumulate in arretrato, relativamente ad anni pregressi, anche come condizione di accesso agli ammortizzatori sociali.

§ 5. Diritto del lavoratore di assentarsi. Eccezione di inadempimento

E’ possibile che un dipendente, nell’ipotesi – invero improbabile – che non abbia a disposizione ferie e/o congedi, si rifiuti di rendere la prestazione presso i locali aziendali?

La risposta, quantomeno in generale ed in astratto, è che qualora il datore di lavoro sia gravemente inadempiente rispetto al proprio fondamentale obbligo di sicurezza, il dipendente possa auto-tutelarsi e sospendere unilateralmente la propria prestazione.

Tecnicamente, si tratta di un’eccezione di inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 c.c.:

Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto“.

Per la Corte di Cassazione:

In caso di violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., è legittimo, a fronte dell’inadempimento altrui, il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione, conservando, al contempo, il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore

(Cass. n. 836/2016).

Conviene – in tal caso – inviare una diffida al datore di lavoro, chiarendo i motivi della sospensione.

Naturalmente, la reazione del dipendente dovrà essere proporzionata all’inadempimento datoriale e tale giudizio di proporzione non potrà prescindere dalle peculiarità del caso concreto.

Il rischio è di vedersi contestare l’assenza come ingiustificata, con conseguente provvedimento disciplinare (che – laddove l’assenza si protragga per più giorni – potrà essere anche un licenziamento, che naturalmente il dipendente potrà impugnare se non ne condivide la motivazione).

§ 6. Tutela assicurativa INAIL in caso di infezione da COVID-19

Un ulteriore profilo interessante è la responsabilità dell’INAIL dinanzi ad un infortunio (o malattia) professionale da contagio per COVID-19.

L’INAIL ha già emesso una propria nota, datata 17/03/2020, riconoscendo che l’assicurazione obbligatoria contro infortuni e malattie professionali copre il rischio degli operatori sanitari che lavorino a contatto con pazienti contagiati, trattandosi – con tutta evidenza – di un rischio specifico legato allo svolgimento della loro attività lavorativa.

Inoltre, l’INAIL – con propria circolare n. 13 del 03/04/2020 – ha precisato che la copertura assicurativa opera anche in favore di lavoratori che svolgano attività di tipo diverso.
In particolare, per l’INAIL, il contagio sul lavoro è infortunio (“la causa virulenta è equiparata a quella violenta“) e la relativa tutela copre la generalità dei lavoratori assicurati, che siano stati contagiati in occasione di lavoro; non solo gli operatori sanitari, esposti a un rischio specifico da contagio.

Ad una condizione di elevato rischio di contagio possono essere ricondotte anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza. In via esemplificativa, ma non esaustiva, si indicano: lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, etc. Anche per tali figure vige il principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari.

La tutela assicurativa si estende, comunque, anche alle altre ipotesi, in cui la “identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio si presenti problematica” e sia dubbio se il contagio sia avvenuto per causa di lavoro: a tal fine, sarà necessario un ordinario accertamento medico-legale, per dirimere i dubbi.

Restano fermi l’obbligo per il medico certificatore di predisporre e trasmettere telematicamente la prescritta certificazione medica all’INAIL, nonché l’obbligo di denunciare l’infortunio da parte del datore di lavoro.
Pertanto, vi saranno casi nei quali l’INAIL riconoscerà la tutela assicurativa in forza di una presunzione, trattandosi di attività ad alto rischio contagio.
Per le restanti attività, si porrà essenzialmente un problema di prova, in capo al lavoratore, di aver contratto il virus in azienda.

Tuttavia, in un contesto nel quale è possibile lasciare la propria abitazione per ragioni eccezionali, tra le quali – sostanzialmente – andare al lavoro (magari per 8 ore al giorno) e poche altre “veloci” commissioni, potrebbe comunque operare – in concreto – una forte presunzione che il contagio sia avvenuto in ambiente lavorativo (magari confortata dalla prova testimoniale che il dipendente non sia uscito di casa se non per andare al lavoro per un periodo, ad es., di 14 gg., corrispondente a quello di incubazione, e magari ulteriormente confortata da prassi aziendali non consone alla situazione emergenziale).

In tali casi, il rischio di contagio potrebbe essere considerato sì generico (il rischio di essere contagiati, infatti, persiste per tutti, anche al di fuori dell’ambito lavorativo), ma “aggravato” dall’occasione di lavoro (laddove l’occasione di lavoro è, appunto, il presupposto perché l’infortunio sia indennizzabile dall’INAIL), presentando un collegamento con l’attività lavorativa che sia considerato sufficiente per fondare il diritto alle prestazioni erogate dall’INAIL.

Ferma restando, naturalmente, la responsabilità del datore di lavoro, qualora sia considerato violato il più volte citato obbligo di sicurezza.

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