Avv. Andrea Sisti - Licenziamento del dirigente & Covid

Licenziamento del dirigente e divieto Covid

Ultimo Aggiornamento 22 Agosto 2024

Coronavirus: licenziamenti consentiti per il lavoro dirigenziale

Dopo l’ordinanza dello scorso 26/02/2021, con la quale il Tribunale di Roma aveva affermato che il c.d. blocco emergenziale dei licenziamenti si applicasse anche ai dirigenti, lo stesso Tribunale, con la sentenza n. 3605 del 19/04/2021, ha mutato orientamento, escludendo i dirigenti dal divieto di licenziamento.
Ulteriore motivo di interesse della sentenza in commento è l’avvenuto rigetto, anche nel merito, dell’impugnazione del licenziamento, avuto riguardo alla nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente.


INDICE SOMMARIO | Licenziamento dirigente & divieto Covid


§ 1. Il divieto di licenziamento Covid

Com’è noto, la legislazione emergenziale ha vietato, dal 17/03/2020, i licenziamenti collettivi (che per essere tali devono coinvolgere almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni) e individuali “per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 legge 604/1966”.

Il divieto, inizialmente previsto per 60 giorni, è stato più volte prorogato; da ultimo, dal c.d. Decreto Sostegni (D.L. 41/2021, art. 8, c. 9 e 10), che ha disposto per tutti i datori di lavoro rientranti nel campo di applicazione della C.i.g. ordinaria (prorogata a sua volta di 13 settimane, da fruire tra il 01/04/2021 e il 30/06/2021), la proroga fino al 30/06/2021 del blocco dei licenziamenti.
Il divieto è esteso al 31/10/2021 solo per i datori di lavoro al di fuori dal campo di applicazione della C.i.g. ordinaria (beneficiari di ulteriori 28 settimane gratuite di assegno ordinario a carico del F.i.s. e di cassa integrazione in deroga, da fruire tra il 01/04/2021 e il 31/12/2021).

Rimane comunque possibile licenziare in caso di cessazione dell’attività aziendale, nell’ipotesi di adesione – da parte del dipendente – ad accordi sindacali che prevedano un incentivo all’esodo, oppure nel caso di successione di imprese nell’appalto e riassunzione da parte del nuovo appaltatore.

§ 2. Il licenziamento individuale del dirigente

La normativa sul blocco dei licenziamenti fa espresso riferimento al recesso “per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 legge 604/1966”, che è una causale tipica di licenziamento del personale non dirigente. Tale giustificato motivo deve consistere in “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”, in assenza delle quali il licenziamento è illegittimo.

Invece, i dirigenti, per legge, possono essere liberamente licenziati, senza particolari motivi, col solo obbligo di rispettare il preavviso (o corrispondere la relativa indennità sostitutiva).

Tuttavia, la contrattazione collettiva prevede che il licenziamento del dirigente debba essere giustificato, pena il riconoscimento di un indennizzo economico (c.d. indennità supplementare) in favore del dirigente ingiustificatamente licenziato.

Peraltro, secondo la giurisprudenza, la nozione di giustificatezza non coincide con quella di giustificato motivo (prevista dalla legge con riferimento al licenziamento di tutti gli altri dipendenti, non dirigenti), ma è più ampia (e, dunque, consente una maggior libertà di licenziare).

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§ 3. Il caso analizzato e deciso dal Tribunale di Roma

Il caso riguardava il licenziamento comunicato, a maggio 2020, ad un dirigente con funzioni di Chief Operating Officer (“COO”), dunque al più alto livello dell’organizzazione aziendale.

La lettera di licenziamento era motivata con riferimento al

“periodo di grandissima sofferenza economica e finanziaria, acuita dalle drammatiche conseguenze della pandemia Covid-19. In tale contesto, avendo la società avviato un processo di riorganizzazione aziendale finalizzato alla progressiva integrazione ed ottimizzazione delle strutture operative, nell’ottica del contenimento dei costi e di una più utile gestione dell’impresa, siamo addivenuti alla decisione di sopprimere la Sua posizione lavorativa di COO e di ridistribuire e/o accorpare le funzioni ed attività che a Lei fanno capo tra altri responsabili aziendali”.

§ 4. La motivazione della Sentenza sull’inapplicabilità del blocco dei licenziamenti ai dirigenti

Il Tribunale ha ritenuto che il divieto di licenziamento non operi nei confronti dei dirigenti, per due ordini di ragioni.

In primo luogo, perché il dato letterale depone in senso contrario, essendo espressamente vietati i licenziamenti per “giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 legge 604/66”, disposizione quest’ultima che non si applica ai dirigenti (ex art. 10 l. 604/66).

In secondo luogo, perché “il dato letterale risulta coerente con lo spirito che sorregge l’eccezionale ed emergenziale previsione del blocco dei licenziamenti durante la pandemia”, essendovi una “chiara ed evidente simmetria tra il blocco dei licenziamenti e soccorso alla collettività generale (mediante gli ammortizzatori sociali)”.

Ebbene, osserva il Giudice, “con riferimento ai dirigenti detto binomio (ndr blocco dei licenziamenti / ammortizzatori sociali) non può stare in piedi poiché a questi ultimi non è consentito, almeno in pendenza del rapporto di lavoro, di accedere agli ammortizzatori sociali” ed il relativo costo del lavoro rimarrebbe a carico del datore di lavoro, ponendo dubbi di legittimità costituzionale, in rapporto alla libertà di iniziativa economica.

§ 5. La protezione del dirigente nell’ambito del licenziamento collettivo

Il licenziamento collettivo, invece, rientra espressamente nel blocco, anche qualora coinvolga uno o più dirigenti.

Va precisato che laddove il licenziamento collettivo (che, in sintesi, per essere tale deve riguardare almeno 5 dipendenti, compresi i dirigenti, nell’arco di 120 giorni) coinvolga uno o più dirigenti, trova applicazione la relativa disciplina limitativa.
Tale disciplina impone lo svolgimento di un’articolata procedura di consultazione sindacale e l’adozione di criteri di scelta legali (anzianità, carichi di famiglia, esigenze aziendali, in concorso tra loro) o – in deroga a quelli legali – stabiliti per accordo sindacale.

La violazione della procedura o dei criteri di scelta inficia i licenziamenti, anche dei dirigenti, i quali avranno diritto, se del caso, ad un’indennità risarcitoria tra 12 e 24 mensilità di retribuzione, fatte salve le diverse previsioni sulla misura dell’indennità contenute nei contratti collettivi applicati al rapporto di lavoro.
Pertanto, al dirigente che sia coinvolto in un licenziamento collettivo è assicurata altresì una tutela legale, anziché meramente contrattuale, com’è – invece – in caso di licenziamento individuale.

Il Giudice, nella sentenza in commento, respinge espressamente l’argomento, sviluppato dalla precedente ordinanza del Tribunale di Roma del 26/02/2021, secondo il quale sarebbe irragionevole escludere dal blocco il licenziamento individuale del dirigente, laddove il dirigente risulti invece protetto dal divieto di recesso, qualora sia coinvolto in una procedura di licenziamento collettivo.
Il Tribunale, nella sentenza in commento, ha ritenuto che “la diversità delle due fattispecie è ragione tale da giustificare una diversità di trattamento tra le due ipotesi”. E d’altra parte, comunque, tale diversità di trattamento non può costituire valido motivo per discostarsi dall’interpretazione fondata sulla lettera e sulla ratio del sistema.

Va peraltro osservato, sul punto, che si crea un effetto distorsivo laddove, se il datore di lavoro vi avesse potuto far ricorso (in assenza del blocco), il dirigente in esubero sarebbe stato coinvolto in un licenziamento collettivo. Invece, non rimanendo che il dirigente (o i dirigenti) da licenziare, essendo vietato per tutti gli altri, il licenziamento diverrebbe, gioco forza, individuale, e come tale (oltre a non essere vietato) nemmeno più protetto dagli obblighi procedurali ordinariamente operativi in caso di licenziamento collettivo.

In altre parole, mentre gli altri dipendenti sono destinatari di una protezione assoluta, ai dirigenti non solo il livello di protezione non è stato parimenti innalzato, ma, al contrario, risulta essere diminuito.
Vista sotto quest’angolazione, in effetti, una questione sulla ragionevolezza del sistema normativo pare sia lecito porla e la motivazione della sentenza in commento, forse, non è sufficientemente approfondita per superare l’ostacolo.

§ 6. La giustificatezza del licenziamento del Dirigente

Infine, merita un cenno la motivazione della sentenza riguardo alla giustificatezza, nel merito, del licenziamento.

Il Giudice prende le mosse dai principi esposti in Cass. 9665/2019, più volte citata in sentenza, secondo cui:

“Nell’ipotesi di licenziamento individuale del dirigente d’azienda, (…), la nozione di giustificatezza del recesso si discosta da quella di giustificato motivo ed è ravvisabile ove sussista l’esigenza, economicamente apprezzabile in termini di risparmio, della soppressione della figura dirigenziale in attuazione di un riassetto societario e non emerga, in base ad elementi oggettivi, la natura discriminatoria o contraria a buona fede della riorganizzazione; il giudice deve limitarsi al controllo sull’effettività delle scelte imprenditoriali poste a base del licenziamento, non potendo sindacare il merito di tali scelte, garantite dal precetto di cui all’art. 41 Cost.”

Fatta questa premessa, il Giudicante ha ritenuto giustificato il licenziamento, escludendo che fosse discriminatorio o contrario a buona fede, in quanto contestualmente alla risoluzione del rapporto la società aveva attivato la Cassa Integrazione Covid da marzo a luglio per tutto il personale non dirigente, con punte del 100% delle ore lavorabili, aveva risolto diversi contratti di consulenza in corso e nessun dipendente, nemmeno nuovo assunto, aveva ricoperto la posizione del ricorrente dopo il suo licenziamento.
D’altra parte, le attività del ricorrente erano state ridistribuite in capo ad altro soggetto (“già dipendente della società e suo consigliere di amministrazione”).

Ad avviso del Giudice, inoltre, “che le funzioni in precedenza espletate non siano state soppresse o eliminate, ma ridistribuite tra il personale già in forza non è circostanza di rilievo, poiché quello che conta è se la posizione del ricorrente esista ancora in azienda o sia stata effettivamente soppressa”.
Pertanto, da un lato il ricorrente non ha dimostrato che la riorganizzazione fosse discriminatoria o contraria a buona fede, dall’altro la società ha dimostrato l’effettività della scelta di riorganizzazione posta alla base del licenziamento. Il Giudice, da parte sua, deve controllare solo tale effettività e non può entrare nel merito della scelta dell’imprenditore.

Tornando, però, a Cass. 9665/2019 (al cui principio di diritto si rifà la sentenza in commento) è interessante osservare che tale pronuncia concluda, in concreto, per l’illegittimità del licenziamento oggetto del relativo giudizio di impugnazione (confermando Corte d’Appello di Venezia n. 722/2016).

Secondo la Cassazione, la valutazione della Corte d’Appello, di non giustificatezza del licenziamento, non era frutto di un sindacato sul merito delle scelte aziendali, ma derivava dall’accertamento del difetto di nesso di causalità tra la situazione rappresentata nella lettera di licenziamento e la soppressione del posto (nella specie, di responsabile marketing), per una serie di circostanze accertate dal giudice di merito (andamento economico aziendale sostanzialmente positivo risultante da una perizia, fusione di due società con conseguente aumento dei costi del personale, che si poneva in contraddizione con la dedotta esigenza di compressione dei costi, mancanza di relazione tra la soppressione della figura del direttore Marketing e la situazione emergente dal conto economico):

“Tale accertamento di fatto esclude sia la effettività della riorganizzazione conseguente all’asserito trend negativo dei bilanci della società sia la stessa sussistenza delle complessive ragioni di ordine economico collegate alla soppressione del posto conseguendone la violazione da parte della società datrice di lavoro del criterio di correttezza e buona fede, vale a dire del parametro al quale è ancorata la giustificatezza del recesso datoriale”.

Dunque, perché il licenziamento del dirigente sia giustificato, non solo deve risultare l’effettività della soppressione della posizione dirigenziale, ma devono comunque essere effettive (e non pretestuose, in violazione dei criteri di buona fede e correttezza) le ragioni poste alla base del riassetto organizzativo, nonché il relativo nesso di causalità tra le ragioni addotte e la soppressione della posizione.

Sotto questo profilo, la decisione del Tribunale di Roma, in commento, sembrerebbe prestare il fianco a qualche critica, laddove, ad es., non appaia oggetto di adeguata indagine l’effettiva sussistenza della “grandissima sofferenza economica e finanziaria acuita dalle drammatiche conseguenze della pandemia”.
Sarebbe stato necessario svolgere un accertamento in merito, anche perché il dato non era certamente pacifico, come ammesso in sentenza: “ciò su cui la difesa del ricorrente ha molto insistito, richiamando e depositando articoli di stampa, è la floridezza economica della compagine convenuta”.

Anche l’attribuzione delle funzioni del ricorrente ad altro dipendente non è chiaramente delineata nella sentenza in commento, se non altro in rapporto alla posizione precedentemente ricoperta dall’altro dipendente rimasto in forza. Rimane il dubbio che, confrontando le due posizioni, alla stregua dei parametri di buona fede e correttezza, potesse essere quella dell’altro dirigente a risultare soppressa, o ridimensionata, risultando quella di “COO” in realtà mai soppressa, ma solamente affidata ad altri. La decisione se sopprimere l’una o l’altra posizione, ed eventualmente a quale delle due accorpare le residue funzioni dell’altra, doveva essere coerente col riassetto organizzativo concretamente perseguito, in rapporto alle ragioni addotte.

In ogni caso, “le ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale non debbono necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost.” (Cass. 02/10/2018 n. 23894).

Scarica la sentenza di Trib. Roma, 19/04/2021, n. 3605